EXCALIBUR 93 - luglio 2016
in questo numero

La Deledda a 90 anni dal Nobel

La scrittrice sarda tra reticenze commemorative e mistificazione della cultura femminista

di Angelo Abis
Sopra: testo della terza elementare curato da Grazia Deledda
Sotto: una giovanissima Grazia Deledda
Quest'anno ricorre l'ottantesimo anniversario della morte e il novantesimo anniversario dell'assegnazione del premio Nobel alla scrittrice sarda. Le celebrazioni sono decollate non solo in Italia, ma anche in tante parti del mondo. Solo in Sardegna si procede lentamente e con non pochi imbarazzi.
È vero che c'è un impegno della Regione, ma c'è molta reticenza, per esempio, nelle facoltà di lettere delle due università sarde. Reticenza che si spiega unicamente con la storica idiosincrasia verso la Deledda della cultura marxista e anticattolica, impersonata per lo più da docenti del continente, che in quelle facoltà l'hanno sempre fatta da padroni.
Lo ricorda bene il saggista Ugo Collu: «Nella seconda metà degli anni '60 ottenere all'Università una tesi su Sebastiano Satta o sul Premio Nobel Deledda era un'impresa impossibile, si veniva tacciati di provincialismo».
Ancora più duro il giudizio del critico letterario Neria De Giovanni, autrice di ben 14 volumi su Grazia Deledda: «Grazia Deledda non si studiava, neppure nelle università sarde, neppure altri scrittori sardi perché c'era in voga una bruttissima considerazione della letteratura isolana come provinciale, come una letteratura regionale. Ho avuto alcuni professori all'Università di Cagliari e quando chiedevamo "fateci studiare Grazia Deledda, Giuseppe Dessì, Sebastiano Satta, Salvatore Satta" ci rispondevano "no, noi non siamo provinciali, dobbiamo guardare fuori dalla Sardegna"».
C'è da arrossire per l'ignoranza, pari solo alla spocchia, della nostra cultura accademica nei confronti della scrittrice isolana, che senza presunzione reagì, agli inizi del XX secolo, alla condanna degli intellettuali positivisti d'oltremare pronunciata contro i Sardi, descritti come delinquenti, banditi e selvaggi, privi di una identità e di una propria cultura. Così come Giuseppe Biasi nell'arte, Sebastiano Satta nella poesia, Attilio Deffenu nel sociale, Grazia Deledda rivela una Sardegna patria di una cultura pastorale e contadina, i cui valori, grazie ai romanzi della scrittrice, non a caso paragonata a Manzoni e Tolstoj, assumono una dimensione universale.
Grazia Deledda lanciò una sfida a viso aperto a tutti i denigratori della sua terra: «Il mio ideale è di sollevare in alto il nome del mio paese, così mal conosciuto e denigrato al di là dei nostri melanconici mari, nelle terre civili».
E non si può dire che non riuscì nel suo intento. Ne è prova quanto ci ha raccontato, nel 1921, il poeta e scrittore Marino Moretti che era solito ospitare a Cervia, nella costa romagnola, la scrittrice sarda che lì si recava in villeggiatura: «Dopo un momento il "professor Panzini" era annunciato in giardino. Vieni, Alfredo, siediti: berresti una limonata con noi?. No, grazie: preferisco il tuo ottimo tamarindo. Buona sera, signora. Tu conosci la signora Deledda, non è vero?. Certo, certo», intervennero a una voce, senza enfasi, entrambi gli ospiti.
«Se ben ricordo ci presentò Beltramelli a Roma», disse la bruna scrittrice, «al Giornale d'Italia. Già, Beltramelli, un altro romagnolo come voi, stessa passionalità: un altro Alfredo Oriani. Anche Oriani, se non erro, era di Forlì come Beltramelli», continuò la scrittrice sarda.
«No», intervenne affabile Panzini. «Oriani era nato a Faenza, la città delle ceramiche. E adesso è nel cimitero di Casola Valsenio. Eh sì. Meglio parlare di cose belle. Dei suoi libri, signora. Convieni, Marino, che la nostra Grazia è la più brava di tutti?», al tono dell'amicizia si mescolava una sincera ammirazione: «Chissà se se ne accorgeranno quelli di Stoccolma».
La Deledda a palpebre chiuse accennava a un sorriso intelligente, mino e schivo. Poco dopo manifestò il desiderio di congedarsi. I due gentiluomini scortarono la piccola signora fino al predellino del suo fiacre e riguadagnarono la pace del giardino.
«E allora, Alfredo? Allora: quella donna è straordinaria. Lo hai letto Canne al vento?. Sì».
Alla faccia della scrittrice solitaria, o peggio, "la massaia primitiva che scrive per un sorprendente talento naturale".
In realtà Grazia Deledda era un'intellettuale sottile, colta e informata, che intratteneva rapporti significativi con molti scrittori e artisti del tempo. Era una presenza assidua, per esempio, nella redazione della rivista letteraria Nuova Antologia, dove incontrava De Amicis, Fogazzaro, D'Annunzio, Pirandello, Mascagni. Mentre a Cervia, dove si recava in vacanza, si intratteneva con Marino Moretti, Filippo De Pisis, Giuseppe Ungaretti e Alfredo Panzini.
Tutta la nouvelle vague sarda trapiantata a Roma fa capo a lei e da lei è incoraggiata e aiutata, e non sono nomi da poco: Giuseppe Biasi, Ruju, Francesco Ciusa, Carlo Aru, Stanis Manca, Iosto Randaccio. Costante è poi la sua presenza nella stampa regionale.
Collabora, nel 1914, alla rivista "Sardegna" di Attilio Deffenu, dal 1922 al 1925 scrive su "La Regione", mensile diretto da Salvatore Deledda, di chiara impronta sardo-fascista. Dal '26 scrive su "Mediterranea", rivista mensile dell'Istituto di cultura fascista, diretta dal deputato Antonio Putzolu. Putzolu Nel 1929, per conto dell'Istituto di cultura fascista, indice il primo corso di cultura per stranieri e connazionali.
Nell'ambito del corso, per far conoscere la storia della Sardegna, venne invitata a Cagliari Grazia Deledda per tenervi un ciclo di conferenze. Ancora nel 1933 la scrittrice con Cipriano Efisio Oppo e Silvio Benco fa parte della giuria del premio "Un diario di viaggio in Sardegna", che vedrà premiati Elio Vittorini e Virginio Lilli. Tutto quanto è stato scritto sino ad adesso fa a pugni con la rappresentazione del tutto mistificata che certa cultura femminista fa di Grazia Deledda e della sua epoca. Ecco cosa scrive Ornella Demuru sul sito Sardinia Post del 9 marzo 2015 in occasione di un viaggio in Sardegna della Boldrini: «Era il 1926: mentre, in molte parti del mondo le lotte delle donne avanzavano ottenendo importanti risultati, in Italia avanzava il fascismo e la marginalità femminile. Oggi, dunque, la Deledda merita di essere onorata non soltanto perché vincitrice del premio letterario più ambito, ma perché il contesto storico in cui lo ottenne era crudo, discriminante, profondamente sessista e immaturo rispetto al suo personale cammino di emancipazione».
Non è da meno certa Caterina Solang che vive a Parigi ma viene spesso in Sardegna: «La Deledda fu considerata dai critici ingiustamente politicamente agnostica perché non prese posizione contro il fascismo negli anni in cui vi convisse. Non sono d'accordo: Grazia Deledda fu l'unica scrittrice italiana che non ha avuto niente cui spartire con il fascismo.
Non sono d'accordo, inoltre, perché io trovo invece nei suoi libri degli elementi di sovversione politica prepotenti: in Canne al vento c'è un servo che ammazza il padrone e un figlio che fugge di casa e abbandona il padre, quindi, contemporaneamente in questo romanzo che sembra così distante dalla nostra realtà, c'è un ordine familiare e un ordine sociale infranto in cento pagine!
»
Parole ripetute pappagallescamente, senza neanche il buon gusto di citare la fonte, dalla nostra "accabadora" (della cultura) Michela Murgia. Ecco la vera e unica Grazia Deledda da celebrare: antifascista e antimaschilista a sua insaputa, con le sue migliori pagine intrise di mistica marxista! Ma veniamo al rapporto di Grazia Deledda col fascismo e con Mussolini. Stranamente non esiste nessuna letteratura in proposito. Praticamente non esiste scrittore, artista o intellettuale del ventennio i cui rapporti col regime e con lo stesso Mussolini non siano stati ampiamente divulgati. Su Grazia Deledda niente, se non qualche pettegolezzo. Eppure la scrittrice sarda in un suo romanzo del 1927, ambientato nella pianura padana, "Annalisi Bilsini" fa dire a un suo personaggio (si parlava di scontri tra gruppi di giovani per motivi politici): «Da noi non succedono più queste cose. Da quando c'è lui, tutti si vive in pace». L'accenno a Mussolini è più che evidente. Nel 1929 la Deledda fu chiamata a far parte di una apposita commissione incaricata di scegliere il così detto libro di stato per le classi elementari. Nel '31 fu autrice del testo per la terza classe elementare. A memoria di quanti considerano la scrittrice afascista se non proprio antifascista, riportiamo quanto da lei scritto nel testo scolastico:
«La mattina del 28 ottobre i fascisti avanzarono e entrarono in Roma, perché Roma è la testa dell'Italia, che dopo la sua splendente vittoria nella Grande Guerra era rimasta senza testa.
- Chi gliel'aveva tagliata? - domandò Cherubino.
- I comunisti -.
- Io ho sentito parlare dei comunisti, ma non so che cosa siano - disse Cherubino.
- Fa conto: Tu copi il problema di aritmetica che ha svolto Sergio con fatica. Ecco che sei un po' comunista
».
Quanto alla considerazione che il duce aveva della Deledda, al di là dei molti aneddoti non documentati e anche al di là del telegramma, dovuto, dell'11 novembre 1927: «Vogliate, vi prego, ricevere le mie congratulazioni in quest'ora in cui il mondo consacra la vostra gloria di scrittrice italiana», qualcosa di più incisivo lo si ritrova nei colloqui avuti, a partire dal 1934, col suo biografo Yvon De Begnac: «In Italia la poesia, esclusa quella di D'Annunzio e di Marinetti, era, tra il 1922 e il 1928, poesia d'accatto, rimasticatura di leopardismo, lamento francese. Il romanzo, esclusi Bontempelli, un poco Beltramelli, molto Pirandello, Grazia Deledda e Bacchelli, non esisteva».
Mussolini chiude con la scrittrice - si fa per dire! - il 14 marzo del 1945, in quel di Salò. In quella data inviò a Claretta Petacci una lettera nella quale, tra l'altro si dice: «Ti mando un bellissimo romanzo della Deledda».
Non conosciamo il titolo del romanzo, ma dall'episodio possiamo dedurne che il dittatore una qualche stima e conoscenza della scrittrice sarda doveva pure averla.
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