EXCALIBUR 72 - gennaio 2013
in questo numero

Breve storia di Alcide De Gasperi

Il leader demoscristiano rivendicato come padre nobile di Mario Monti

di Angelo Abis
Sopra: Alcide De Gasperi (1881-1954)
Sotto: si riconoscono Togliatti, De Gasperi e Nenni
L'attuale candidato "centrista" alla carica di primo ministro, Mario Monti, è solito paragonare il suo operato di capo del governo "tecnico" a quella del primo presidente del Consiglio della Repubblica Italiana Alcide De Gasperi e soprattutto ascrive al suddetto la storica frase: «Il politico pensa all'oggi, lo statista pensa al futuro».
Lo scusiamo: ogni politico sceglie come padrino il padre della patria che più gli aggrada.
D'altronde meglio optare per De Gasperi che rivendicare a proprio protettore, come ha fatto Bersani, Papa Giovanni XXIII. E non certo perché Papa Roncalli non fosse un grande italiano.
In proposito, non possiamo maliziosamente ricordare che, nel 1940, l'allora nunzio apostolico Roncalli definì "giusta" l'entrata in guerra dell'Italia contro le potenze occidentali. Ma perché da un leader della sinistra non ci saremmo aspettati che mettesse in soffitta personaggi del calibro di Gramsci, Turati, Nenni e dello stesso Togliatti.
Ma si sa, come disse re Enrico IV: «Parigi val bene una messa».
Detto questo, è anche opportuno far presente che il leader democristiano è la figura chiave, insieme a quella di Togliatti, per poter capire le drammatiche vicende italiane che vanno dal 1945 al 1949. Vicende che, nel clima rovente del periodo, lo videro tacciato dalla sinistra di essere uomo del Vaticano, degli Americani e in conseguenza di ciò un pericoloso reazionario anticomunista. Da destra, invece, fu definito spesso "austriacante", data la sua cittadinanza austro-ungarica che gli permise tra l'altro di essere eletto deputato nel parlamento di Vienna.
Gli alleati non si fidavano di lui e spesso lo rampognarono e anche col Vaticano, segnatamente con Pio XII, i rapporti furono spesso burrascosi.
La destra rimproverava a De Gasperi di essere troppo accondiscendente nei confronti degli alleati-vincitori e del tutto insensibile ed estraneo agli interessi nazionali, nonché di essere stato, sin dal 1944, con un famoso discorso tenuto al teatro "Brancaccio" di Roma, il fautore dello spostamento a sinistra della Democrazia Cristiana.
Tutte queste accuse sono apparentemente fondate, se considerate nell'ottica della lotta politica.
Alla luce della storia, però, possiamo affermare che De Gasperi fu sin dalla giovinezza un acceso nazionalista, tanto da essere tratto in arresto, nel 1904, a Innsbruk, a seguito di duri scontri fra universitari italiani e austriaci, in seguito al rifiuto delle autorità di istituire una sezione italiana nell'università di quella città.
Certo il suo nazionalismo fu di marca tedesca, basato cioè sulla realpolitik e sul concetto di potenza economica e militare, tanto da fargli scrivere, nel 1909: «Ma è cosa risaputa che l'Italia sarà accettata in un'altra combinazione europea solo a patto di essere militarmente forte. I sentimentalismi hanno fatto il loro tempo».
Poca attenzione, in sede storica, hanno suscitato certe prese di posizione, assai singolari, dello statista trentino, quali la piena condivisione, nel 1938, dell'annessione dell'Austria alla Germania di Hitler (la cosiddetta "Anschluss"), il "godimento" alla notizia, poi rivelatasi errata, della conquista di Mosca, nel 1941, da parte dei Tedeschi, il suo pur velato antisemitismo.
Sarebbe troppo lungo enumerare tutti gli episodi eclatanti che videro De Gasperi protagonista. Ci limitiamo perciò a quella operazione di lungo respiro che portò in rapida successione alla caduta del primo governo della resistenza, capeggiato da Ferruccio Parri, alla trattativa con il fascismo clandestino, all'amnistia per i fascisti, e, infine alla fondazione del Movimento Sociale Italiano nel dicembre 1946.
Il fine era però unico: unire tutte le forze della società italiana in vista della battaglia contro il trattato di pace: «Tutte clausole di confini, di servitù militari, di imposizioni e limitazioni economiche», come ebbe a bollarlo lo stesso De Gasperi.
Tutto questo perché gli alleati, rimangiandosi quanto promesso in precedenza, dichiararono che l'Italia sarebbe rimasta occupata e il suo popolo considerato "nemico" sino all'accettazione del diktat, oltre alla perdita di parti importanti del territorio nazionale, l'esproprio delle colonie, la consegna della flotta.
De Gasperi, allora ministro degli esteri del governo Parri, coinvolse nel suo progetto anche il leader del Pci, Togliatti, con la speranza, rivelatasi poi vana, di poter, tramite l'esponente comunista, attenuare in qualche misura l'ostilità dell'Unione Sovietica nei confronti dell'Italia.
Entrambi, con molta faccia tosta, essendo ministri, costrinsero il "loro" governo alle dimissioni. Il pretesto lo diedero i liberali che abbandonarono Parri per protesta contro la politica di epurazione posta in essere dal governo della resistenza. A nulla servirono le forti proteste degli alleati, né i piagnistei di Parri che, avendo a lato gli imperterriti Togliatti e De Gasperi, dichiarò di fronte alla stampa estera di essere vittima di un colpo di stato.
Si formò il 10 dicembre del 1946 un nuovo governo guidato da leader democristiano che conservò anche il ministero degli esteri e assunse anche quello delle colonie!
Subito dopo iniziò l'operazione recupero dello sconfitto e massacrato universo ex fascista, certamente mal ridotto, ma pur sempre essenziale nell'ottica di un fronte nazionale anti-alleati.
In proposito lasciamo la parola all'ex capo del fascismo clandestino Pino Romualdi: «La storia degli accordi fra "fascisti" e democratici è una storia vecchia quasi quanto la repubblica [...]. Stabilito che di noi avevano un po' paura e un po' bisogno tutti, e che noi a nostra volta avevamo bisogno di tutti, per uscire al più presto dalla disastrosa situazione in cui eravamo [...] si trattava di convincere le sinistre che noi avremmo impedito alle nostre forze di prestarsi a ogni manovra provocatoria nel caso che la repubblica avesse prevalso [...]. I contatti con i democristiani mi furono facilitati in particolare dal mio amico Sisto Favre [...]. Ai colloqui più importanti, quattro o cinque, parteciparono "ufficialmente" due deputati democristiani [...] che aggiungevano di poter impegnare, con la loro, anche la parola dello stesso De Gasperi [...]. I miei interlocutori di sinistra mi proposero di incontrare un grosso capo comunista: Terracini, Scocimarro o Negarville [...]. Un discorso "quello con i partiti" [...] che portò al risultato di impegnare tutti, dai comunisti ai democristiani, a garantire che avrebbero concesso una amnistia generale a favore dei fascisti e di quanti avevano collaborato col "tedesco invasore" [...]. L'amnistia fu puntualmente promulgata il 22 giugno del 1946 con la firma di Palmiro Togliatti [...]. Il provvedimento portò alla scarcerazione immediata di tremila detenuti».
Il tutto avvenne in barba alle clausole dell'armistizio e alla chilometrica legislazione antifascista introdotta dagli alleati a partire dal 1943, tant'è che, a babbo morto, il 24 giugno 1946, De Gasperi ricevette dal governo militare alleato la seguente comunicazione: «Ai sensi dell'art. 30 del lungo armistizio e della dichiarazione di Mosca del 1943, i governi alleati sono interessati [...] per tutto ciò che si riferisce a persone fasciste. Le sarò grato perciò se vorrà farmi avere lo schema definitivo di detto decreto [...]. Suo Amm. Ellery W. Stone».
La lettera non ebbe risposta, se non quella tacita del dicembre 1946 che riconosceva il Movimento Sociale Italiano come legittimo partito della neonata repubblica italiana.
Evidentemente l'Italia del 1946, anche se ancora occupata, aveva più schiena dritta di quella dell'8 settembre del 1943.
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