EXCALIBUR 93 - luglio 2016
in questo numero

Italia maestra

Il destino della stirpe ritorna sulla strada dei padri

di Silvio De Murtas
La copertina di Times con Benito Mussolini
Sulla solida base del "Discorso del Duce pel rapporto quinquennale del Regime", era ormai chiaro alla coscienza degli Italiani che l'ideale pedagogico altro non fosse che il riflesso di quello che la Nazione intera viveva nel suo momento storico, ed era altrettanto evidente che il "primo testo" della (allora) nuova pedagogia italiana fosse costituito dai discorsi del Primo Cavaliere e dalle comuni esperienze politiche.
Diffuso tale discorso tramite la radio di Roma nella Domenica di Passione del 1934, e dopo una commossa rievocazione dei sacrifici richiesti dalla Rivoluzione Fascista (documentati al cospetto degl'Italiani e degli stranieri nella Mostra della Rivoluzione), Sua Ecc.za pose dinanzi all'assemblea la prima affermazione del "rapporto":
«Dal 1929 il Fascismo da fenomeno italiano è diventato fenomeno universale. Le prove di tale universalità le abbiamo ogni giorno nell'interessamento del mondo allo svolgimento interno ed esterno della nostra vita».
Il Duce non reputò necessario di accennarvi, perché sapeva che il miglior commento alla sua affermazione sarebbe venuto di lì a poco dalla stampa estera. Infatti, all'indomani, il "Times" affermava che l'Italia aveva - in virtù di quel programmatico discorso «intrapresa una sana politica di solidarietà internazionale nella zona dove tale politica era più urgentemente necessaria»; e il "Daily Mail" rilevò che tale discorso «oltre ad aver segnato una delle più formidabili manifestazioni oratorie del grande uomo di Stato che guida le sorti dell'Italia, aveva escogitato e concluso un accordo danubiano che implica ripercussioni politiche che trasformeranno l'intera situazione dell'Europa meridionale». Esso concludeva che «L'Italia ha rafforzato uno dei pilastri che sorreggeranno l'edificio della pace europea».
In Francia, sebbene alcuni punti del discorso avessero avuto un sapore quasi asprigno pel delicato palato della "nostra sorella latina", pure il discorso stesso venne qualificato come un "discorso franco diretto a un popolo sano" e il quotidiano "Le Jour" osservava che «uno dei meriti di Mussolini è di aver dato alla Nazione Italiana il sentimento dei valori morali considerati come il fattore più sicuro della sua resurrezione».
In Germania, quantunque ivi si cercasse di attenuarne la portata per quanto si riferiva all'Austria, si riconosceva unanimemente che "Roma si delinea sempre più come centro politico del mondo". Così la stampa svizzera, austriaca, americana... Il tutto con evidente e conclamato superamento della centenaria concezione secondo la quale l'Italia veniva definita semplicemente una "espressione geografica" o del precedente comune pensiero (dal Risorgimento alla Vittoria mutilata) secondo il quale sembrava "parecchio" ogni nostra rivendicazione territoriale e spirituale.
Sua Ecc.za continuava però anche a spiegare la "ragione" dell'universalità del Fascismo. E il "perché" del nostro rinnovato legiferare da Roma al mondo «sta nella riconquistata coscienza etica della vita politica, nella coraggiosa revisione di idee e di valori che l'Italia ha operato per sé e per tutti i popoli, prima - magari - con violento, coraggioso moto iconoclasta e distruttivo, poi con fervido e disciplinato moto ricostruttivo».
Infatti il Duce, dopo l'affermazione dell'universalità del Fascismo, identificò nel grandioso fenomeno storico, di cui la Nazione italiana era protagonista, due aspetti: «Nel fenomeno bisogna distinguere l'aspetto negativo da quello positivo. Il primo è quello della liquidazione di tutte le posizioni dottrinali del passato, l'abbattimento di quelli che sono stati i nemici anche del Fascismo; i principii del secolo scorso sono morti. Hanno dato quel che potevano, hanno anche avuto un periodo di fecondità e grandezza , ma sono passati. Le forze politiche del secolo scorso - presunta democrazia, socialismo, liberalismo, massoneria - sono esaurite; esse non dicono più nulla alle nuove generazioni; le torbide coalizioni degl'interessi, nei quali s'incrociano spesso quelli dell'economia e quelli della politica, e i tentativi disperati, ma velleitari, di coloro che ci vivevano sopra, non potranno impedire l'ineluttabile.
L'aspetto positivo è invece quello della ricostruzione: l'Italia impera spiritualmente, perché è stata la prima fra tutte le Nazioni a uscire dal marasma di una mentalità individualistica, utilitaristica, atea: a riconoscere che la vita d'ogni popolo, come quella d'ogni individuo, è sostenuta non dalle pretese del diritto, ma dagli imperativi del dovere; a ricostruire la vita sulla base indistruttibile delle idealità che costituiscono l'essenza umana e che si riepilogano in due poli luminosi: Patria e Dio. I due "soli" danteschi che nessuna follia della brutalità umana potrà mai definitivamente offuscare nell'orizzonte politico e spirituale dei popoli.
I materiali necessari a ognuno che voglia porsi nell'opera ricostruttiva, qualunque sia il campo della sua specifica attività, sono i principii del Fascismo, mediante i quali si generano nuove forme di civiltà tanto nella politica quanto nell'economia. In particolare, lo Stato riprende i suoi diritti come interprete unico e supremo delle necessità della società nazionale, in quella sintesi vitale di Stato e Popolo: il Popolo è il corpo dello Stato e lo Stato è lo spirito del Popolo.
La identità fra le due essenze si realizza con gli strumenti fondamentali del Partito e della Corporazione, ristabilendo - anche nel mondo del lavoro - il naturale equilibrio fra l'uomo e la macchina, riconducendo quest'ultima al servizio del primo, che diventa cittadino e soldato, rafforzandolo al servizio di sé stesso e quindi - anche militarmente - al servizio della Patria.
Viene così - se non proprio eliminato - almeno grandemente ridotto anche il pericolo che potrebbe minacciare il Regime, ossia lo "spirito borghese", ossia quello spirito di vana soddisfazione e di adattamento, di tendenza allo scetticismo, al compromesso, alla vita comoda, al carrierismo. L'imborghesito è colui che crede che ormai non ci sia più nulla da fare, che il facile entusiasmo disturbi, che la parate siano troppe, che sia ora di assettarsi, che basti un figlio solo (e delle volte, nessuno) e che il piede di casa sia la sovrana delle esigenze.
Ma questo - parafrasando Leonardo da Vinci - riduce gli uomini a "ripetitori e trombetti", e contro questo pericolo non vi è che un rimedio: quello della rivoluzione continua: il credo del borghese è l'egoismo, quello del fascista è l'eroismo
».
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