EXCALIBUR 36 - maggio/giugno 2002
in questo numero

I perché della crisi argentina

Un paese fino a un decennio fa in grande crescita, potenzialmente molto ricco, sta vivendo un momento di enorme crisi: vediamo perché...

di Ernesto Curreli
Dovendo spiegare in due parole la genesi della crisi economica che destabilizza dal 2000 l'Argentina si potrebbe dire che tutto deriva dall'orgogliosa difesa della parità di cambio del peso col dollaro statunitense. Iniziata undici anni fa e proseguita dal presidente Carlos S. Menem (1989-1999), questa parità ha progressivamente rovinato l'economia, portandola a una delle peggiori crisi della sua storia. Alla fine del 2001 il paese ha sostituito ben quattro presidenti in appena undici giorni, fino a quando il primo gennaio 2001 è stato nominato presidente e capo del governo il peronista Eduardo Duhalde, appoggiato da una fragile coalizione di fatto formata dal Partito Justizialista (peronisti, 101 seggi alla Camera dei Deputati) e dall'Unione Civica Radicale (centro moderato), che prima formava il cartello parlamentare di Alleanza (centrosinistra) che governava con 124 seggi.
Duhalde è dovuto correre ai ripari, confermando la sospensione del pagamento del debito pubblico e congelando i conti bancari di fronte all'assalto degli Argentini agli sportelli bancari. Proprio recentemente (23 aprile 2002) ha dovuto accettare le dimissioni del suo ministro dell'economia, Jorge Remes Lenicov, che ha gettato la spugna per i contrasti opposti dai peronisti e dai radicali al suo progetto di trasformare le somme depositate in banca in "buoni di debito" incassabili soltanto in pesos, che solo nominalmente rimangono valutati al cambio di 1,40 pesos per dollaro U.S.A.. In realtà, quanti volessero convertire il "buono" in dollari dovrebbero aspettare almeno dieci anni, termine imposto dal disegno di legge per impedire il collasso della repubblica sudamericana.
Adesso la moneta argentina è deprezzata del 71% rispetto alla valuta U.S.A. e l'inflazione marcia intorno al 16% nel primo quadrimestre del 2002. Il presidente peronista, d'altro canto, non può promettere alcunché, anzi deve imporre una stretta monetaria peggiore di quella proposta dall'ex ministro Lenicov: le autorità finanziarie del paese avvertono che la Corte Suprema ha già accolto 10.300 ricorsi per ottenere lo sblocco dei conti correnti, facendo uscire dai forzieri bancari 393 milioni di dollari (440 milioni di euro) e che i ricorsi passati in giudicato rappresentano appena il 5% dei giudizi pendenti nei primi gradi. Perciò, se passa la linea dei giudici, ben 20.000 milioni di pesos usciranno dal sistema bancario: una cifra spaventosa di carta moneta, difficilmente comprensibile anche con una calcolatrice professionale, comunque pari al doppio dell'effettiva massa finanziaria a disposizione del Paese. Ecco perché il presidente e molti esponenti peronisti insistono per bloccare la Corte Suprema con una legge costituzionale restrittiva(1).
Nel paese latino cominciano a mancare i generi alimentari di prima necessità, come il pane, il latte, l'olio. Ma molti economisti continuano a sostenere la necessità di non abbandonare la parità col dollaro, adducendo la mancanza di un valido piano economico e fiscale capace di sopportare i disagi che, paradossalmente, questo abbandono comporterebbe. Soprattutto rispetto all'entità del debito pubblico che, conteggiato in dollari U.S.A., sembra ancora abbordabile mentre col peso svalutato raggiungerebbe cifre impossibili. Ma come è potuto accadere tutto ciò?
L'Argentina è uno dei maggiori produttori mondiali di carne, latte, burro, formaggi e lana. La sua agricoltura è una delle più forti del mondo: è al 12º posto nella produzione di frumento (l'Italia è al 17º), al 6º nella produzione di mais (Italia al 9º) al 6º nella produzione di sorgo (Italia al 27º) al 14º per le patate (Italia al 23º) al 3º nella produzione di soia (Italia al 9º) all'8º per le arachidi (l'Italia ha una produzione talmente limitata che non compare nelle classifiche di settore) al 6º per la lana lavata (Italia al 37º), al 5º posto per bovini e cavalli (Italia rispettivamente al 32º e al 34º), al 18º posto per la pesca (Italia al 45º). Potremo continuare elencando la produzione di petrolio, dove l'Argentina è al 18º posto (Italia al 43º) o i comparti industriali: 1.384.00 autovetture e 301.000 veicoli commerciali prodotti in Italia nel 1998, contro rispettivamente 353.000 e 104.000 dell'Argentina, che ha però 37 milioni di abitanti rispetto ai 57 milioni dell'Italia e una tradizione industriale decisamente meno evoluta (statistiche del 1999 se non indicato diversamente)(2). Un'economia sana e forte, insomma, che non lasciava prevedere un disastro simile. E allora?
È stata la cocciuta difesa della parità monetaria a colpire l'economia: il forte valore del peso ha progressivamente bloccato le esportazioni agricole e industriali argentine, che prima invadevano i mercati statunitensi, europei e asiatici. Malgrado le esportazioni fossero diventate meno competitive rispetto ad altri sistemi con moneta più debole, la parità è stata voluta sia dalle sinistre sia dalle destre, desiderose di risollevare l'orgoglio nazionale argentino depresso dalla guerra delle Maldive e a lungo compromesso dai sanguinari regimi militari (1976-1983), che hanno provocato anche gravi lacerazioni sociali. Inoltre c'è da mettere nel conto che i piani di aiuto del Fondo Monetario Internazionale ancora una volta hanno dimostrato di agire secondo una logica capitalista che non è rivolta soltanto al sostegno e al risanamento finanziario ma che è ispirata anche da esigenze di "controllo" internazionale. Ogni rinegoziazione dei programmi di prestito del F.M.I. e della Banca Mondiale(3) ha provocato infatti un ulteriore indebitamento del martoriato paese, ormai sul punto di dichiarare la totale bancarotta e di perdere definitivamente la sua sovranità.
Come è accaduto nel 1850 al Paraguay, sistemato da Inglesi e Americani con una tecnica molto simile. Ma questa è un'altra storia, che forse racconterò in un prossimo numero.
(1) Diario independiente "El Pais", Ediciòn Europa, Madrid, 24 aprile 2002;
(2) Atlante Istituto Geografico De Agostini, Novara, 2002;
(3) F.M.I.: www.oecd.org - World Trade Organization: www.wto.org.
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