EXCALIBUR 71 - dicembre 2012
in questo numero

Gli economisti italiani e la crisi dell'euro

Si levano sempre più forti le voci critiche nei confronti della Bce

di Luca Cancelliere
Sopra: in fase di crisi dell'economia privata, è la spesa pubblica che deve sostenere la domanda aggregata
Sotto: Roberto Frenkel, uno dei maggiori economisti argentini
Fino ad alcuni anni fa, parole d'ordine come "sovranità monetaria", "uscita dall'Euro" e "ritorno alla Lira" erano relegate ad ambienti marginali della politica e dell'informazione, restando esse totalmente prive di riscontro nel mondo accademico.
La crisi finanziaria internazionale, che dal sistema bancario si è propagata alle finanze degli stati nazionali, unitamente al fallimento della politica economica restrittiva seguita dai governi europei, ha fatto venire allo scoperto anche in ambito accademico voci critiche verso la linea economica ufficiale della Banca Centrale Europea.
Si moltiplicano i docenti di economia di varie università italiane, i cui interventi cominciano a essere ospitati sui quotidiani e nei programmi televisivi, che ritengono deleteria la politica di drastico contenimento della spesa pubblica imposta dall'Unione Europea all'Italia e ai cosiddetti "Pigs" (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) e che propongono senza mezzi termini l'abbandono dell'Euro e il ritorno alla Lira.
Tra questi, il più attivo è il Professor Alberto Bagnai, fiorentino, classe 1962, professore all'Università di Pescara, autore di vari studi e pubblicazioni su riviste economiche internazionali e attivissimo conferenziere e divulgatore soprattutto attraverso un sito, www.bagnai.org, e un blog, www.goofynomics.blogspot.it, su internet.
Ma accanto a lui, si devono ricordare anche Claudio Borghi Aquilini (Università Cattolica di Milano), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio di Benevento), Sergio Cesaratto (Università di Siena), Gennaro Zezza (Università di Cassino), Lidia Undiemi (Università di Palermo), Luca Fantacci (Università Bocconi di Milano).
Parallelamente a questi accademici emergenti, quasi tutti di età compresa tra i 40 e i 50 anni, anche un "mostro sacro" dell'economia italiana come il cagliaritano Paolo Savona, già Ministro nel governo tecnico Ciampi del 1993 e proveniente dal Centro Studi della Banca d'Italia, pur partendo da posizioni meno radicali di quelle dei suoi colleghi più giovani, si è ripetutamente pronunciato a favore della previsione di un "piano B", teso alla reintroduzione di una valuta nazionale in caso di collasso dell'Euro, tanto in pubbliche conferenze che nel suo ultimo libro "Eresie, esorcismi e scelte giuste per uscire dalla crisi" (Rubbettino Editore, 2012).
Questa nuova corrente di pensiero della scienza economica italiana sottolinea che è il passivo nella bilancia dei pagamenti, e non la spesa pubblica, la vera causa della crisi finanziaria in atto.
E che non a caso, è proprio dal settore della finanza privata che la crisi si è propagata al settore pubblico, causando la crisi del cosiddetto "spread". In risposta a tali turbolenze, la peggiore scelta che si poteva fare è stata quella dei tagli alla spesa pubblica, contravvenendo il basilare principio anticiclico della politica economica post-keynesiana, secondo cui in fase di crisi dell'economia privata è la spesa pubblica che deve sostenere la domanda aggregata. Le politiche restrittive di bilancio imposte dall'Unione Europea agli stati in crisi hanno peggiorato sensibilmente il loro rapporto debito/Pil, non solo in Grecia ma persino dove (Spagna, Irlanda) il rapporto debito/Pil era più basso che in Germania.
Ricapitolando, il dissesto finanziario del settore privato discende dall'esistenza di un'area monetaria che, per il fatto di non costituire una cosiddetta "Area Valutaria Ottimale" (A.V.O.), cioè un'area caratterizzata da requisiti macroeconomici e di mercato del lavoro uniformi), penalizza le economie più deboli, collocate alla periferia dell'Euro, costringendole a indebitarsi a vantaggio delle economie più forti. E senza il meccanismo riequilibratore della svalutazione. A fronte di questo, la Germania ha ulteriormente incrementato il proprio vantaggio competitivo comprimendo i salari interni e aumentando così la sua competitività esterna nei confronti dei "soci" europei. Ma, come sopra ricordato, l'impossibilità per questi ultimi di procedere a svalutazioni per riequilibrare la bilancia dei pagamenti, li ha costretti ad accettare i diktat dell'Unione Europea sui tagli alla spesa pubblica.
Tagli che, però, lungi dal risolvere il problema del debito pubblico di questi stati, avranno solo l'effetto di trascinare sempre più l'Europa in una spirale depressiva, fino all'inevitabile collasso finale.
Del resto, questo gruppo di economisti italiani vede in queste vicende la conferma della validità scientifica del cosiddetto "ciclo di Frenkel", dal nome dell'economista argentino Roberto Frenkel, che ha dedotto questa ferrea legge dallo studio della crisi monetaria del suo stato e di altre economie negli ultimi 30 anni.
Il "ciclo di Frenkel" nasce dallo studio comparato di 10 esperienze storiche recenti di unificazione monetaria (o adozione di cambi fissi con una valuta estera, che concettualmente e in termini di effetti sostanziali costituisce la stessa cosa): Cile (1982), Italia (1992), Messico (1994), Thailandia e Corea (1997), Russia (1998), Brasile (1999), Argentina e Turchia (2001), Unione Monetaria Europea (2010).
Le fasi del "ciclo di Frenkel" sono le seguenti: 1) viene istituita un'area valutaria, caratterizzata da un'unica valuta comune o da due o più valute con un tasso di cambio rigido, di tipo "non ottimale" (con economie fortemente differenziate dal punto di vista macroeconomico) e vengono liberalizzati i movimenti di capitali; 2) capitali esteri affluiscono nella periferia (economie meno forti) dell'area valutaria per investire nel settore privato che offre rendimenti alti; 3) il suddetto afflusso di capitali provoca crescita e inflazione nella periferia dell'area valutaria, il cui debito pubblico si riduce; 4) l'ulteriore aumento dell'inflazione finisce per arrestare la crescita della periferia; 5) coloro che hanno investito nella periferia, a fronte del blocco della crescita della periferia, ritirano i propri investimenti; 6) gli stati della periferia, per evitare l'emorragia degli investimenti esteri, alzano i tassi d'interesse con cui vengono remunerati i titoli del debito pubblico; la crescita del cosiddetto "spread" fa esplodere il debito pubblico degli stati della periferia.
Si tratta di un disastro monetario annunciato, che dimostra ancora una volta che mai la storia (neppure quella economica) è "magistra vitae". L'unica soluzione per l'Italia e per i Pigs, che stanno vivendo esattamente questo scenario, è quella che Steen Jacobsen, capo economista di Saxo Bank, propone per la Grecia: uscita a breve dall'area Euro e ritorno alla sovranità monetaria, con controllo statale della domanda e dell'offerta di moneta e possibilità di svalutazione del cambio con l'estero.
Di fronte a questo scenario, l'unico rimedio per noi Italiani è il ritorno alla nostra vecchia valuta nazionale e la restituzione alla Banca d'Italia del ruolo di "lender of last resort".
Ciò implica che non si tratta semplicemente di tornare alla situazione precedente l'introduzione dell'Euro, ma alla fase storica anteriore all'introduzione dello Sme (sistema monetario europeo) e al cosiddetto "divorzio Bankitalia-Tesoro", ripristinando pertanto l'obbligo per la Banca d'Italia di acquistare i titoli invenduti (abolito nel 1981) e di fornire anticipazioni al Tesoro (abolito nel 1993).
Assolutamente non condivisibile è la tesi di chi, a fronte del fallimento dell'Unione Monetaria Europea, propone di consegnare all'Unione Europea, oltre che la leva monetaria, anche la leva fiscale, provvedimento la cui inutilità è confermata dal fatto che con la nuova disciplina della contabilità pubblica, sono praticamente concordate con l'Unione Europea.
L'unione monetaria europea oggi costituisce un "patto leonino" utile solo alle politiche mercantiliste della Germania e dannoso per tutti gli altri partner europei. Dietro questo europeismo di facciata viene sacrificato il benessere delle nazioni europee e, a ben vedere, anche del popolo tedesco (che subisce una forte contrazione dei consumi interni in ragione della compressione del livello dei salari) a favore dell'elite finanziaria e industriale tedesca.
Alberto Bagnai, il principale rappresentante degli economisti che sostengono il ritorno alla sovranità monetaria, critica chi si illude di uscire dalla crisi con "più Europa" o con il varo di un "grande sindacato europeo", ricordando che «la sovranità nazionale un suo significato ce l'ha, perché la Nazione, oggi, è lo spazio nel quale i cittadini possono esercitare un controllo democratico sulle istituzioni».
Sabato 1º dicembre 2012, presso il Dipartimento di Economia dell'Università di Pescara, ha avuto luogo la giornata di studi "Euro, mercati, democrazia. Scenari e proposte per superare la crisi", con la partecipazione del magistrato del Consiglio di Stato Luciano Barra Caracciolo e dei docenti universitari Alberto Bagnai, Luciano Zezza, Claudio Borghi Aquilini, Lidia Undiemi e Luca Fantacci.
Sono stati inoltre presentati i seguenti testi: Marino Badiale, Fabrizio Tringali, "La trappola dell'euro" (Asterios Editore, 2012); Massimo Amato, Luca Fantacci "Come salvare il mercato dal capitalismo" (Donzelli Editore, 2012); Alberto Bagnai, "Il tramonto dell'euro" (Imprimatur Editore, 2012).
L'auspicio è che le posizioni espresse nel convegno conquistino sempre maggiori consensi in ambito accademico e soprattutto, quel che più conta, l'attenzione del Parlamento e del Governo italiani.
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