EXCALIBUR 53 - aprile 2009
nello Speciale...

Epilogo

Filippo Tommaso Marinetti a Cagliari nel 1938; alla sua destra Gaetano Pattarozzi con la divisa degli universitari fascisti
A chiudere la vicenda del futurismo in Sardegna è un personaggio singolare: Eugenio Caracciolo. Vicedirettore de "La Freccia", periodico umoristico stampato a Cagliari, diplomato in ragioneria ma particolarmente versato nella musica e nelle lettere, presta servizio presso le Ferrovie dello Stato.
Autore di commedie dialettali in campidanese, brevi componimenti, epigrammi satirici, testi e musiche di canzoni, Caracciolo, completamente avulso dall'ambiente futurista cittadino, vive con la famiglia nella nuova periferia cagliaritana, dove pratica attivamente e autarchicamente anche orticoltura e apicoltura.
Nel gennaio del 1939 pubblica il volumetto di poesie "Canti Nuovi". Sette brani a celebrare le glorie del regime - coronati da un autentico epinicio a Carbonia - dove però è ancora l'antiquato endecasillabo il modello metrico di riferimento.
Sorprende pertanto, solo due anni più tardi, la spavalda fisionomia futurista, perfettamente acquisita, di questo vivacissimo ultracinquantenne ispettore delle ferrovie, che gli vale il "collaudo" di Filippo Tommaso Marinetti e il crisma delle Edizioni Futuriste di Poesia, per il suo "Poema del tecnicismo del Basso Sulcis"(3).
Appassionatamente impigliato nelle spire vulcaniche del marinettiano "Poema non umano dei tecnicismi", Caracciolo si avventa tuttavia con personalissimo impeto futurista di ventenne sull'immaginario tecnologico del Basso Sulcis, a penetrare viscere minerali e centrali elettriche e asfalto di città nuove e alambicchi acciaiosi stillanti benzina sintetica. Modernità improvvisa che investe l'isola antica materiandosi nell'aeropoesia del Futurismo, capace di odorare dei miasmi industriali di quelle plaghe risorte, di vibrare al ronzio di macchine e magneti, intonare il canto oscuro del litantrace nelle gallerie "nerocromate".
«Sensazioni precisate fra fughe d'immagini - scrive Marinetti nel suo "collaudo" al poema - con di tanto in tanto un fragore guerresco di patriottismo imperiale mussoliniano»: clamori retorici, questi ultimi, dettati da pulsioni propagandistiche evidentemente impellenti, di un poeta - allora in buona compagnia - allineato nell'esaltazione di quella guerra scellerata, che finirà per ingoiare nel suo gorgo di morte anche il futurismo e tutto il suo vitalismo polemologico.
Resta intatta la sorpresa che suscita questo futurista attempato eppure gagliardo, come l'effetto scintillante della conversione tardiva ma pure ossigenante al verbo elettrico di Marinetti, che accoglie quest'altro Sardo tra gli apostoli del movimento, e lo infila subito in uno degli ultimi elenchi dei fedelissimi, nel "collaudo" all'"Aeropoema Futurista delle Torri di Siena", di Dina Cucini: è il 1942.
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