EXCALIBUR 86 - aprile 2015
in questo numero

Il ritorno di Roma

La nostra, una nazione antica

di Silvio De Murtas
Roma, la luce del mondo
Il film "Il gladiatore" (1999/2000) ha segnato non solo il ritorno al grande cinema del genere "storico", ma anche la rinascita di una certa "romanitas".
È peraltro ormai arcinota - fra le altre, e in risposta a una precisa domanda dell'Imperatore Marco Aurelio - la battuta di Russell Crowe: «Roma è la luce del mondo», perché essa ha insegnato diritto, ingegneria, economia, arte militare e navale, politica sociale...
In tempi più recenti Roma è stata osannata da molti studiosi (purtroppo principalmente stranieri) su parecchie riviste e pubblicazioni e su tanti giornali - anche di tutta l'Africa, soprattutto in occasione dell'approvazione della nuova Costituzione della Repubblica del Kenya, avvenuta nel mese di agosto 2010.
In particolare, il 6 agosto il più importante quotidiano locale, ossia il "Daily Nation", titolò l'evento a caratteri cubitali con queste parole: «Il Popolo ha ora attraversato il Rubicone: è rinata una Nazione».
L'editoriale proseguiva solennemente «The die is cast»: "alea jacta est". Questa frase si crede sia stata pronunziata da Giulio Cesare prima di attraversare il fiumicello Rubicone sito nel Nord Italia nel 49 a.C.. Un'antica legge romana proibiva ai comandanti di legione di varcare quel "segno" e penetrare in Italia (propriamente detta) alla guida di un esercito in armi. Fare ciò avrebbe assunto il significato di "alto tradimento".
Giulio Cesare attuò tale comportamento anche per evitare di cadere preda delle cospirazioni del Senato di Roma. E fu proprio il "varcare il Rubicone" che aprì le porte all' Impero Romano consentendogli di espandersi esponenzialmente, ponendo le solide basi dell'Europa moderna e quindi del Mondo. Tale attraversamento effettivamente cambiò l'intero corso della Storia.
Peraltro, Cesare fu l'ultimo dei "dictatores" e sostanzialmente il primo degli "imperatores"; in ogni caso, uno dei pochissimi capi ad aver partecipato e combattuto attivamente anche sui campi di battaglia, aumentando a dismisura i confini dello Stato Romano. Eppure, nemmeno lui poté sottrarsi a lungo alle leggi di Roma. Non sappiamo se quelle parole (alea jacta est) furono davvero proferite; certo è che - a furor di popolo o di alcuni Senatori (che di questo credettero di interpretare la volontà) - il Divo Giulio fu assassinato dalle ormai celebri "ventitré pugnalate".
Di ciò la vera ragione consistette nella sua pretesa di assurgere a "Dictator perpetuus", intendendo così riesumare l'unica parola che nessun Romano avrebbe mai potuto tollerare: "Rex".
Le successive lotte fratricide tra opposte fazioni popolari e politiche (Marcantonio e i congiurati), il disfacimento della fondamentale Provincia d'Egitto (Cleopatra e lo stesso Marcantonio), e l'"Imperium" (ghermito da Ottaviano), dimostrarono comunque tutta la forza e la stabilità del sistema legale romano anche di fronte a tali sconvolgimenti, spalancando le mura dell'Urbe all'Impero.
Da quel momento Roma s'impose sulla Storia ed entrò nella Leggenda, avvalorando sin d'allora i versi composti secoli dopo (intorno al 450 d.C.) da Rutilio Namaziano nel poemetto "De reditu suo": «Urbem fecisti, quod prius Orbis erat» e «fecisti Patriam diversis gentibus Unam».
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