EXCALIBUR 66 - ottobre 2011
in questo numero

L'Italia in Libia

Gli investimenti italiani in Libia furono immensi

di Emilio Belli
Sopra: panorama di Tripoli del 1937, in primo piano la Cattedrale del Sacro Cuore di Gesù
Sotto: il monumentale Arco dei Fileni sulla via Balbia, al confine tra Tripolitania e Cirenaica, oggi smantellato
È noto che a determinare la prosperità della Libia è stato lo sfruttamento, avviato nel 1961, dei giacimenti petroliferi e di gas naturale esistenti nella Sirtica e nel Fezzan, ma è divenuta un Paese moderno grazie all'operosità degli Italiani e agli ingenti capitali che vi furono investiti durante il periodo coloniale.
E la dimostrazione del livello raggiunto dal processo di modernizzazione avviato dall'Italia si può desumere dalle vicende dell'amministrazione della Colonia. Dapprima ripartita nei governatorati della Tripolitania e della Cirenaica, venne unificata al tempo del maresciallo Badoglio, ma solo nella seconda metà degli Trenta, sotto la guida di Italo Balbo che aveva promosso l'istituzione delle province di Tripoli, Bengasi, Derna e Misurata, si giunse all'equiparazione della struttura amministrativa libica con quella del Regno, completata nel 1939 con l'estensione della cittadinanza italiana alla popolazione.
Purtroppo, quanto di positivo è stato fatto dall'Italia nella Quarta Sponda viene sempre minimizzato, mentre si pone l'accento sulla rivolta delle cabile, che in Cirenaica si protrasse più a lungo e innegabilmente fu contrastata dalle nostre truppe anche in modo pesante. Al riguardo, va tuttavia precisato che il ribellismo dei nomadi e le lotte tribali hanno costituito, fin dall'antichità, una costante nella storia del territorio libico, impedendone l'unità politica che non fu raggiunta neppure sotto il dominio turco, nonostante la comunanza della confessione islamica.
L'instabilità del passato viene peraltro ampiamente confermata dalle rovine di "castelli" romani e turchi, la cui frequente presenza è documentata dalle guide turistiche del Touring Club Italiano.
Per farsi un'idea di quale fosse la situazione al tempo della guerra italo-turca, occorre tener presente che la Libia del 1911 versava in condizioni molto difficili, trattandosi di un territorio vastissimo (1.759.540 kmq), in prevalenza desertico, privo di strade degne di questo nome e con una popolazione di appena 700 mila abitanti (0,6 per kmq.) concentrati nella fascia costiera e nelle oasi dell'interno. I centri di qualche consistenza erano pochi, e fra questi primeggiava la città di Tripoli, con 60 mila abitanti, seguita da Bengasi che non superava i 15 mila. Quanto all'economia, si basava su un'agricoltura di mera sopravvivenza, praticata principalmente nei giardini irrigui e nei poderi asciutti cintati ospitati nelle oasi, nei quali si coltivavano cereali, viti, olivi, alberi da frutta e ortaggi destinati al consumo interno. Il quadro economico veniva integrato dall'allevamento del bestiame, soprattutto pecore e capre tenute a pascolo brado nelle aree predesertiche, e da modeste imprese artigiane di tipo familiare legate alla produzione di stuoie, cestini, tappeti, baracani, oggetti di ornamento in oro e in argento e manufatti in cuoio.

Le infrastrutture.
L'Italia affrontò con effettivo impegno la modernizzazione della Colonia solo a partire dal 1921, attuando nell'arco di due decenni un piano di vasta portata che coinvolgeva tutti i settori, dalle strade ai collegamenti marittimi e aerei, all'urbanistica, all'insediamento colonico, all'istruzione, all'archeologia e al turismo. I risultati ottenuti, dei quali dovremmo essere orgogliosi, furono soddisfacenti.
La viabilità.
Nel 1911 in Libia esistevano solamente delle carovaniere, che nei primi anni dell'occupazione italiana furono in parte trasformate in piste camionabili a fondo naturale per assicurare il rifornimento delle numerose ridotte poste a controllo del territorio. Una più efficiente rete viaria, che nella fase di massimo sviluppo raggiunse i 4 mila km, venne realizzata nel corso degli anni Trenta. Per quel che riguarda la Tripolitania, essa disponeva di tre arterie principali, larghe 7-8 metri, provviste di massicciata artificiale e bitumate in alcuni tratti: la più estesa era la Tripoli-Gadames, di 701 km, di poco più breve risultava la via dal confine tunisino a Sirte, di 649 km, mentre la terza era la Tripoli-Beni Ulid, di 170 km. Oltre a queste vi erano 140 km di strade secondarie, larghe 5 metri, con massicciata artificiale cilindrata all'acqua, e 200 km di strade rurali di 3 metri di larghezza.
Anche in Cirenaica si continuarono a utilizzare per tutti gli anni Venti le antiche carovaniere, opportunamente consolidate con uno spesso strato di pietrisco cilindrato a secco. In questa regione il rinnovamento della viabilità cominciò a delinearsi sul finire del 1929 con la progettazione delle strade che dovevano rendere più agevole il superamento dei due gradoni del Gebel e favorire le comunicazioni da Bengasi verso Barce, Derna, Cirene e Apollonia, trattandosi di zone in fase di valorizzazione agricola. A giudicare dalla struttura erano strade più durevoli, in quanto fornite di un robusto sottofondo in pietrame, di una carreggiata di 5 metri provvista di mantellatura di pietrisco cilindrato all'acqua, banchine laterali larghe un metro e doppia bitumatura.
Riguardo al Sud Bengasino e alla Sirtica, già interessati dalla carovaniera che, transitando da Ghedimes, collegava Bengasi col confine della Tripolitania, si pianificarono delle strade tecnicamente simili a quelle del Gebel ma senza la bitumatura. Nel 1933 la rete viaria della Cirenaica aveva raggiunto lo sviluppo di 762 km, ai quali se ne aggiunsero altri 200 con il completamento del Tracciato Nord del Gebel e delle strade per Tocra e Tolmeta.
L'asse portante della viabilità libica era rappresentato dalla litoranea che dal confine tunisino conduceva a quello egiziano coprendo un percorso di 1822 km. Meglio nota come Via Balbia, era stata portata a termine durante il governatorato di Italo Balbo e fu inaugurata da Mussolini nel marzo del 1937. Al suo tracciato dovrebbe rifarsi la nuova strada costiera contemplata dall'Accordo di Cooperazione italo-libico siglato a Bengasi nel 2008.
Le ferrovie.
Impiantate per esigenze militari durante la guerra con la Turchia, passarono in carico allo Stato nel 1913, per essere poi gestite dal Governo della Colonia. Erano tutte a scartamento ridotto, avevano uno sviluppo complessivo di 400 km e si articolavano in cinque linee: tre di esse collegavano Tripoli con Zuara (118 km), Vertice 31 (90 km) e Tagiura (21 km), mentre le restanti due, entrate in esercizio nel 1926, mettevano in comunicazione Bengasi con Soluch (56 km) e Barce (118 km). La prima attraversava il Gebel Achdar, la sola area boschiva della Libia, che ben meritava il nome di Montagna Verde in quanto vi prosperavano alberi di medio fusto (pino di Aleppo, ginepro, cipresso, leccio, carrubo, olivastro) e le tipiche essenze della macchia mediterranea; la seconda percorreva invece una zona interessata da importanti aziende agricole.
Le ferrovie furono integralmente smantellate dal Governo libico intorno al 1970.
Le opere portuali.
Per le sue caratteristiche, la costa libica non offriva validi punti di approdo, per cui si rese necessario dotare Tripoli, Bengasi, Tobruk e Derna, di porti convenientemente attrezzati, ma furono sistemati anche gli scali di Homs, Sirte e Apollonia, mentre quello di Zuara venne munito di diga foranea e molo di sottoflutto per poter dare riparo alle centinaia di barche che sfruttavano i grandi banchi di spugne esistenti nelle acque libiche.
Lo scalo di maggiore ricettività era quello di Tripoli, terminato nel 1933, il cui impianto aveva comportato la costruzione di una grande diga foranea, del molo di sottoflutto, di una diga foranea sommersa, di idonei banchinamenti e di piazzale corredato di capienti magazzini per il ricovero delle merci. Ancor più impegnativa fu la costruzione del porto di Bengasi, il cui costo complessivo superò i 150 milioni di lire. Iniziato dalla S.I.C.A.M. nel 1929, venne completato nel 1934.
Gli interventi urbanistici.
In appena un decennio le città di Tripoli e Bengasi furono rinnovate totalmente, risanando i nuclei originari di impianto arabo, dando vita a estesi quartieri di impronta razionalista, serviti da ampie strade a tracciato rettilineo e insediandovi importanti edifici pubblici di gusto moresco. I nuovi contesti urbani erano dotati dei servizi fondamentali (rete idrica, fognature, illuminazione pubblica) e non mancavano le strutture sanitarie, religiose, scolastiche, culturali e sportive. Col miglioramento delle vie di comunicazione acquistarono consistenza anche i centri minori e quelli che erano sede di uffici pubblici vennero forniti di servizi adeguati. (segue)
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