EXCALIBUR 36 - maggio/giugno 2002
in questo numero

Voglia di destra in Europa

Finalmente, dopo anni di predominio delle sinistre, in tutta Europa si risveglia l'anima nazionalpopolare

di Stefania Burini
Signore e signori la socialdemocrazia va in pensione: dopo oltre un decennio di incontrastato dominio su tutta Europa, la sinistra cede il passo alle destre. Archiviata l'era in cui la socialdemocrazia era propagandata da molti come l'unico mondo possibile, dalle urne di buona parte d'Europa arriva una sonante bacchettata alla politica arteriosclerotica delle sinistre.
I paesi in cui la destra è al governo o guadagna forti consensi sono ormai la maggioranza: si va dall'Italia alla Spagna, dal Portogallo all'Austria, e ancora Irlanda, Lussemburgo, Danimarca. Non dimentichiamo poi l'eclatante risultato del partito di Pin Fortuyn in Olanda o la crescita dei Republikaner in Germania e delle Vlaams Blok in Belgio. La destra vince, anzi "le destre" vincono sia che si attestino su posizioni antagoniste alla Haider, sia che si propongano come forza di governo come Aznar. Talvolta stravincono perché finalmente captano e sintetizzano con lungimiranza e programmi accattivanti gli umori dell'elettorato. La destra acquista consenso tra gli orfani di quel linguaggio sociale che per anni hanno garantito il potere delle sinistre. Guadagna consenso in quelle ampie sacche di malessere sociale e contestazione antisistema che sino a pochi anni fa erano inespugnabili roccaforti della sinistra.
Mentre le città europee fanno i conti con i frutti avvelenati dell'utopia delle 35 ore, della società multirraziale e di quel falso welfare che ha distribuito più privilegi che diritti - e che rischia adesso di portare il motore dell'economia europea, la Germania, sull'orlo del collasso - i partiti della socialdemocrazia si crogiolano in deliranti iniziative girotondine di stampo morettiano. Chiusi nel ghetto ideologico in cui si sono autonomamente esiliati, i partiti della sinistra europea disperdono energie in riti di isterismo collettivo alla Palavobis. Alla base dello sbandamento di tutte le sinistre europee vi è una chiara incapacità di edificare sulle ceneri del marxismo-leninismo un'identità culturale e politica credibile che li allinei all'unico modello di sinistra possibile, quello laburista inglese. E perciò mentre il Le Pen o il Fini di turno parla di inflazione, di famiglia, di sicurezza e disoccupazione, la sinistra rispolvera vecchi dogmatismi superati come antifascismo o antirazzismo. Propone ricette economiche anticrisi che fanno invidia a Cuba e si avvicinano sempre più al velleitarismo puramente distruttivo targato no-global.
Esempio paradigmatico della crisi delle sinistre europee è quanto accaduto in Francia, in cui la sinistra ha presentato ben otto candidati oltre a un programma con poche novità che non rispondeva assolutamente alle urgenze e ai timori della gente (la sorpresa francese è una anticipazione di ciò che di qui a poco avverrà in Germania con Stoiber). E ci fa un po' sorridere o forse sghignazzare malignamente che proprio la Francia più che altri abbia visto il trionfo di una destra direi senza complessi e, permettetemi il termine, nazionalpopolare (che nonostante l'assenza di fiuggiate ha raggiunto il 18%).
Sì, proprio quella stessa Francia schizzinosa e meschina che non ha mancato di fare la maestra dalla penna rossa maltrattandoci al salone del libro, o di metterci alla gogna dalle colonne di "Le Monde" e di "Le Figarò" (per la già grande sfiga di avere Berlusconi alla presidenza del consiglio), e che concede o revoca qua e là patenti di democrazia ai leader di destra salvo poi trovarsi in corsa per l'Eliseo l'istrionico Jean Marie. E personalmente questo non mi dispiace... che lo chiamino pure xenofobo populista... che dicano che è figlio di Vichi e Petain, ma il nostro Jean Marie rappresenta, nonostante gli accenti caricaturali e qualche dichiarazione scervellata sulle camere a gas, la Francia che non cede il timone al "pensiero unico", al dogma sacro della globalizzazione, e rispolvera valori come famiglia, tradizione, o idee strampalate come Stati nazionali, Europa-Nazione... siamo poi così diversi?
La Francia del Front National è giovane (l'elettorato del Front National si concentra per il 20% nella fascia d'età che va dai 18 ai 24 anni), operaia e talvolta disoccupata, non si sente tutelata da una sinistra che ricorda più il delirio utopista di Saint-Simon e Forrier che la politica di Blair, che proclama l'internazionale unità del proletariato in salsa no-global, esalta il mito della società multirazziale, però poi vive lontana dai ghetti di Marsiglia e Parigi, dove gli operai francesi convivono con l'immigrato mussulmano di ultima generazione. E liquida l'allarme sociale prodotto dall'immigrazione con un semplicistico rifiuto del razzismo, mentre la lotta tra poveri in un paese che ne ha 4,2 milioni e con un tasso di disoccupazione del 9% diventa un morbo che devasta tutta la nervatura sociale e porta, soprattutto nell'est della Francia, a duri scontri razziali.
Diversi i simboli, diverse le bandiere e talvolta opposte le personalità degli uomini (Le Pen non è certo simile al povero Fortuyn), ma è innegabile che in tutta Europa soffiano venti di destra (altro che entrare nel P.P.E.!). Adesso che il consenso di milioni di Europei ha abbattuto vecchi tabù e posto la parola "fine" alla dittatura culturale delle sinistre, resta da chiedersi... saremmo capaci di edificare una grande destra europea?
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