EXCALIBUR 48 - febbraio 2008
in questo numero

La Turchia in Europa

Le insidie di una difficile scelta influenzata da fattori politici, militari, economici, culturali e religiosi

di Ernesto Curreli
La Moschea Blu di Istanbul
Le mire sovietiche sull'Est europeo si erano nuovamente manifestate a Yalta (4-11 febbraio 1945) dove Roosevelt, pur di avere l'Urss nelle costituende Nazioni Unite, aveva ceduto su molti punti, come aveva già fatto nelle precedenti trattative di Dumbarton Oaks (Usa, settembre 1944) accogliendo l'insidiosa tesi sovietica di applicare il diritto di veto su qualsiasi decisione del Consiglio di Sicurezza. Winston Churchill e i militari britannici avevano capito da tempo che l'Est sarebbe caduto sotto l'egemonia sovietica. Per contrastare il pericolo, il premier era volato a Mosca (9 ottobre 1944) e con Stalin aveva stabilito una linea di confine oltre la quale i Russi non si sarebbero dovuti spingere. Erano le cosiddette "sfere di influenza", che ritagliavano percentuali di egemonia anche all'interno dei singoli Stati, ultimo patetico tentativo di creare un "cordone sanitario" intorno all'Armata Rossa.
La sorte della Turchia era rimasta in ombra: aveva dichiarato guerra alla Germania il 1 marzo 1945, pro forma ma giusto in tempo per essere riconosciuta membro fondatore dell'Onu. Sembrava tutto tranquillo, invece nei quartieri generali alleati il panico si diffuse il 19 di quello stesso mese, quando l'Urss annullò il patto di neutralità che la legava dal 1925 alla Turchia. Chiedeva senza tante cerimonie che le fossero cedute basi aeree e navali sugli Stretti. Per i Turchi fu terrore: sapevano, grazie alla diplomazia germanica, che nei patti Germania-Urss del novembre 1940 i Russi avevano chiesto a Hitler, in una futura spartizione europea, basi sui Dardanelli e la cessione dei distretti di Kars e Ardahan, regioni allo sbocco meridionale del Mar Nero. Hitler fece finta di abboccare, ma chiese ai Russi di evitare per il momento ogni complicazione nell'area: aveva già in mente l'invasione a sorpresa dell'Urss nella successiva primavera e non voleva giungere prematuramente allo scontro. Poi le cose andarono come sappiamo.
Le crescenti tensioni tra i blocchi Est-Ovest avevano spinto la Turchia sotto l'ombrello occidentale. Scoppiata la guerra di Corea, l'esercito turco vi aveva inviato soldati e molti di loro morirono in Estremo Oriente senza comprendere i motivi di quella guerra. Era però un passaggio necessario: nel 1951 la Turchia metteva in sicurezza le sue frontiere entrando nella Nato e da allora è sempre rimasta fedele all'alleanza atlantica. È difficile da credere, ma il suo esercito è il secondo per capacità militare dopo quello statunitense. Nel Medio Oriente è la forza militare dominante e la sua tecnologia bellica è in costante ammodernamento, tanto da poter cedere materiali militari ai Paesi vicini. Vendono soprattutto aerei militari con tecnologia "standard Nato" a Ungheria, Polonia (recenti membri Nato) e Austria, con crescente irritazione russa. Per bloccare l'espansione iraniana nell'area cedono inoltre materiali con avanzata strumentazione elettronica, realizzata in cooperazione con Israele, a Azerbaijan, Kazakhistan, Slovacchia e Bulgaria (anche queste ultime due recenti partner Nato).
Sembrava che nulla ostacolasse l'ingresso anche politico della Turchia nell'Unione europea. Con un'integrazione strategica e militare così stretta, solo motivi economici potevano ritardarne l'ingresso. L'Europa dei Mercanti, però, aveva dimostrato da tempo che le convenienze economiche possono conciliarsi facilmente: la Turchia fa parte del Consiglio d'Europa e fin dal 1963 è Paese associato alla Cee e successivamente all'Unione Europea, con la quale è in unione doganale dal 1996. Dal 2005, infine, è ufficialmente Paese candidato all'ingresso nell'Ue insieme a Macedonia e Croazia.
Dopo l'attacco al World Trade Center del 2001, tuttavia, il mondo è profondamente cambiato e i rapporti di forza tengono conto di nuovi fattori. La vecchia contrapposizione tra il blocco sovietico da una parte (Patto militare di Varsavia, espansione dei sistemi comunisti, liberazione dagli imperialismi - sic) e i sistemi occidentali dall'altra (liberismo economico, libertà individuali e politiche - sic, Patto Nato) era venuta meno con la caduta del Muro di Berlino (1989) e la dissoluzione sovietica (1991).
Dal 2002 c'è stato un rimescolamento che da un lato sembra far emergere situazioni nuove, dall'altro resuscita pregiudizi antichi. In Occidente l'Europa del burocratismo sinistroide ha preso le distanze dagli Usa e al suo interno gruppi minoritari ma importanti di estrema destra e di estrema sinistra sembrano essersi coalizzati nell'odio antiamericano, sposando identiche tesi e analisi sociopolitiche. L'odio antisemita li rende solidali ai gruppi islamici che reclamano la distruzione di Israele e il ritiro militare americano. Bandiere palestinesi e immagini di Stalin, Mao e Che Guevara sfilano insieme a croci celtiche, tra gruppi di giovani che da un lato salutano col pugno chiuso, dall'altro col saluto romano. Da tempo intellettuali di destra e di sinistra sono impegnati con furore a dimostrare che l'attacco alle Torri Gemelle è stato compiuto certamente dai seguaci di Osama Bin Laden ma all'interno di una cospirazione promossa dal governo americano. Diversi libri trasversali che sostengono questa tesi sono stati a lungo in cima alle classifiche francesi e italiane.
Cosa sta succedendo? Diversi analisti sostengono che ormai esistono non due ma tre supersistemi dotati di aspirazioni globali, che incidono sempre più sulle politiche delle macro aree. Uno è certamente identificabile nell'Islam militante, col suo cupo messaggio di intolleranza, estremismo, aggressione e pretese di controllo totalitario sulle masse. Un secondo supersistema è quello americano, col suo modello di liberismo economico, di individualismo teso perfino al raggiungimento della felicità, con un modello statale che interagisce sulla società in maniera limitata, senza intrusioni nella sfera delle libertà politiche e religiose. Infine c'è il terzo supersistema rappresentato dall'Europa, che accoglie alcuni aspetti del modello americano, quali l'accettazione del libero mercato e della tutela delle libertà politiche e religiose, ma che condivide anche alcuni aspetti del sistema islamico militante quali la politica filoaraba, la tutela e l'accoglienza senza contropartita di pericolose minoranze islamiche che non vorranno mai integrarsi, l'ostilità verso Israele, l'accettazione dei sistemi di governo forti e centralizzati (Francia, Italia), ai quali compete il raggiungimento dei propri fini anche contro la volontà dei cittadini. Basti pensare al nostro brutale sistema fiscale, a quello delle alleanze militari (molti Stati europei vietano referendum in materia), all'imposizione di un sistema superstatale europeo (l'Unione Europea) a fronte del quale le popolazioni non sono mai state chiamate a pronunciarsi.
In questo contesto appare imprudente anche a me, che fino a qualche tempo fa ero favorevole, far entrare la Turchia nell'Ue, quando conosce una recrudescenza islamista e a nulla valgono gli sforzi di quanti (esercito, società laica) tentano di fermarne la deriva. L'unica strategia possibile, al momento, è quella di un contenimento delle spinte fondamentaliste e successivamente di una progressivo indebolimento interno dei gruppi votati al fanatismo religioso e alla jihad. È una politica già tentata in passato dall'Ue, ma con molti errori. Perciò, prima di ogni opzione militare, è necessario agire politicamente, favorendo in ogni modo lo sviluppo economico e incoraggiando le riforme politiche, a fianco delle forze laiche mediorientali. Sembrano essersene convinti anche gli Usa, che con Ue e Nato tentano il coinvolgimento dei pochi stati arabi rimasti con governo laico. Le manovre militari congiunte con Marocco, Algeria, Tunisia, Mauretania e Giordania sembrano confermarlo. Nel frattempo i militari turchi onorano i patti: nel maggio 2007 nelle acque di Capo Teulada un'interforza aeronavale ha compiuto manovre con unità turche, greche, italiane, francesi e tedesche, in vista della costituzione di una forza alleata denominata "Proiezione dal Mare".
Ciò che bisognerebbe evitare, in ogni caso, sarebbe isolare economicamente e politicamente la Turchia e gli altri Stati arabi dove la società laica è forte e poco influenzabile dal fondamentalismo. Non lasciare alcuno spiraglio sarebbe, in prospettiva, la scelta peggiore.
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