EXCALIBUR 89 - dicembre 2015
in questo numero

La riforma degli enti territoriali in Italia

Un complicato puzzle di enti e competenze in attesa di una composizione armonica

di Luca Cancelliere
Sopra: la composizione e i compiti del Senato sono in via di profonda modifica
Sotto: sono varie le proposte di istituzione di entità diverse da Regioni, Province, ecc.
Gli enti territoriali locali nella costituzione italiana
La Repubblica Italiana, che con la Costituzione del 1948 aveva adottato una forma di Stato tipicamente regionale, con la riforma costituzionale del 2001 si è avvicinata molto a un modello costituzionale di tipo federale.
Secondo l'art. 114 della Costituzione, come modificato dalla Legge Costituzionale n. 3/2001, la Repubblica Italiana è costituita, oltre che dallo Stato, dai seguenti enti territoriali: comuni, province, città metropolitane e regioni, che sono «enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione».
L'attuale ordinamento costituzionale regionale e degli enti locali è in corso di revisione da parte del Parlamento a seguito della presentazione del D.d.L. Boschi, che prevede l'istituzione di un Senato rappresentativo delle istituzioni territoriali, l'eliminazione di ogni riferimento alle Province nella Costituzione e la modifica dell'art. 117 della Costituzione con l'eliminazione della legislazione concorrente, l'ampliamento di quella esclusiva dello Stato e l'inserimento della fondamentale clausola secondo cui «Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie o funzioni non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica della Repubblica o lo renda necessario la realizzazione di programmi o di riforme economico-sociali di interesse nazionale».

Le Regioni e le Province nell'attuale ordinamento italiano
Le Regioni sono dotate di autonomia statutaria, legislativa e regolamentare e trovano la loro disciplina nella Costituzione e nei rispettivi statuti. Le Regioni a statuto speciale dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia. Prima della legge costituzionale n. 3/2001, le Regioni a statuto ordinario avevano potestà legislativa concorrente entri i princìpi delle leggi-cornice statali e nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione.
La competenza legislativa esclusiva era prevista solo in capo alle Regioni a statuto speciale. In seguito alla riforma costituzionale del 2001, esiste una competenza legislativa esclusiva dello Stato su determinate materie, una competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni su altre materie e infine una competenza residuale delle Regioni in tutte le altre materie.
L'autonomia finanziaria della Regione ordinaria è disciplinata dall'art. 119 della Costituzione e dal decreto legislativo 42/2009.
L'autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale è disciplinata da quest'ultimo e attribuisce loro dal 60% al 100% dei tributi erariali riscossi nel territorio regionale. I controlli sulle Regioni sono stati notevolmente limitati dalla legge costituzionale 3/2001.
La suddetta riforma del Titolo V della Costituzione ha eliminato completamente i controlli sugli atti amministrativi regionali, mentre ha limitato e trasformato da preventivo a successivo il controllo statale sulle leggi regionali. Il governo nazionale ha infine poteri sostitutivi e di scioglimento degli organi regionali.
Nel 2011 le Province sono state trasformate in organo di coordinamento intercomunale, con consigli provinciali di non più di 10 membri nominati dai consigli comunali del territorio, che eleggono al proprio interno il presidente della Provincia. Invece, nelle Regioni a statuto speciale, gli statuti regionali prevedono la competenza regionale in materia di riordino degli enti locali.
La legge n. 56 del 7 aprile 2014 ha in particolare definito le Province come "enti territoriali di area vasta" di secondo grado. Fino alla legge costituzionale n. 3/2001, gli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali erano soggetti al controllo del comitato regionale di controllo, istituito presso le Regioni. A seguito della riforma costituzionale, tale organismo è stato abolito con i relativi controlli.

Una proposta di riforma: il "distretto" e gli altri enti locali
I pessimi risultati gestionali e finanziari raggiunti dalle Regioni a oltre quarant'anni dalla loro istituzione hanno sollevato sempre più numerose perplessità sull'utilità di ben tre livelli di amministrazione locale (Regione, Provincia e Comune).
Si rende necessario valutare l'ipotesi, piuttosto che della mera soppressione di uno dei due livelli di governo tra Regioni o Province, di una loro "unificazione" in un nuovo ente intermedio, il "distretto", sulla base di un nuovo approccio autonomistico legato alla tradizione italiana. Anche la Società Geografica Italiana è intervenuta nella discussione sulla riforma degli enti territoriali locali proponendo l'istituzione di 36 distretti federali al posto delle attuali regioni e province.
Più auspicabilmente, potrebbero essere istituiti circa 60 "distretti" che acquisirebbero tutte le competenze regolamentari e amministrative, nonché le risorse umane, strumentali e finanziarie, delle attuali Regioni e Province.
Peraltro, l'auspicabile riconquista della sovranità monetaria fornirebbe alla Repubblica Italiana maggiori disponibilità finanziarie e consentirebbe di abbassare sensibilmente il livello della pressione tributaria (oggi al 43% rispetto al 31% di prima del divorzio Banca d'Italia/Tesoro del 1981), dall'altro renderebbe obsolete le diatribe sulla ripartizione del gettito fiscale tra Stato centrale ed enti locali.
Per quanto riguarda la funzione legislativa, lo Stato dovrebbe tornare a essere l'unico titolare della funzione legislativa nell'ordinamento giuridico. In questo modo cesserebbero i conflitti di competenza tra Stato e Regioni e verrebbe maggiormente garantita la certezza e l'unità del diritto nazionale, premessa imprescindibile di un ordinato svolgimento dei rapporti economici e sociali tra i consociati. Gli attuali Comuni dovrebbero essere accorpati in "unioni di Comuni" (come da legislazione vigente) o "città" (i Comuni più grandi). Questo è peraltro un processo già in corso con il passaggio di molte competenze alle unioni di Comuni e con la previsione (D.L. 95/2012) dell'esercizio in forma associata da parte dei Comuni fino a 5.000 abitanti (3.000 per le comunità montane) di molte funzioni fondamentali.

L'amministrazione periferica dello Stato centrale nella proposta di riforma
Le Prefetture, la cui competenza territoriale dovrebbe venire a coincidere con quella dei nuovi "distretti", dovrebbero integrarsi con le Questure per costituire i nuovi "Uffici Distrettuali del Governo", in capo ai quali dovrebbero essere ripristinati poteri di controllo sugli atti degli enti locali analoghi a quelli previgenti.
Per garantire la presenza unitaria e coordinata dello Stato centrale sul territorio, infine, anche gli altri uffici periferici dell'amministrazione centrale, a cominciare dalle forze dell'ordine, dovrebbero essere progressivamente ricondotti sotto un più stretto coordinamento da parte dei nuovi Uffici Distrettuali del Governo.
Tutte le amministrazioni periferiche dello Stato e del parastato, nonché le filiali delle aziende pubbliche, sarebbero riorganizzate in base alle nuove circoscrizioni dei "distretti".

Conclusione
La Repubblica Italiana dovrebbe tornare alla formula dello Stato unitario e alla titolarità esclusiva della funzione legislativa in capo allo Stato, abbandonando l'attuale situazione di incerta e disordinata transizione tra Stato regionale e Stato federale.
Tuttavia, è opportuno sottolineare che questo non significherebbe in alcun modo un ritorno a vecchie e desuete forme di centralismo amministrativo. I nuovi "distretti" e i nuovi enti locali godrebbero infatti di amplissima autonomia.
Tramite il proposto riparto di competenze tra Stato ed enti territoriali locali, si eliminerebbe in radice la possibilità stessa di duplicazioni e conflitti di competenza tra diversi livelli di governo, nel quadro del principio di unità e indivisibilità della Repubblica sancito dalla Costituzione.
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