EXCALIBUR 87 - giugno 2015
nello Speciale...

La firma dei Protocolli di Roma e il suicidio della Resistenza

Un film che racconta il massacro dei partigiani antislavi (tra cui il cagliaritano Giuseppe Saba) a opera dei "garibaldini" filo-titini
Fu un vero proprio suicidio della Resistenza, che con tale atto cessava di essere una identità politico-militare sovrana ponendosi nella condizione di uno stato sconfitto alla stessa stregua del Regno del Sud.
La qual cosa suscitò, sul momento, le ire del solo Sandro Pertini, il quale evidentemente aveva capito dove gli Alleati andavano a parare.
A parte il vantaggio di un contributo di 160 milioni mensili, i protocolli davano per scontato che con la ritirata dei Tedeschi le formazioni partigiane passassero «alle dipendenze dirette del comandante capo dell'"Allied Armies in Italy"» ed eseguissero «qualsiasi ordine dato da lui o dal governo Militare Alleato in suo nome; compresi gli ordini di scioglimento e di consegna delle armi».
A dire il vero, prima della firma dei protocolli gli Alleati avevano un qualche dubbio che le formazioni partigiane comuniste si sarebbero adeguate docilmente ai loro desideri, ma il Pci li tranquillizzò. Infatti a Lugano, il 17 ottobre '44, Concetto Marchesi, per il Pci, alla domanda del colonnello alleato Roseberry «i partigiani (comunisti, n.d.r.) sarebbero obbedienti al Clnai?» rispose «». Insistette il colonnello alleato: «E se qualche capo banda si rifiutasse?», «sarebbe trattato come un nemico, il partito comunista può dare assoluta garanzia», assicurò Concetto Marchesi: «finché una forza nemica (leggi "italiana", n.d.r.) non tenda a escluderlo dall'unione nazionale».
Lapidario il giudizio dello storico Ginsborg: «I protocolli di Roma segnarono una sostanziale sconfitta della Resistenza». Gli esponenti del Clnai firmarono gli accordi di Roma non certo per stupidità o peggio per servilismo: i non comunisti pensavano che dopo detta firma gli Alleati avrebbero avuto un occhio di riguardo verso la "nuova Italia", al momento della stipula del trattato di pace. Il partito comunista, dal suo canto, ligio alla direttiva di Stalin, mirava, con l'aiuto alleato, ad avere una posizione di rilievo nel futuro governo di unità nazionale.
Chiaro pure l'obbiettivo degli Alleati: evitare che nel nord Italia, con l'inevitabile resa dei Tedeschi, si installasse un governo italiano autonomo in grado di non ritenersi in alcun modo vincolato alle clausole dell'armistizio.
Ottenuto quanto volevano, gli Alleati procedettero autonomamente e su una posizione di forza.
Dal 3 marzo del '45 erano in corso a Berna le trattative condotte dal capo dei servizi segreti americani Allen Dulles e i Tedeschi per la resa delle loro armate in Italia.
La cessazione dei combattimenti avvenne il 2 maggio, ma già da subito gli Alleati ottennero, come gesto di buona volontà, oltre alla liberazione di Ferruccio Parri, l'assicurazione che i Tedeschi, ritirandosi, non avrebbero proceduto alla distruzione delle infrastrutture civili e delle fabbriche. I Tedeschi, per conto loro, iniziarono, con molta cautela e discrezione, a sostituire i propri reparti di prima linea con truppe "ausiliarie" e reparti dell'esercito di Salò.
La resa delle truppe tedesche fu siglata a Caserta il 29 aprile, previa uguale accettazione della resa da parte delle truppe dell'esercito della Rsi. In questo contesto quale fu il ruolo del Clnai e perché detto Clnai il 25 aprile indisse autonomamente l'insurrezione nelle grandi città del nord, pur sapendo della resa imminente delle truppe tedesche? La causa va ricercata nella particolare strategia messa in atto dal Pci. A questo punto occorre partire da lontano.
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