EXCALIBUR 31 - novembre 2001
in questo numero

Se la globalizzazione è un tempo, passerà

Come tutti i fenomeni storici, la globalizzazione è destinata, prima o poi, a passare... non si preoccupino quindi più di tanto i suoi denigratori

di Simone Olla
La società senza confini, l'internazionalismo, lo sradicamento trovano nella globalizzazione una naturale prosecuzione. Trent'anni fa le rosse meningi venivano sforzate per elaborare teoremi che ridicolizzavano la comunità legata alla propria terra, alla tradizione, alla famiglia, a favore di una comunità legata al proprio tempo. Sminuivano il bisogno di certezze, la necessità di poggiare su argomenti consolidatisi con gli anni, tramandati. Elevavano a modello il progressista cittadino del mondo senza confini, senza limiti, senza memoria.
Queste elucubrazioni della sinistra intellighenzia, sostituendo il libretto rosso, sono divenute colonna portante del progressismo globale di fine secolo; il villaggio globale, infatti, altro non è che l'amaro risultato delle passate prediche e delle vecchie agitazioni di piazza: prospettando una società senza confini, non solo intesa come società che abbatte le barriere nazionali, ma anche come società senza limiti, senza regole, senza punti fermi (morali o religiosi), si è aperta la strada alle fabbriche dei sogni e dei consumi, immolando sull'altare del mondo nuovo possibile le certezze acquisite.
Come era prevedibile, parallelamente alla mondializzazione intesa nelle sue molteplici sfaccettature, si è affiancato - nella logica degli opposti estremismi - un radicalismo opposto (anch'esso nelle sue molteplici sfaccettature) che sfocia nel tribalismo, nel contenitore di nicchia, nella comunità chiusa. Quindi tribalismo figlio dell'uniformità globale, uniformità globale figlia della cultura progressista. I due percorsi soffrono di un male incurabile: pretendono di essere l'uno portatore di cammini già (as)segnati e immodificabili, l'altro portatore di verità assolute e di salvezza per l'intera umanità. I "camerieri della globalizzazione", intuendo lo spirito del periodo storico, se ne fanno interpreti, per una qualunque piccola o grande convenienza. Gli "integralisti del particolare", portatori di messaggi salvifici, si presentano come unica (e ultima) scialuppa di salvataggio del transatlantico alla deriva (anche in questo caso per una qualunque piccola o grande convenienza).
E la politica? Oscilla, riducendosi e dividendosi in favorevoli e contrari, come in Aula. Questo è il sintomo di una malattia silenziosa che eleva il presente a bene assoluto: assolutizzando l'oggi, il presente, l'attuale, senza slanci ideali e progettuali, la politica elude il suo fondamentale scopo, divenendo mera esecutrice di decisioni prese altrove o riducendosi a semplice amministratrice dell'attualità. La politica ha come nobile missione quella di incidere sugli eventi in corso, rappresentando interessi generali e valori condivisi. Questo potrà avvenire se sarà recuperato il naturale - perché conferitoci dal fato - senso di comunità, inteso come appartenenza comune a identici destini (Identità) e come appartenenza comune a un luogo (Radicamento). Poggiando saldamente su un luogo, sarà superata quella visione temporale della vita (infausta eredità sessantottarda), recuperando certezze tramandate, concretezza, solide fondamenta.
Abbiamo così riportato il discorso sulla diade Luogo-Tempo, tanto cara alla cultura di destra. Se la terra in cui è radicata la nostra comunità è il Luogo di cui sopra, la globalizzazione è un Tempo. Lo spazio temporale, le ere, il Tempo svaniscono, finiscono: implodono drasticamente o muoiono dolcemente. Il Luogo invece non muore, rimane; magari trascurato, magari abbandonato, ma rimane. Il Luogo è la terra in cui affonda la nostra radice. Il Luogo dilata il Tempo: quando il Tempo muore chiede al Luogo di conservargli gioie e dolori.
Ecco la forza del radicamento, ecco la debolezza della globalizzazione.
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