EXCALIBUR 70 - ottobre 2012
in questo numero

La bancocrazia che governa il mondo

Il controllo della società è ormai affidato alle grandi istituzioni finanziarie

di Claudio Finzi
Sopra: il conte Henry de Saint Simon (1760-1825), precursore della supremazia della scienza e della tecnica
Sotto: uno dei tanti saggi che trattano le idee di Giuseppe Corvaia
Tra la fine del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento, il francese Claude Henri de Saint-Simon fonda quell'ideologia e dottrina della tecnocrazia che da allora a oggi non ha mai cessato di influenzare il pensiero politico e sociale europeo e americano.
Partendo dalla constatazione, per lui inconfutabile, che la politica si è rivelata incapace di governare l'uomo nel nuovo mondo creato dalla rivoluzione industriale, Saint-Simon sostiene che dobbiamo sostituire alle incertezze infruttuose della politica le certezze efficaci della scienza e della tecnica. Il controllo della società deve passare dai politici agli uomini della produzione e di tutta l'organizzazione economica. In questa nuova auspicata società hanno però importanza fondamentale anche la legge finanziaria e di bilancio per la direzione dell'economia e le banche per la loro funzione di stimolo allo sviluppo.
Saint-Simon muore nel 1825. I suoi allievi francesi accentuano la sua fede nella banca e nella funzione regolatrice dell'alta finanza. La scuola si espande in Italia, dove il barone siciliano Giuseppe Corvaia, senza esitazioni, individua nella banca il centro della nuova società. Nel 1840 e nel 1842, Corvaia pubblica a Milano un'opera dal titolo tanto significativo quanto preoccupante: Bancocrazia, che ha notevole diffusione e suscita una vera e propria scuola bancocratica.
Chi in realtà controlla la società (sostiene Corvaia) sono le banche, che però agiscono nell'interesse degli speculatori privati, dei grandi azionisti e dei dirigenti, sfruttando tutti gli altri, risparmiatori e lavoratori. Per porre rimedio a questa situazione, non esiste altro mezzo che spostare il controllo dei capitali dai privati allo Stato, sostituendo le molte banche private con una sola unica grande Banca di Stato.
Giuseppe Corvaia vuole che tutto, ingegno, capacità, tempo, laboriosità, lavoro manuale, danaro, proprietà, sia versato alla Banca, che darà azioni e onorari corrispondenti al prodotto ottenuto. Tutto sarà valutato e amministrato dalla Banca centrale, al cui controllo nulla deve sfuggire. Insomma, quanto vediamo oggi svilupparsi in Europa e nel mondo sembra quasi prefigurato nelle pagine, fra il profetico e l'allucinato, dell'ottocentesco barone siciliano, che alla Banca vuole consegnare anche le anime.
Da questo "contratto sociale politico", come lo chiama Corvaia, nascerà il nuovo governo della Banca, che sarà anche governo del popolo e dello Stato, quarta e definitiva forma dopo le tre finora conosciute: monarchia, aristocrazia, democrazia. Il re sarà il governatore della grande Banca; i ministri ne saranno i direttori generali; i deputati e il parlamento saranno una cosa sola con l'assemblea degli azionisti; i cittadini saranno i soci.
Il nuovo contratto politico sarà eterno; potrebbe chiederne la revisione soltanto chi fosse in grado di presentare un progetto migliore. Ma questo è impossibile. Poiché le leggi dell'economia bancaria sono esatte quanto quelle delle scienze naturali, ecco che nella realtà il supremo potere della Banca non dovrà mai combattere contro altre opinioni «perché queste non potranno più sostenersi contro la verità matematica del Governo». La Banca è arbitra e giudice della verità calcolata secondo leggi finanziarie immutabili e fisse, perché matematiche, alle quali non è possibile contrapporre una qualsiasi altra scienza.
Queste idee bancocratiche sono tornate alla ribalta con George Soros, il famoso finanziere, che espone le sue opinioni in materia in discorsi, articoli, libri ampiamente diffusi e tradotti.
Secondo Soros, il mondo contemporaneo è contrassegnato da due evidenti e fondamentali caratteristiche. Da un lato i mercati, soprattutto finanziari, sono altamente instabili e tanto più lo saranno quanto più prevarranno quelli che Soros chiama i fondamentalisti del mercato, i sostenitori del liberismo a oltranza, secondo i quali le virtù autoregolative del mercato sono capaci di dirigere pienamente e accortamente la società. Invece, afferma Soros, «è tempo di riconoscere che i mercati finanziari sono intrinsecamente instabili. Di conseguenza, imporre la disciplina di mercato significa imporre l'instabilità». Il fondamentalismo del mercato potrebbe portare persino «al collasso del sistema capitalistico globale».
Frase significativa, perché dimostra che ciò che sta a cuore a George Soros è soprattutto la sopravvivenza del "sistema capitalistico".
D'altro canto, dobbiamo ammettere che la politica ha fallito completamente nella sua funzione regolatrice della società: «Le carenze della politica si sono fatte molto più profonde da quando l'economia è diventata veramente globale e il meccanismo del mercato si è infiltrato in settori della società che finora ne erano rimasti immuni». Ciò dipende dal fatto che «allo sviluppo di un'economia globale non ha fatto riscontro lo sviluppo di una società globale. L'unità fondamentale della vita politica e sociale è e rimane lo Stato nazione».
Come rimediare? «Per dirla senza mezzi termini, siamo di fronte alla scelta se imporre una regolamentazione internazionale ai mercati finanziari globali o lasciare a ciascun paese il compito di proteggere i propri interessi come può. Scegliere questa seconda via condurrà immancabilmente al collasso del gigantesco sistema circolatorio che va sotto il nome di capitalismo globale».
Ancora una volta il nemico da battere è la politica, che si incarna in quello "strumento arcaico" che è lo Stato.
Dov'è dunque la soluzione? Se gli Stati e la politica sono incapaci e insufficienti per regolare il grande disordine che ha investito il globo, la soluzione non può stare che nel prevalere di strumenti diversi da quelli politici. E poiché oggi il disordine è finanziario, ecco che soltanto strumenti finanziari potranno fermarlo, riportando l'ordine nel mondo. Se gli organismi finanziari preposti al controllo internazionale del mondo finanziario, a cominciare dal Fondo Monetario Internazionale, sono troppo deboli per contrastare le follie degli Stati, rafforziamoli e mettiamoli in grado di svolgere il loro compito; rendiamoli così forti da sottomettere al loro volere gli Stati.
Soluzione che più bancocratica non potrebbe essere. La politica e lo Stato, che della politica è la massima realizzazione negli ultimi secoli, hanno fallito, dimostrandosi incapaci di governare il mondo e di imbrigliare il disordine finanziario. Dobbiamo dunque, conclude George Soros, sottrarre agli Stati tutti i loro poteri per consegnarli agli organismi finanziari, i quali così, forti del loro sapere certo e adatto al nuovo mondo sviluppatosi negli ultimi decenni, potranno regolare dall'interno e in modo intrinsecamente omogeneo il futuro che ci attende. Esattamente come volevano Saint-Simon con la sua tecnocrazia industriale e Corvaia con la sua tecnocrazia bancocratica.
Cambia la tabella di marcia, non l'obiettivo, che resta sempre quello di sostituire alle incertezze della politica le certezze della scienza; in questo caso della scienza finanziaria e bancaria.
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