EXCALIBUR 65 - luglio 2011
in questo numero

Gli Usa, Abramo Lincoln e il Risorgimento italiano

Curiosità e rimandi da un lontano padre della patria americano

di Angelo Abis
Abraham Lincoln (1809-1865), 16º presidente degli Usa, pose fine alla schiavitù
Spulciando vecchi giornali, ho trovato, riprodotta, una lettera scritta da Abramo Lincoln, primo presidente repubblicano degli USA, nel 1853, al patriota italiano Macedonio Melloni.
La lettera parla del nostro Risorgimento e degli obbiettivi che esso avrebbe dovuto raggiungere perché l'unità d'Italia potesse dirsi compiuta. La missiva fu giudicata dal poeta Giosuè Carducci come «la pagina più onesta della storia contemporanea».
Fu anche tradotta e diffusa da Giuseppe Mazzini. Nel clima delle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia, la proponiamo ai nostri lettori e a tutti coloro che hanno giudicato e giudicano la nostra passata politica estera una folle avventura imperialista fatta da un megalomane, sperando anche che almeno Abramo Lincoln, non venga accusato di filo-fascismo ante-litteram.
«Io sono convinto che i barbari venuti dalle lontane tundre, i quali, colle invasioni delle loro abominevoli orde, approfittando dello stato di sfascio morale in cui dibattevasi l'Impero romano, lo hanno predato, manomesso, derubato, annientato, abbiano fatto retrocedere di secoli e secoli la marcia trionfale della vittoria umana sulla coscienza universale dei popoli affratellati.
Ci avvicinavamo, tutti indistintamente, a essere un solo popolo, una sola famiglia, e repentinamente si addensarono sul mondo le tenebre fitte della più incomposta delle barbarie sulla luce di Roma meridiana, immortale ed eterna. Di quella gloriosissima Roma, o illustre amico, che ha dato la civiltà a tutto il globo terracqueo, che ci ha creati, redenti, educati, nutriti moralmente colle sue leggi indistruttibili. Di quella Roma, ripeto, che dovrà essere in un periodo di tempo più o meno prossimo, la capitale luminosa degli Stati Uniti d'Europa, in contrapposizione a quella sistematica distruzione di ogni più fondamentale principio di ogni libera indipendenza che sta facendo e ha fatto sin qui l'Inghilterra, la quale domina con Malta e Gibilterra in un mare nel quale essa nulla avrebbe a che fare e pel quale è sacra affermazione il Mare Nostrum della grande madre Roma, vaticinata Caput Mundi dai tempi antichissimi.
Roma = Amor, la città affascinante del più bel sole contro le mene ipocondriache della nebbia ottenebrante. La stessa privilegiata geografica posizione della città eterna, in confronto di ogni altra contrada, ne convalida agi occhi di ognuno l'augurale vaticinio. Violentare, deviandolo, il corso normale della storia dei popoli è criminoso. E per addivenire alla costituzione dei futuri Stati d'Europa è indiscutibile innanzi tutto, la più assoluta indipendenza politica dell'Italia vostra, nazione indispensabile all'equilibrio stabile del mondo civile.
Tutta la penisola italica dev'essere interamente unita in un'unica nazione colle sue tre maggiori isole del Mediterraneo (Corsica, Sardegna e Sicilia) col Lombardo-Veneto e colle due Venezie, da Fiume alle bocche di Cataro, ininterrottamente per tutta la Dalmazia in aggiunta indistruttibile a tutta l'Albania. La sola unità Italiana che si possa ammettere è questa: chi non l'ammette calpesta i principi della più sana delle onestà politiche per preparare nell'avvenire la più cruenta e micidiale delle guerre, la più torbida e insensata delle speculazioni. La Dalmazia ha una storia unitaria nazionale di quasi 32 secoli. Quelle unità etniche che vi si sono violentemente sovrapposte a detrimento della nativa italianità, sono costituite (se si eccettuano i Rumeni, fulcri vitali di latinità) dai più barbari e selvaggi popoli della terra che non hanno a loro attivo quasi altra gloria che assassini e delitti e stermini e vandalismi di ogni specie in tutte le loro gradazioni sociali. Quella gloriosa Dalmazia così simpatica e che, tradita da Campoformio, fu venduta all'Austria, come Cristoforo Colombo fece con la Spagna, come i Caboto fecero con la terra d'Albione, e così di seguito in nome della gloria d'Italia che ha profuso dovunque il frutto del suo genio. Quella Dalmazia infine che la Santa Alleanza ridonò all'Austria.
E gli Albanesi sono Italiani e nulla più: parlino per me la Sicilia e la parte meridionale della Penisola. Osservate la razza greca: Dove si è conservata valida e buona? Nell'antica Magna Grecia soltanto.
Solo così i popoli della terra avranno tregua, mio illustre amico. È un assioma. Ne convenite? Il lago di Venezia non può essere più oltre defraudato. Non ammetterne l'annessione senza eccezione alcuna di sorta all'Italia è, per i cittadini di tutta la terra e per i conterranei di Franklin e Washington, un vero e proprio matricidio che getterebbe l'infamia sui fedifraghi ingiuriatori e griderebbe vendetta dinnanzi alla nemesi stessa della Storia.
Voi eravate grandi e noi non eravamo nati
».
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