EXCALIBUR 31 - novembre 2001
in questo numero

Echi... Fallaci

Come reagire di fronte alla barbarie figlia di una civiltà basata sull'intransigenza del Corano?

di Nicolò Manca
Chi ha letto su "La Repubblica" la replica di Umberto Eco alla lettera di Oriana Fallaci può aver pensato, fatalmente indotto dall'assonanza lessicale, all'eco che rimbalza, affievolita e sfumata, dopo un grido, sia esso di rabbia o di dolore.
La replica di Eco mi è sembrata una trasposizione erudita e un po' soporifera del «sì, però gli Americani un po' se la sono voluta», col quale non pochi Italiani hanno commentato la barbarie dell'11 settembre, ostentando chi ambigua commiserazione e chi malcelato compiacimento. Anche se Dacia Maraini sul "Corriere" ha garantito che in Italia nessuno ha gioito per la strage (proprio nessuno? Neanche chi non ha perso l'occasione di esibirsi davanti alle telecamere nel rituale incendio della bandiera a stelle e strisce?), sappiamo che almeno il «si, però...» è riecheggiato in molte contrade del Bel Paese. Il direttore di "Rifondazione" ha trasformato questo discutibile commento in un'altrettanto discutibile esortazione all'America a interrogare sé stessa sulle responsabilità che hanno causato l'odio che ha armato la mano dei terroristi. È il paradosso in forza del quale si tende a trasformare il terrorista-carnefice in martire-vittima o, per dirla con Tiziano Terzani, a confondere le vittime coi boia; al contempo si rimuove la realtà delle vere vittime, che diventano un'astratta entità sacrificale.
Anche Umberto Eco non si sofferma sulle seimilaquattrocentocinquantatre vittime delle Twin Towers, un numero lungo anche da scrivere, tanto che è necessaria una penosa concentrazione per non sbagliarne la grafia. Indugiare su questa tragica contabilità può indurre chi è nato in un piccolo paese (un esempio a caso: Ortueri, nel Nuorese, poco più di duemila anime) a considerare che in nome dell'Allah di Bin Laden sono stati cancellati in un sol colpo tre paesi come Ortueri, appunto. C'è chi ha prontamente ricordato che anche gli Americani si sono macchiati di Hiroshima e gli Inglesi di Dresda, ma fare tutto un fascio del terrorismo fondamentalista e della guerra antinazista non è un accostamento che meriti un dibattito.
Merita una riflessione invece la pregiudiziale con cui Umberto Eco ha aperto il suo pezzo: «Quello che deve preoccupare è che interi e appassionati articoli diventino materia di discussione generale, occupino la mente dei giovani. Mi preoccupo dei giovani perché tanto ai vecchi la testa non la si cambia più». E perché mai i giovani di qualcosa dovrebbero dibattere e di qualcos'altro no? Perché di un punto di vista sì e di un altro no?
Le corpose argomentazioni di Eco sfiorano peraltro un gran numero di temi e di aspetti attinenti alla tolleranza, a proposito della quale lo scrittore fa un singolare riferimento ai cannibali. Mettere in discussione la tolleranza «... sarebbe come se decidessimo che, se in una certa area del globo ci sono ancora cannibali, noi andiamo a mangiarli così si imparano». Per quanto vigorosa, è un'immagine poco pertinente ai fatti dell'11 settembre; tutt'al più serve a bocciare la pretesa di voler imporre ad altri costumi propri, incluso quello riprovevole del cannibalismo. La morale, tutt'al più, potrebbe essere che chi vuol mangiare un suo simile... lo faccia a casa sua, possibilmente mangiando uno che la pensa come lui.
Fatti gli opportuni distinguo, un occidentale che si reca in un paese islamico deve adeguarsi alla cultura locale, levarsi le scarpe se entra in una moschea, non pretendere di imporre le abitudini del suo paese ma adeguarsi a quelle locali o quanto meno rispettarle. Ma allora perché una musulmana che viene in Italia pretende di portare lo chador o il burka, indumenti non consentiti dalla nostra legislazione sulla sicurezza? Nulla da eccepire se a lei è consentito di fare del proselitismo religioso, ma perché il missionario cattolico che predica il Vangelo in un paese islamico rischia la pena di morte? Perché in Italia si può realizzare una moschea, mentre in Afghanistan non si può costruire una chiesa? La risposta è da ricercare nell'intransigenza dei seimila e passa versetti delle centoquattordici sure del Corano, un testo permeato di intransigenza, soprattutto verso i "miscredenti", con buona pace dei fautori della tolleranza a senso unico di casa nostra. È illuminante leggere o rileggere il Corano, dopo la barbarie dell'11 settembre.
Essere accomodanti e dilatori di fronte alla tragedia delle Twin Towers e alle minacce di nuovi atti di terrorismo da parte di Bin Laden e dei suoi protettori significa votarsi alla sconfitta e alla paura. Anche il mondo arabo dovrebbe ribellarsi alla follia dei Saddam Hussein e dei Bin Laden che destinano gran parte delle risorse derivanti dal petrolio islamico e dall'oppio afghano agli armamenti e alla guerra santa. E perché non all'industria farmaceutica e all'agricoltura? Il miliardario Bin Laden e i suoi cinquantun fratelli potrebbero, d'intesa con il capitalismo islamico, reclutare i migliori cervelli del mondo per creare un'agricoltura e un'industria farmaceutica araba in grado di sfamare e curare tutti i bambini iracheni, afghani, sudanesi e palestinesi messi insieme. Invece l'impegno numero uno è la jihad, cui è riservata la priorità della spesa.
È necessario che anche questi aspetti diventino materia di discussione non solo tra i giovani, ma anche tra i vecchi, almeno tra quelli che non rinunciano a "cambiare la testa" quando è giusto cambiarla. Per dirla con Mac Arthur, infatti, la vera vecchiaia è quella che non aggrinzisce la pelle ma l'anima; così come la gioventù non è un periodo della vita, ma uno stato dello spirito, un'intensità emotiva... cioè quella che la Fallaci ha tentato di trasmettere agli Italiani.
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