EXCALIBUR 47 - novembre 2007
in questo numero

Breve storia delle rivolte fiscali

Analisi storico-politica su fisco e dintorni

di Ernesto Curreli
Sopra: i quattro moschettieri della rivolta fiscale: Silvio Berlusconi, Umberto Bossi, Giulio Tremonti e Roberto Calderoli
Sotto: il fustigatore Romano Prodi
Da secoli Roma conosceva la forza di Galli e Germani, ma era sempre riuscita a tenerli a freno. Già al tempo di Tacito, tuttavia, i Romani con crescente preoccupazione intuivano il pericolo che si addensava sull'impero. Lo storico, descrivendo le popolazioni germaniche cui era stato permesso di stanziarsi entro i confini dell'impero (la Gallia Belgica), affermava che quelle popolazioni ormai si distinguevano dai Galli soltanto perché non sopportavano imposizioni erariali: «I Batavi non devono sottostare né all'umiliazione dei tributi né allo sfruttamento dei pubblicani», ossia alle esattorie dell'epoca. Esentati dalle imposte e dalle contribuzioni straordinarie, «vengono tenuti in serbo per i combattimenti» nei ranghi degli ausiliari. Insomma, popoli pur assoggettati offrivano sangue da guerrieri liberi piuttosto che oro tributario, segno inconfondibile di servitù.
La pressione fiscale sulle popolazioni aumentò dal III secolo per le spese dell'esercito e in misura minore per l'amministrazione. La ferocia delle esazioni tributarie era una conseguenza delle continue minacce alle frontiere. In teoria, visto che la coscrizione obbligatoria non era stata abolita, ogni proprietario terriero, oltre all'imposta, era tenuto a fornire all'esercito un certo numero di contadini liberi, mentre i piccoli proprietari erano costretti a riunirsi in consorzio per designare uno di loro e contribuire alle spese del suo mantenimento. Molti cominciarono a sottrarsi a tali obblighi, disertando o consegnando la loro persona e le loro terre a patroni che per il loro alto rango erano in grado di contrastare il fisco imperiale. Gli imperatori sempre più dovettero fare ricorso alle truppe barbariche. L'archeologia ci ha fornito risultati sorprendenti sui cimiteri militari del IV e inizio del V secolo d.C.. Intorno a Vermand (San Quintino), il venti percento delle sepolture militari appartiene a Germani, mentre a Furfooz, nel Belgio meridionale, la percentuale sale al settanta.
I barbari non potevano comprendere a quale sforzo fosse chiamata la popolazione: buona parte del grano requisito nell'Africa e nell'Italia convergeva verso Roma e verso le basi legionarie stanziate lungo il Danubio; le pianure della Gallia e quelle intorno a Londra provvedevano ai bisogni delle truppe in Britannia e lungo il Reno. Dopo qualche tempo, l'Italia intera venne dichiarata "annonaria", perché obbligata a fornire l'annona per l'esercito. Si giunse al paradosso per cui, grazie ad alcune riforme in prospettiva sbagliate e subito sfruttate dai grandi latifondisti, i contadini liberi avevano da invidiare gli schiavi, non soggetti a imposte e al servizio militare.
Lo storico Edward Gibbon ha per lungo tempo influenzato gli studiosi sostenendo che l'impero cadde a causa del Cristianesimo. Oggi gli storici pensano che quella fu solo una concausa: l'enorme pressione fiscale ebbe forse un peso ancor più determinante. Il declino e la caduta della società romana, in conclusione, fu la conseguenza di una struttura sociale che assorbiva continuamente risorse economiche, stremando irrimediabilmente la popolazione. Scoppiarono rivolte fiscali, mentre nelle campagne i villici temevano più i soldati e gli esattori che non i briganti e i barbari. Quando questi giunsero, molti scrittori tramandano che spesso erano accolti se non come liberatori almeno come coloro che avrebbero posto fine a un fisco rapace.
Il rifiuto o la rivolta per l'impossibilità di assoggettarsi a una contribuzione esosa e ingiusta è un fenomeno che accompagna la storia delle civiltà. In tempi a noi vicini sappiamo che gli Stati Uniti sono nati per una rivolta contro la tassa sul tè e Gandhi ha dato inizio alla liberazione dell'India suscitando la rivolta per la tassa sul sale. Per converso, accade sempre che l'organizzazione statale che determina una tale pressione sia la conseguenza di una struttura sociale che non può mutare se non con una rivoluzione, violenta o meno.
In Italia siamo al punto che la società è strutturata in una maniera tale per cui nessuno, a sinistra come a destra, è in grado di attenuare la pressione fiscale, che è ben superiore al 45% ufficiale. Non è solo questione di caste e di privilegi, ma è l'intero sistema Paese che non può più reggersi in questo modo. Esistono settori economici che hanno a oggetto la "solidarietà sociale" (cooperative, onlus, sindacati straricchi che ormai campano di enormi rendite parassitarie immobiliari), ma che conseguono nella pratica il più alto e spudorato profitto, sottratti per legge alle normali imposizioni. Oppure assistiamo grandi imprese di interesse pubblico, le quali, se pagano imposte, sono contraccambiate con scandalosi corrispettivi pubblici (Fiat, Alitalia, ecc.), cooperative rosse esentate vergognosamente e perciò in grado di scalare la più importante banca italiana.
Poi c'è l'anomalia tutta italiana di una categoria di dipendenti pubblici composta da 3,3 milioni di persone, in parte spesso assenteiste, incapaci e rese per legge irresponsabili delle loro azioni. E ci sono i filosofi, gli psicologi e i volontari, che percepiscono laute ricompense dallo Stato, che quotidianamente pontificano sull'obbligo di aiutare, sostenere e dare case, moschee, campi attrezzati, denaro e lavoro - ma quale? - agli immigrati, che sono uguali a noi e però sono soltanto più sfortunati e non hanno colpe se le loro culture gli impongono di calpestare la nostra, di non lavorare, di vivere nel crimine o nell'assoluta prepotenza.
La gente non ne può più e comincia a manifestarlo apertamente. Ma i ministri che governano gli Italiani sono con gli immigrati, non con quei fastidiosi cittadini che protestano educatamente: Paolo Ferrero la settimana scorsa (Panorama, 27 settembre 2007) ha dichiarato: «Gli immigrati? Sono incazzati come bestie, li invito a scendere in piazza».
E ancora... ci sono gli schieramenti politici, sempre più avversati dalla popolazione e sempre più isolati. Da sinistra ci dicono che occorre più solidarietà non solo verso il sistema parassitario e inefficiente, ma anche verso gli immigrati, i mantenuti, i violenti. E quindi è giusto l'indulto, l'accattonaggio, la ruberia legalizzata a vantaggio di interi comparti economici. Tutto questo è giusto, affermano da tivù e giornali sempre in loro mano e quindi obbligano i cittadini a contribuire ancora di più. Spremuti fino allo sfinimento, fino a provocare la recessione economica e, finalmente, la rivolta. Dicono che siamo tutti evasori fiscali e che a pagare sono solo i lavoratori dipendenti. A destra hanno governato per cinque anni con un'ampia maggioranza, ma interessi e opinioni divergenti non hanno portato alla riduzione della spesa pubblica, alla definitiva abolizione degli enti inutili (sono ancora 187, con centinaia di migliaia di lavoratori che non gestiscono nemmeno le procedure di liquidazione) e a una ristrutturazione più equa ed efficiente della società.
In questi giorni, durante un dibattito in una nota trasmissione di "La 7", un filosofo milanese ha sostenuto che l'odio della gente verso gli immigrati che hanno sterminato intere famiglie nel Veneto deriva semplicemente dal fatto che gli Italiani, a causa del fallimento personale in materia professionale o sentimentale, hanno la necessità di attribuire le loro difficoltà agli stranieri i quali, poverini, appartengono a un'altra cultura e vanno compresi e aiutati.
È diventato un dialogo tra sordi. Nei dibattiti i giornalisti rossi conducono un gioco che nessuno vuole più seguire. Iniziano descrivendo le difficoltà della gente, più per dimostrare la loro obiettività che per convinzione, poi danno la parola a sindacalisti ed economisti di dubbia onestà, che subito riportano il dibattito dove hanno precedentemente concordato di portarlo: la colpa del dissesto economico è degli evasori, non è vero che c'è un allarme sociale, gli episodi criminali compiuti da bande slave e rumene che sconfinano a est (come gli antichi barbari) sono appunto episodi e non bisogna generalizzare, altrimenti il razzismo cresce. Siamo in Europa, perbacco, non dobbiamo fare figuracce!
Quando il dialogo diventa impossibile perché nessuno vuole più ascoltare le ragioni dell'altro, quando i politici di tutti i colori non comprendono che la popolazione è stremata e che non ascolta più le suggestioni umanitarie, perché per prima cosa vuole pensare alle proprie famiglie e al futuro incerto cui le stanno portando migliaia di incapaci e profittatori parolai, allora esplode la rivolta. Legittima di fronte a un potere che è diventato illegittimo per la sua incapacità di modificare le ingiustizie strutturali del sistema.
tutti i numeri di EXCALIBUR
VICO SAN LUCIFERO