EXCALIBUR 90 - febbraio 2016
in questo numero

Le pensioni degli Italiani

Si punta sempre sull'elevazione dell'età anagrafica e contributiva per la pensione

di Luca Cancelliere
L'Inps amministra oltre 19 milioni di pensionati e 27 milioni di lavoratori
Una comprensione del sistema previdenziale italiano non può prescindere dalla conoscenza del quadro demografico della Nazione.
Il tasso di natalità italiano, pari a 9,2 nascite ogni 1.000 persone, è al 183mo posto tra quelli di 195 Stati del mondo. Il tasso di fertilità italiano, pari a 1,38 figli per donna, è al 173mo posto tra quelli di 195 Stati del mondo ed è inferiore alla media europea (pari a 1,5 figli per donna). Per l'aspettativa di vita, invece, l'Italia è al dodicesimo posto su 195 Stati del mondo (77 anni e mezzo per gli uomini e 83 anni e mezzo per le donne). L'aspettativa di vita è peraltro destinata a salire vertiginosamente fino al 2050 (82 anni per gli uomini e 87 per le donne). Ciò si riflette sul nostro sistema pensionistico, che già oggi assorbe il 17% del Prodotto Interno Lordo.
Con la riforma Dini del 1995 fu introdotto il nuovo sistema "contributivo", per chi iniziò a versare contributi esclusivamente dal 1º gennaio 1996. La pensione "contributiva" è calcolata sulla base del montante dei contributi versati durante tutta la vita lavorativa, sulla base di un coefficiente di trasformazione indicizzato al tasso di crescita del Pil. Per chi invece al 31 dicembre 1995 aveva maturato 18 anni di contributi, il calcolo della pensione viene effettuato con il sistema retributivo, ovvero in base alla retribuzione degli ultimi anni di servizio. Chi al 31 dicembre 1995 aveva meno di 18 anni di contribuzione, rientra nel sistema "misto" ovvero retributivo per i periodi fino al 31 dicembre 1995 e contributivo per i periodi successivi al 1º gennaio 1996. A tutti i lavoratori, per i periodi successivi al 1º gennaio 2012, viene applicato comunque il sistema contributivo (già comunque in vigore per gli assunti dopo il 1º gennaio 1996).
L'attuale sistema pensionistico penalizza particolarmente i giovani. Il cosiddetto "indice di dipendenza" (numero degli ultrasessantenni in rapporto alla popolazione di età compresa tra i 20 e i 59 anni) salirà progressivamente dal 45,1% del 2005 al 95,5% del 2050. I lavoratori interessati dal sistema contributivo, al momento del pensionamento, godranno di un tasso di sostituzione (rapporto tra stipendio e pensione) pari al 64% con 40 anni di contributi nel 2050 (rispetto all'80% di chi va in pensione con il sistema retributivo).
L'Inps, primo ente previdenziale italiano, con riguardo al settore privato dipendente e autonomo amministra oltre 16,6 milioni di pensionati e 23,8 milioni di lavoratori attivi. Altri 2,6 milioni di pensionati e 3,5 milioni di lavoratori del pubblico impiego sono stati presi in gestione dall'Inps a seguito della soppressione dell'Inpdap. Detto ente ha portato in dote all'Inps 6 miliardi di Euro di disavanzo, dipendente unicamente dal mancato trasferimento, all'atto della costituzione della relativa gestione previdenziale all'interno dell'Inpdap nel 1996, del montante contributivo dei pensionati ex dipendenti statali allo stesso Inpdap, nonché dalla sospensione, dal 2007 al 2011, dei trasferimenti operati dallo Stato, sotto forma di anticipazioni, nei confronti dell'Inpdap.
L'elevazione dei requisiti (anagrafici e contributivi) necessari per il conseguimento del diritto a pensione è stata il minimo comune denominatore delle riforme degli ultimi 20 anni (Amato 1992, Dini 1995, Prodi 1997, Maroni 2004, Damiano 2007). L'ultima riforma pensionistica, quella del Decreto Monti-Fornero del 2011, ha stabilito che la pensione di vecchiaia si ottiene con un'anzianità contributiva di 20 anni e un'età anagrafica di almeno 66 anni e 7 mesi nel 2016 (sono previsti requisiti inferiori per le lavoratrici dipendenti e autonome del settore privato, fino alla totale equiparazione dei requisiti per tutti nel 2018). Per ottenere la pensione anticipata non bastano più i 40 anni già previsti per la pensione di anzianità ma occorrono, per il 2016, 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini.
La quota di pensione relativa alle anzianità contributive maturate prima del 1º genaio 2012 è ridotta di 1 punto percentuale per ogni anno di anticipo nell'accesso al pensionamento rispetto all'età di 62 anni e di 2 punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a 60 anni di età. Restano fermi i diritti acquisiti per chi ha già maturato i requisiti previsti alla data del 31 dicembre 2011, nonché per la cosiddetta "opzione donna" (57 anni e 3 mesi di età e 35 anni di anzianità contributiva, optando per il sistema contributivo) entro il 31.12.2015.
Anziché elevare sempre i requisiti per il diritto a pensione, sarebbe opportuno riportare a 40 anni il diritto a pensione con la sola anzianità contributiva e a 65 anni per la vecchiaia. Sarebbe auspicabile un contributo di solidarietà da far gravare su tutte le 80.000 "pensioni baby" ottenute a suo tempo con un'età anagrafica inferiore a 50 anni e sulle pensioni liquidate con il sistema retributivo puro. Le pensioni liquidate con il sistema contributivo dovrebbero essere sostenute mediante un sistema di indicizzazione: ai futuri pensionati assunti dopo il 1º gennaio 1996 deve essere garantito un tasso di sostituzione (rapporto tra la pensione e l'ultima retribuzione) minimo inderogabile.
Fermi restando i provvedimenti proposti, l'unica soluzione duratura al problema della sostenibilità del sistema pensionistico nel lungo periodo resta l'abbassamento del cosiddetto "indice di dipendenza", ovvero il miglioramento del rapporto numerico tra pensionati e lavoratori attivi, perseguibile in modo strutturale mediante un incremento dell'occupazione e anche attraverso un sostegno alle famiglie con figli in vista di un incremento demografico della popolazione italiana.
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