EXCALIBUR 30 - ottobre 2001
in questo numero

L'elmo di Scipio e le Twin Towers

Dall'ipocrisia dei pacifisti-a-tutti-i-costi all'eccessiva prudenza bellica di un'Italia sempre meno protagonista

di Nicolò Manca
Il 15 settembre, quattro giorni dopo l'attentato alle Twin Towers, "Il Corriere della Sera" ha pubblicato in prima pagina la foto di un alpino in congedo, ripreso di spalle, impettito nel saluto militare davanti alla bandiera americana di una sede diplomatica degli Stati Uniti. A quell'istantanea, che esprimeva una splendida solitaria individualità, faceva da contraltare la mancanza di immagini di italici cortei, di quelli che vengono mobilitati a ogni stormir di fronda dai capipopolo di casa nostra.
Ma come? Seimilatrecentotrentatre vite spazzate via in meno di un'ora dalla follia e in nome di Allah non sono state sufficienti per mobilitare le truppe dei Bertinotti-Cossutta-Cofferati-D'Alema-Rutelli-Agnoletto-Casarini e chi più ne ha più ne metta?
Anziché onorare la memoria di tante vittime ed esprimere solidarietà agli Stati Uniti attraverso una mobilitazione popolare, i suddetti non sono andati oltre gli auspici di pace, di equilibrio, di dialogo; quasi che gli Americani anelino alla guerra, con sconsideratezza e con incoscienza, rifuggendo dalla diplomazia... forse ripromettendosi autolesionisticamente di indurre altri terroristi a fare il bis.
È difficile, sia per l'America sia per l'Europa, rispondere alle due domande che anche Napoleone si poneva prima di prendere decisioni vitali: «Cosa è giusto fare? E cosa è utile?». In realtà l'imperatore si interrogava anche su come si sarebbero comportati i Romani in situazioni similari, ma pensava ai Romani di un tempo, non ai contemporanei.
Lasciamo agli Americani il diritto - che possono rivendicare a pieno titolo - di decidere quel che ritengono giusto e utile fare, e saltiamo a piè pari anche i possibili ruoli del Vecchio Continente - d'altra parte la figura di Romano Prodi appare la personificazione ideale di un'Europa militarmente inesistente e politicamente farfugliante - e proviamo invece a interrogarci su che cosa noi, in Italia, dovremmo o potremmo fare.
I nostri vertici istituzionali ci hanno ammannito i soliti auspici, i consueti appelli, le edificanti esortazioni ad adoperarci per la pace, studiando e lavorando... in altre parole facendoci gli affari nostri. Quasi che dei Bin Laden (come degli Hitler, degli Stalin, dei Pol Pot e dei Saddam Hussein) si possa venire a capo con le buone maniere.
Il ministro della difesa, Martino, ha minimizzato, rassicurando gli Italiani che non siamo alla vigilia di una guerra né militare, né economica e tanto meno di religione, ma solo di un conflitto... o di un contrasto... oppure di un diverbio con frange impazzite del mondo islamico. Di quel mondo islamico però, è bene ricordarlo, che si rifà al Corano: «Uccidete gli infedeli dovunque li troviate» (sura IX - versetto 5); «Combatteteli fino a che non vi sia più ribellione e che la religione sia quella di Dio» (II - 193); «Non voi li avrete trucidati, è Dio che li ha uccisi» (VIII - 17).
Finché l'Islam non rinnegherà il Corano o almeno una parte di esso, sarà bene che l'Occidente, come nei secoli passati, drizzi le antenne. Gli otto occidentali imprigionati dai Talebani con l'accusa di aver fatto opera di proselitismo religioso sanno bene queste cose: per loro è prevista la pena di morte. Il ministro Martino non ha tralasciato neanche la tradizionale rassicurazione per le mamme: «I soldati di leva comunque non verranno impiegati». Ci mancherebbe: un soldato che in caso di necessità viene impiegato come un soldato? Mai!
Una pseudo-intervista in merito alla nostra operatività, rilasciata il 22 settembre alle 20,00 dal comandante della 46ª Aerobrigata a Canale 5, ha scatenato la depressione di chi scrive. Al telespettatore sono state illustrate unicamente le caratteristiche del C130, «adatto a volare anche attraverso le nuvole». Non un cenno al potenziale operativo della brigata, alla sua capacità di supportare forze operanti fuori del territorio nazionale, al numero dei velivoli disponibili... ma è meglio che gli Italiani non sappiano: si deprimerebbero anche loro. E pensare che forze aeronavali inglesi sono già state rischierate in prossimità del teatro afgano e che nuclei delle unità speciali di sua maestà si sono scontrate, già dal 23 settembre, con i Talebani. Intanto in Italia si è deciso di impiegare l'esercito per la vigilanza di alcuni degli innumerevoli obiettivi sensibili, ma senza che ai soldati, come per il passato, siano stati attribuiti compiti di polizia giudiziaria. In altre parole: se accade qualcosa, il soldato deve limitarsi, cosa riduttiva e mortificante, a sollecitare l'intervento di un carabiniere o di un poliziotto.
In linea con questa mentalità e con questi provvedimenti di basso profilo, i nostri notiziari pongono grande enfasi nel parlare della missione "Essential harvest", quella che stiamo svolgendo in Macedonia. Perché non puntualizzare che si tratta della consegna volontaria di 3.000 kalashnikof da parte dei guerriglieri kossovari (in un contesto di 80.000 kalashnikof in mano all'U.C.K. e di due milioni e mezzo di armi che si stima siano disseminate nei Balcani)? Stando così le cose, non sarebbe stato più realistico e meno costoso mandare in Macedonia un container con una squadra di carabinieri di scorta? Se l'U.C.K. vuol consegnare i 3.000 kalashinkof più malandati che ha, missione compiuta! Altrimenti si torna indietro a mani vuote.
Ma tornando al ruolo che potremmo svolgere negli scenari che si vanno delineando, il contributo italiano non potrà discostarsi di molto da quello - ininfluente - fornito in occasione della guerra del Golfo: 5 navi (sulle 210 presenti), 10 Tornado (sui 3.500 aerei ed elicotteri della coalizione) e zero soldati (sui 700.000 impiegati da Schwarzkopf).
Preso atto dello stato delle forze armate italiane e dei ritardi accumulati nel tempo in fatto di materiali, mezzi e standard addestrativi, Berlusconi è stato costretto a mettere in cantiere una finanziaria ad hoc. Eppure, nonostante i nodi siano venuti al pettine e la paura del terrorismo abbia scosso anche quanti in passato non hanno mostrato interesse per il problema difesa-sicurezza, le anime belle antimilitariste continuano a parlare solo di pace e di giustizia-non-vendetta. C'è da chiedersi quando, in guerra, (perché, con buona pace del nostro ministro della difesa, la realtà di 6.333 morti già contabilizzati ci dice che di guerra si tratta, ancorché circoscritta nello spazio e nel tempo), un'operazione si può classificare o avere attinenza con la giustizia e quando con la vendetta?
L'ambiguo "chiamiamocene fuori", che traspare dalle parole dei nostri politici, va di pari passo con la strisciante, ma non troppo, colpevolizzazione degli Americani per quanto è accaduto. In altri termini «se la sono cercata». Eppure si tratta di quegli stessi Americani che hanno mandato a morire i propri figli per combattere una Prima Guerra Mondiale (che era soprattutto europea) e, vent'anni dopo, per liberare l'Europa dal nazismo. Sono gli stessi che a guerra finita hanno aiutato vincitori e vinti a rimettersi in piedi (chi ricorda il Piano Marshall?)... e persino a liberarci dal flagello delle mosche; la memoria delle sistematiche disinfestazioni è viva nei meno giovani. Sono gli stessi Americani che ancora fanno i cow-boys quando c'è da contrastare, piaccia o no, regimi che odiano le libere elezioni e che vorrebbero esportare questa idiosincrasia in altri paesi. Infine si potrebbe aggiungere che sono gli stessi Americani che hanno portato l'uomo sulla Luna e internet nel mondo. Ma questo non sposterebbe di una virgola l'atteggiamento delle anime belle.
Per questi motivi non è facile accettare l'invito ad adoperarci per la pace solo studiando e lavorando; così come non sentiamo prepotente e immediato l'orgoglio e la fierezza di essere Italiani. Forse qualcuno, subito dissuaso dall'italico "tengo famiglia", ha addirittura avvertito l'impulso di chiedere la nazionalità americana o inglese, per poter far parte di popoli che hanno il culto del coraggio, dell'orgoglio e della lealtà. Una moglie, tre figli e due cani hanno pateticamente dissuaso anche chi scrive. Ma sono stato dissuaso anche dalla consapevolezza che esistono altri Italiani, come quell'alpino in congedo fotografato dal "Corriere della Sera", che il culto del coraggio, dell'onore e della lealtà ce l'ha. Ma si tratta di una percentuale modesta di Italiani, una frazione comunque insufficiente, da sola, a fare germogliare l'orgoglio di un intero popolo.
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