EXCALIBUR 39 - novembre/dicembre 2002
in questo numero

Cirami e i legittimi sospetti

Le ragioni del sì e del no alla contestatissima legge sul "legittimo sospetto"

di Toto Sirigu
Il senatore del centrosinistra, Dalla Chiesa, è arrivato a rivolgere un interrogativo perlomeno definibile come offensivo per i suoi colleghi: «Ma questo è il Senato o lo studio dell'avv. Previti?». Ancora, qualcuno parla della pagina più triste della nostra Repubblica.
Tutto ciò, e tanto altro ancora, è stato dichiarato con riferimento alla legge "Cirami", riguardante il cosiddetto "legittimo sospetto". Dopo diversi passaggi avvenuti alla Camera e al Senato, è stata definitivamente approvata dal Parlamento. Si tratta di sei articoli che modificano gli artt. dal 45 al 49 del codice di procedura penale.
Cirami... "chi è costui"? Il suo nome è Melchiorre, magistrato siciliano, 59 anni, eletto in Parlamento nel 2001 nelle file del C.C.D.. È quindi una persona che dovrebbe conoscere bene la materia che ha deciso di trattare in sede di riforma.
Ma cosa dice questo disegno normativo? Rimodula i casi di "rimessione" del processo, ovverosia i casi in cui il giudizio possa essere trasferito a un diverso magistrato e quindi a un'altra sede (già per legge precostituita). In sostanza, quando l'imputato ritiene di avere dinnanzi un giudice che non è "terzo" (così come chiede, in sede di enunciazione dei princìpi del giusto processo, l'art. 111 della Costituzione), bensì parziale, nel senso che si creano e/o alimentano «gravi situazioni locali [...] che determinano motivi di legittimo sospetto», è possibile chiedere alla Corte di Cassazione lo spostamento del giudizio. A seguito di tale richiesta la vicenda processuale viene bloccata sino a che la Corte non deciderà. La sospensione abbraccia anche i termini prescrizionali e della custodia cautelare (non c'è quindi il rischio che si estingua il processo o che l'imputato, agli arresti, esca dal carcere).
Dove sta lo scandalo? Forse l'unica perplessità riguarda l'alta velocità dell'iter parlamentare del disegno di legge: qualche settore della maggioranza avrebbe voluto aprire il Parlamento in agosto pur di approvare questa riforma. Per il resto la maggioranza parlamentare di centrodestra e il proponente, Sen. Melchiorre, si sono attivati al solo scopo di colmare un vuoto normativo.
Già l'art. 2, comma 1, n. 17 della legge delega n. 81 del 16 febbraio 1987, emanata in vista della riforma del codice di procedura penale, prevedeva espressamente l'inserimento, tra i casi di rimessione, del legittimo sospetto (in precedenza lo stesso Codice Rocco, in vigore durante la "terribile" epoca fascista, inseriva nell'art. 55 del c.p.p. la rimessione «per gravi motivi di ordine pubblico o per legittimo sospetto»), ma in sede di attuazione quella dicitura sparì. Il sen. Melchiorre, perciò, non ha fatto altro che adeguarsi alla recentissima sentenza della Corte di Cassazione (n. 18 del 29 maggio 2002), che ha affermato come i casi di rimessione del processo, di cui all'art. 45 del c.p.p., non siano corrispondenti né alle previsioni della legge delega n. 81 del 16 febbraio 1987, né ai nuovi princìpi sul giusto processo di cui all'art. 111 della nostra Carta Costituzionale.
Tutto ciò poteva essere fatto con più calma? Forse. E infatti sarebbe giusto, d'ora in avanti, avere una classe politica che si preoccupi sempre, in modo sollecito, dei vuoti normativi. In troppi si sono allarmati per questo ritocco al codice, in molti hanno fatto riferimento al presunto regalo che, agendo così, si farebbe a Previti e soci. La verità è che delle leggi emanate dal Parlamento usufruiscono tutti i cittadini, e se Previti è un cittadino... anche lui!
Concluderei con delle considerazioni ("Opinione on line" del 19 ottobre 2002) calzanti a pennello con l'esigenza delle suesposte modifiche di legge fatte, sul processo penale, dall'avv. Giacomo Borrione, rappresentante del Comitato Nazionale per la Giustizia: «Ritorniamo alla filosofia del processo. A nessuno può sfuggire che il processo è lo strumento che serve ad affermare la verità processuale. Non è fatto per ottenere la verità assoluta, quella compete solo a Dio, ma soltanto quella che emerge dagli atti del processo. È proprio per questo, perché nessuno è in possesso della verità, che il processo si basa su un sistema dialettico in cui le parti si confrontano, ciascuna tendente a dimostrare le proprie tesi in presenza di un terzo soggetto, il giudice, che, in base alle prove presentate dalle parti, deve decidere chi ha ragione. Perché ciò avvenga è necessario che il giudice sia terzo rispetto alle parti. Non sia, in sostanza, legato a nessuna delle parti. "Nemo judex in causa propria", recita uno dei princìpi romanistici più inoppugnabili».
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