EXCALIBUR 33 - gennaio 2002
in questo numero

Pensieri di guerra

È la guerra il più grande flagello dell'umanità o, a fronte di un fenomeno a volte inevitabile, bisogna preoccuparsi più per il cattivo uso della tecnologia?

di Toto Sirigu
Cercate pure le ragioni del conflitto attuale nella storia, nella geografia, nella diversità religiosa. Cercate pure le radici del conflitto. Anzi le radici delle radici delle radici del conflitto. Fiumi di parole, torrenti di concetti, cascate di presunti elementi oggettivi... eppure non siete convincenti.
E se trovassimo dentro di noi la proiezione del conflitto Bush-Laden?
Dentro ciascuna nostra esistenza (materiale e spirituale) c'è spazio per la "pace" e per la "guerra". Fisicamente parlando, il nostro sistema immunitario (la versione "personale" degli eserciti degli Stati) è sempre all'erta, spesso combatte duramente contro gli intrusi (virus, batteri, ecc.) o contro frange ribelli interne (tumori, ecc.) disposte a tutto. Insomma nel nostro corpo si alternano periodi di "pace armata" con periodi di vero e proprio conflitto sanguinoso. C'è da stupirsi per questo? È il caso di approfondire più di tanto? È così e basta.
Ancora, spiritualmente parlando, quando il nostro "io" (e capita spesso) assorbe valori, schemi, visioni, concetti assai diversi tra loro, si scatena un duro confronto-conflitto che di solito termina con vincitori e sconfitti: pensate alle cosiddette "crisi di coscienza". Anche nella nostra dimensione spirituale, quindi, convivono pace e guerra.
Così, passando dalla dimensione individuale a quella dei popoli, se cancellassimo dal nostro pianeta il binomio pace-guerra ci sarebbe un'unica vittima, ma troppo illustre per poterne fare a meno: l'essere umano. Sotto questo aspetto, e facendo una battuta, si potrebbero, tra l'altro, ringraziare i nostri pacifisti a oltranza e a orologeria: continuate così, lo stile della vostra lotta è comunque garanzia di sopravvivenza per tutti noi.
Tutto questo discorso serve forse per confermare la saggezza di una semplice affermazione: le guerre sempre ci sono state e sempre ci saranno. È, comunque, anche certo che sia meglio evitarle e spendersi in tal senso: interrompere il cammino terreno di questa o quella persona non è cosa né bella né affascinante. Le guerre quindi a volte sono indispensabili. E durante queste guerre ci scappano le vittime civili e militari.
Ciò che non rallegra è rappresentato dal fatto che gli occidentali sono stati abituati, anche da una certa impostazione dei mass media, a svuotare il serbatoio dei sentimenti solo quando sono dinanzi proprio alla tv. E la tv ci insegna che è giusto indignarsi per i morti causati dalla guerra tradizionale. Ci nasconde però la carneficina annuale causata dall'attuale assetto tecnologico. Per i primi dobbiamo spesso subire incontri, interviste, documentari, reportage e quant'altro; per i secondi basta la solita notizia di cronaca, raramente oggetto di approfondimento.
Sorge spontanea, a questo punto, una domanda. Ma quanto vale effettivamente una vita oggi, nel mondo occidentale tecnologicamente avanzato? Forse non ce ne accorgiamo, ma a volte paghiamo, magari con carta di credito, per morire. È il caso dei morti negli incidenti automobilistici, 8 mila l'anno in Italia. Oppure scopriamo che la morte è giunta dietro l'angolo della nostra nuova cucina arredata all'ultima moda: altri 8 mila morti l'anno per incidenti domestici. Ancora più brutta è la morte nel posto di lavoro: altri mille morti. Uno va a lavorare per vivere, magari in nero e senza alcuna precauzione sotto il profilo della sicurezza, e invece scopre che sta lavorando per morire prima del tempo.
Nella società occidentale tecnologicamente avanzata, la tecnologia con una mano salva, con l'altra condanna; con una mano aiuta a vivere di più, con l'altra a vivere di meno; con un gesto della mano dichiara guerra, con un altro gesto impone la pace. E dietro la tecnologia c'è sempre quel gran genio che è l'uomo.
La guerra tradizionale la prepara, la finanzia e la scatena l'uomo. La tecnologia, anche quella assassina, la prepara, la finanzia e la applica sempre l'uomo. L'unica differenza sta nel concepire diversamente il valore della vita davanti ai due fenomeni: nel primo caso c'è la piena cognizione della tragicità della perdita, nel secondo il più delle volte no.
Morale? Vedete voi. È difficile organizzare di tutto ciò una compiuta sintesi organica. Io sarei propenso a coniare un'espressione contenitore che potrebbe, se riempita, essere utile per leggere diversi aspetti del nostro mondo contemporaneo: "anarchismo ordinato". Provate a riempire di senso questa espressione; magari ci ridiamo appuntamento attraverso queste pagine. Solo dopo aver compreso l'attuale realtà sarà possibile, con ardita consapevolezza, attrezzarsi per darle un volto diverso e migliore.
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