EXCALIBUR 52 - febbraio 2009
nello Speciale...

Dalla condanna al ritorno in Sardegna

Il 9 dicembre del 1944, Pasca si sta allontanando in macchina dal campo di concentramento di Lumezzane in provincia di Bergamo. Vi si è recata, su ordine di Borghese, per portare generi di conforto ai prigionieri politici. All'improvviso le capita un brutto incidente: la macchina finisce ribaltata sul ciglio della strada. Per sua fortuna passa nel luogo dell'incidente l'attore cinematografico Osvaldo Valenti anche lui ufficiale della Decima. Valenti la estrae dalla macchina, è in coma, la trasporta in ospedale dove l'assiste per tre giorni, fintanto che non ne uscirà.
Lei è malridotta: ha fratturate diverse costole, il braccio destro, il naso e la mandibola. Si prende personalmente cura di lei per la riabilitazione donna Daria, moglie di Borghese. Diventa giocoforza sostituirla nel suo incarico, prima col tenente di vascello Mario Ducci e poi col noto giornalista Bruno Spampanato.
Terminata la convalescenza, Pasca rientra a Milano giusto in tempo per essere arrestata dai partigiani della 52a brigata Garibaldi la mattina del 28 aprile del 1945: a mezzanotte un tribunale del popolo la condanna a morte. L'esecuzione deve essere eseguita all'alba sul muretto del canale del Naviglio. Mentre sta per essere condotta nel luogo dell'esecuzione insieme ad altri dodici giovani, il capo dell'ufficio politico della brigata, Luigi Canali, più noto col nome di battaglia, Neri, la sottrae al gruppo, procede a un lungo interrogatorio e poi la consegna agli Inglesi.
Fatto singolare, dopo qualche tempo, il partigiano Neri e la sua compagna, Giuseppina Tuissi, nota col nome di Gianna, vengono uccisi a seguito dell'accusa, rivolta loro dal Partito Comunista, di essersi impossessati del così detto "oro di Dongo". Gli Inglesi, che sono alla caccia del comandante Borghese, probabilmente per fargli la pelle, sottopongono Pasca Piredda a una settimana di estenuanti interrogatori senza ricavarne un granché, dopo di che la consegnano agli Americani che la portano nel carcere milanese di San Vittore. Lì si trova nella cella a fianco dell'ex ministro degli interni Buffarini Guidi, che qualche giorno dopo ingerisce una pastiglia di cianuro: non muore subito, per cui fanno in tempo a fucilarlo prima che muoia per conto suo.
Ai primi di luglio del 1945 Pasca viene processata in Corte d'assise, ma suo zio Attilio Deffenu, procuratore generale di Genova, si è mosso per tempo: ha contattato il pubblico ministero e altri magistrati. Vi è poi una scelta oculata dei testimoni, tutti a favore, per cui, alla fine, viene assolta per insufficienza di prove. L'aspetta ancora un mese di campo di concentramento per poi essere accompagnata da due carabinieri alla stazione d'imbarco di Civitavecchia, dove, seduto su una panchina, incontra il cognato Franceschino Pintore, ex ufficiale medico della marina dalla quale è stato cacciato perché antifascista.
L'incontro si riduce a uno scambio di poche parole: ritorniamo a casa. I due si imbarcano per Olbia su una corvetta americana. Il mare è agitato, non ci sono cabine, e in plancia vengono bagnati dagli spruzzi delle onde. Pasca sta male, vomita in continuazione, ma il cognato non le dà nessun aiuto, anzi le dice in Sardo: «Rigetta, rigetta, così esce tutto il male che hai dentro!».
Arrivano finalmente a Nuoro. Nelle strade del centro sono affissi grandi manifesti con la scritta: «Gli assassini sono ritornati». La cosa riguarda Pasca e suo cugino Gonario Deffenu, anche lui nella R.S.I., ma non credo se ne sia preoccupata eccessivamente: aveva visto ben altro nella sua tormentata avventura repubblicana.
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