EXCALIBUR 46 - giugno 2008
nello Speciale...

Vincitori e vinti nel 1946

Sopra: il libro di Giorgio Almirante
Sotto: una sua curiosa espressione
A destra Giorgio Almirante, nel libro "Autobiografia di un fucilatore" del 1973, afferma: «Il solo atto concreto di pacificazione fu compiuto proprio da Togliatti, ministro guardasigilli, con la famosa amnistia politica del 1946.
Anche Togliatti sbagliò, perché fu subito chiaro il fine strumentale di quell'amnistia, che in verità tendeva non a pacificare, ma ad assorbire fascisti di base e qualche volta di vertice
».
Giudizio, questo, a mio avviso riduttivo: l'amnistia nasceva da motivazioni più alte, che andavano ben oltre le esigenze di bottega di partito (di tutti i partiti), che pure ci furono. Motivazioni che avevano a che fare col quadro politico internazionale in cui l'Italia si trovò a operare in quello scorcio del 1946, quando, passata l'ubriacatura della liberazione, si prese coscienza non solo di essere un paese sconfitto e ancora considerato nemico dai suoi liberatori, ma anche occupato e soggetto alle disposizioni della commissione di controllo alleata.
La quale commissione non gradì affatto la promulgazione dell'amnistia, tant'è che il 25 giugno del 1946 l'ammiraglio Stone, commissario capo della commissione, così scrisse al presidente del consiglio Alcide De Gasperi: «Apprendo che il consiglio dei ministri ha in esame un decreto legge in base al quale verrebbe concessa un'amnistia ad alcuni individui condannati dai tribunali italiani dopo l'8 settembre del 1943.
Ai sensi dell'art. 30 del lungo armistizio e della dichiarazione di Mosca del 1943, i governi Alleati sono interessati al contenuto del sopra citato decreto per tutto ciò che riferisce a persone fasciste.
Le sarò grato perciò, caro Signor Presidente, se vorrà farmi avere lo schema definitivo di detto decreto e tenermi informato in merito
».
La classe politica italiana succeduta al fascismo fece eccessivo affidamento alle ingannevoli promesse degli Alleati: pensava che l'essersi sbarazzata di Mussolini, l'aver dichiarato guerra alla Germania, l'aver fatto la resistenza, fossero condizioni più che sufficienti per ottenere una pace onorevole o, quantomeno, per salvaguardare l'integrità del territorio nazionale.
Gli Alleati, a partire dal maggio del 1945, rimarcarono nella maniera più brutale il fatto che l'Italia era un paese sconfitto e che gli Italiani (tutti gli Italiani, fascisti e non) dovevano considerarsi nemici almeno sino alla sottoscrizione del trattato di pace.
Si andò dall'arresto di migliaia di partigiani rei di non aver ottemperato alle disposizioni del comando alleato, soprattutto per ciò che concerneva la consegna delle armi, all'arresto di Pietro Nenni, ministro del governo, per aver tenuto una riunione a Vercelli senza la preventiva autorizzazione del comando alleato.
Ci fu poi la divulgazione delle clausole del cosiddetto armistizio lungo, tenute sino ad allora segrete, e infine i diktat del trattato di pace con la perdita di parti importanti del territorio nazionale, la perdita delle colonie, la consegna della nostra flotta, il pagamento di enormi somme per danni di guerra, il sequestro dei beni italiani in tutti i paesi nostri ex nemici (oltre venti).
Altro che sconfitta del fascismo e dei fascisti! Qui pagavano tutti: dai monarchici ai comunisti, dai partigiani a tutti gli antifascisti della prima e dell'ultima ora! E, per giunta, dovevano pagare avendo in passato pensato di dover incassare in quanto vincitori del "Tedesco invasore"! Almeno i fascisti pagavano per aver perso e perso con onore! Senza contare che la cosiddetta Repubblica di Salò consegnava ai "vincitori" del Regno del Sud l'intero apparato industriale del nord intatto al 90%, un bilancio dello Stato e di tutte le altre amministrazioni pubbliche in ordine e in attivo, un corpo di pubblici dipendenti qualificato ed efficiente.
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