EXCALIBUR 33 - gennaio 2002
nello Speciale...

Italy go home!

A sinistra: George Catlett Marshall
Sotto: 4 aprile 1949, due importanti firme del Trattato Nord Atlantico, quelle dei Ministri degli Esteri italiano Carlo Sforza e americano Dean G. Acheson
In questo contesto, non certo favorevole all'Italia, iniziarono nel luglio del 1948 le trattative fra Stati Uniti, Canada e i cinque paesi del patto di Bruxelles. Trattative che si chiusero il 15 marzo del 1949 con la creazione del Patto Atlantico. Gli Americani, a seguito dei rifiuti di De Gasperi, avevano il dente avvelenato, tanto che Truman depennò personalmente il nome del Ministro degli Esteri Sforza dalla lista dei Ministri da invitare per il futuro negoziato, e in una riunione ristretta tra il titolare del Dipartimento di Stato Marshall, il Sottosegretario Lovet e il Senatore Vandeberg si stabilì che non era opportuno avere l'Italia nell'alleanza «perché avrebbe distrutto la naturale base geografica dell'area atlantica». Per gli Americani questo motivo sarebbe venuto meno se l'Italia fosse diventata membro dell'U.E.O.. Ma ciò non era che un escamotage per lasciare all'Italia l'onere di un'eventuale iniziativa in tal senso - e all'U.E.O. la decisione di accoglierla - il che, data la posizione dell'U.E.O., corrispondeva a una chiusura mascherata, cioè gli Stati Uniti non si accollavano l'onere di opporre un rifiuto in prima persona.
C'è da dire che a questo atteggiamento del governo U.S.A. si opponeva la lobby filoitaliana del Dipartimento di Stato, che, pur non essendo fortissima, si mosse tuttavia in due direzioni: sia verso l'Italia, spingendola a fare dei passi verso l'U.E.O., sia verso i paesi della stessa U.E.O., affinché rivedessero il proprio atteggiamento nei confronti dell'Italia.
Dal canto loro gli ambasciatori italiani, da Washington, Londra e Parigi, spingevano il governo italiano a muoversi, poiché, a differenza di quanto si pensava a Roma, gli "alleati" non avevano nessuna intenzione di discutere anche con l'Italia la formulazione della nuova alleanza politico-militare euro-americana, né tantomeno di subire condizioni perché eventualmente l'Italia aderisse... anzi! Spiegavano poi, gli ambasciatori, che questa volta erano in ballo due cose di cui l'Italia non poteva assolutamente fare a meno: 1) la garanzia militare degli U.S.A. a tutti gli Stati aderenti al patto; 2) consistenti finanziamenti e aiuti militari agli stessi Stati.
La posizione americana rimase invariata per tutto il 1948, tant'è che risposero negativamente a un patto di garanzia bilaterale proposto dal governo italiano, mentre Marshall, in visita a Roma il 18 ottobre del 1948, si guardò bene dal fare alcunché invito a De Gasperi affinché aderisse al Patto Atlantico.
Ma il "problema italiano" si avviò a soluzione per un fatto del tutto inaspettato: alla fine del 1948 la Francia, a sorpresa, chiese che l'Italia facesse parte del Patto Atlantico. La Francia si era risoluta a ciò in considerazione della sua esigenza di coprire militarmente l'Algeria, che gli alleati non volevano "garantire" in quanto colonia e non territorio nazionale francese.
In questo frangente vi erano state anche due iniziative italiane: a dicembre il Parlamento si era espresso a favore di un'alleanza occidentale, mentre il 6 gennaio 1949 il governo inviò un memorandum a tutti i Paesi occidentali nel quale si indicavano i limiti della propria disponibilità e, in sostanza, si sondavano le intenzioni altrui. Il documento si chiudeva così: «Appena in possesso di tutti gli elementi che ci perverranno da Washington, noi saremo pronti per una formulazione di proposte concrete su cui chiedere un voto del Parlamento». L'Italia chiedeva cioè notizie per poter presentare le sue proposte a una trattativa per l'adesione. Ovviamente il memorandum non ebbe nessuna risposta. Pur tuttavia la domanda di adesione al Consiglio d'Europa in qualità di socio fondatore fatta dall'Italia fu accolta grazie al decisivo appoggio della Francia.
Ma nella stessa riunione dell'U.E.O., nella quale l'Italia fu ammessa al Consiglio d'Europa, si discusse anche della sua adesione al Patto Atlantico. Fu deciso che il problema non si poneva, visto che non vi era stata nessuna richiesta italiana in tal senso. Tant'è che il nuovo titolare del Dipartimento di Stato U.S.A., Dean Acheson, dopo avergli fatto fare un mese di anticamera, comunicò all'ambasciatore Tarchiani che doveva ancora studiare il caso, come dire che ormai per l'Italia non c'era più niente da fare.
Ma il 25 febbraio, mentre si discuteva di far partecipare subito la Norvegia, oggetto di minacce e pressioni da parte dell'Unione Sovietica, durante i lavori, il delegato francese - che aveva sempre il problema dell'Algeria da risolvere - disse che o si invitava subito anche l'Italia oppure il suo Paese non avrebbe accettato la Norvegia. Acheson sottopose la questione a Truman, il quale disse che egli era «portato a ritenere che sarebbe più saggio non avere l'Italia fra i membri originari dell'alleanza e possibilmente non averla neanche in futuro». Malgrado ciò, il delegato francese non volle sentire ragioni: «Il Parlamento francese non avrebbe mai ratificato un trattato che non garantiva l'Algeria e escludeva l'Italia».
La questione ritornò nelle mani di Truman, al quale il Dipartimento di Stato sottopose un documento nel quale, fra l'altro, si diceva che «in due guerre mondiali l'Italia si è dimostrata un alleato inefficace e infido, avendo cambiato campo in entrambe le guerre [...]. Nel 1940 l'Italia ha pugnalato alle spalle la Francia e la Gran Bretagna». Poi però Acheson spiegò che ormai il caso Italia andava affrontato in termini diversi, sia perché la posizione francese aveva fatto cambiare opinione anche a Belgio, Olanda e Lussemburgo, sia perché un considerevole ritardo nella stipula del trattato avrebbe evidenziato una grande divisione nel mondo occidentale. Acheson riferì poi così: «Il Presidente accettò il consiglio e mi disse di procedere su quella base. Egli avrebbe preferito, almeno in questo momento, un patto senza l'Italia, ma si rendeva conto che, data la situazione, doveva accettarla». Egli comunicò ai delegati occidentali la decisione del Presidente U.S.A.. Solo il Francese ne fu soddisfatto. Il delegato inglese dichiarò che non voleva la partecipazione italiana al negoziato finché il testo del trattato non fosse stato messo a punto. Il 7 marzo fu rivolto all'ambasciatore Tarchiani l'invito ad aderire: "prendere o lasciare".
In contemporanea in Italia, partiti, sindacati, stampa di centro, di sinistra e di destra si accapigliavano sul "parecchio" che si sarebbe potuto ottenere mercanteggiando il nostro "apporto" all'Ovest, rimanendo neutrali o addirittura guardando a Est.
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