EXCALIBUR 64 - marzo 2011
nello Speciale...

L'Unità d'Italia, un valore

La difficile crescita dello "spirito della nazione"

di Toto Sirigu
Il nostro tricolore, simbolo di identità e di unità
«Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d'Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861».
Ovviamente era l'epoca dove la politica non si poneva il problema di una testa, un voto.
Infatti, il Parlamento che approvò la storica legge scaturì da una platea di votanti pari a 239.583, meno del due per cento della popolazione attiva.
Così il 17 marzo 1861 nasce l'Italia. Uno Stato di circa 22 milioni di abitanti che volle recitare un ruolo da protagonista nello spazio delle nazioni. Risultato questo raggiunto, visto e considerato che oggi l'Italia è tra le prime sei potenze economiche del mondo con 60 milioni di persone.
Tale positivo scenario però non si abbina tanto alle sceneggiate di coloro, ovvero le cravatte verdi, che sono al Governo della Repubblica, i quali proprio sulla festa del 17 marzo hanno puntato i piedi. Infatti, i leghisti hanno fatto di tutto per rendere la festa dell'Unità d'Italia come una ricorrenza di "serie b", senza per fortuna riuscirci.
Il percorso dell'Unità non è stato e, anzi, non è tuttora semplice. L'appartenenza alla nostra comunità nazionale è stata di fatto disconosciuta dal sistema politico italiano del secondo dopoguerra, eccezion fatta per il Movimento Sociale Italiano.
Basti pensare che soltanto innalzare il tricolore era considerato un atto fascista. E siccome "fascismo" era sinonimo delle peggiori nefandezze, potete immaginare quanto le classi dirigenti democristiane e quelle comuniste facessero a gara a nascondere il nostro caro tricolore.
Possiamo dircelo tranquillamente. Questo atteggiamento di rimozione, perpetrato dall'aristocrazia partitocratica, è stato il vero attentato all'unità nazionale. Scusate, voglio dire di più: il sentimento nazionale con la sua bandiera sono sempre stati nel cuore e nella militanza del Movimento Sociale Italiano. Sono i missini che hanno tenuto alta la bandiera dell'identità nazionale.
Oggi sembra imperare il patriottismo. La maggior parte dei partiti espone la bandiera tricolore, ma siamo sicuri che nella classe dirigente attuale prevalga la consapevolezza di appartenere a una sola comunità di destino con secoli di storia comune alle spalle? Non sembra proprio!
Riconoscere una sola patria e amarla dovrebbe significare riconoscere la nobiltà e l'eroismo di chi, per la causa, ha perduto la vita. Prendere atto di ciò dovrebbe quindi rendere facile la presenza nelle istituzioni di persone che proseguano, in altre forme, quella nobiltà e quell'eroismo. Invece, dobbiamo prendere atto, per ora, che i nostri dirigenti politici si sono fermati alle affermazioni retoriche e astratte sul tricolore.
Amare l'Italia si può, a patto che ognuno dia il suo contributo e a patto che tale contributo sia all'altezza di chi prima di noi con il sangue e il sacrificio l'ha voluta consegnare al futuro.
Certo, oggi, l'Italia dei 60 milioni di persone è diversa da quella dei 22 milioni dell'Unità Nazionale. Cambiano le persone, è vero, ma dentro il dna culturale e umano, l'Italiano di oggi contiene tutte le sfide affrontate, con passione, dagli eroi di ieri.
L'Italia, più che la sua classe politica, oggi sta raccogliendo le sfide del futuro. Relazionarsi con chi ha deciso di stabilirsi in Italia senza avere il "sangue italiano". In particolare con coloro che sono accomunati agli Italiani dal luogo di nascita, di residenza, dalla lingua, dal sistema formativo e dal percorso di socializzazione; sono i figli degli immigrati iscritti nella scuola italiana. 673.592 ragazzi che incidono per il 7,5% sulla popolazione scolastica, e che cercano, qui da noi, di costruirsi un pezzo di avvenire.
La patria agli Italiani di sangue doc o la patria a chi ama veramente la nostra nazione?
La risposta a questo interrogativo sta tutta nella diversa concezione, aperta o chiusa, che si può avere della patria. La prima esalta il confronto e permette di delineare nuove sfide, la seconda ha il solo, ma finto e astratto, pregio di poter misurare un certo grado di autenticità della razza.
Io, da Destra, scelgo decisamente la prima concezione di patria. Con l'orgoglio di sempre, fieri di essere Italiani e di contaminare e farci contaminare avendo come obiettivo di garantire un livello qualitativo di vita intriso della sintesi tra etica e tecnologia.
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