EXCALIBUR 95 - dicembre 2016
in questo numero

L'Italia e la Nato nell'era Trump

Un bilancio della più duratura alleanza italiana dalla sua nascita fino a Trump

di Angelo Abis
Il presidente eletto Donald Trump
Una vulgata storica dura a morire fa risalire la nostra adesione al Patto Atlantico allo spirito di servilismo della classe dirigente nazionale nei confronti dei vincitori della seconda guerra mondiale, segnatamente gli Usa, il cui "imperialismo" si manifesterebbe nel nostro territorio con la presenza di un gran numero di basi militari Nato.
Primo artefice di questa sudditanza sarebbe stato Alcide De Gasperi, il presidente del consiglio democristiano che nel febbraio del 1947, dopo un suo viaggio negli Stati Uniti, determinò una crisi del suo governo che portò all'estromissione dallo stesso dei partiti della sinistra. In realtà e a ragion veduta, proprio De Gasperi fu colui che, nei limiti che le condizioni dell'Italia permettevano, entrò in rotta di collisione con gli Americani. Il leader democristiano, dopo la ratifica del trattato di pace e lo sgombero delle truppe alleate dal territorio nazionale, era preoccupato per la persistente minaccia della Iugoslavia di Tito.
Pertanto, in forza del trattato di pace e della carta delle Nazioni Unite, aveva invitato gli Usa «a intervenire qualora fosse stata messa in pericolo l'integrità territoriale dell'Italia o fosse minacciata la forma democratica del suo governo» e, in aggiunta, aveva pure sollecitato una consistente fornitura di armi onde poter potenziare l'esercito. La risposta, nelle dichiarazioni del presidente Truman, fu sostanzialmente negativa e questo De Gasperi se lo legò al dito.
A ridosso delle elezioni del 18 aprile 1948, subito dopo il colpo di stato comunista in Cecoslovacchia, il primo ministro inglese Bevin ritenne opportuno associare anche l'Italia alla costituenda Unione Occidentale Europea (U.E.O.). Gli Americani chiesero a De Gasperi una adesione all'U.E.O., supportandola con l'offerta di una fornitura di armi.
De Gasperi oppose un secco rifiuto a entrambe le offerte. Gli Alleati ne trassero la logica conclusione che in futuro bisognava evitare di avere l'Italia come alleato. In questo contesto, iniziarono nel luglio del '48 le trattative tra Usa, Canada e i cinque paesi del patto di Bruxelles. Trattative che si chiusero il 15 marzo del 1949 con la creazione del patto Atlantico.
Gli Americani, a seguito dei rifiuti di De Gasperi, avevano il dente avvelenato, tanto che Truman depennò personalmente il nome del ministro degli esteri Sforza dalla lista dei ministri da invitare per il futuro negoziato.
L'Italia in un primo momento snobbò il negoziato, pensando che gli Alleati morissero dalla voglia di avere l'Italia dalla loro parte. Di parere opposto erano invece i nostri ambasciatori a Washington, Londra e Parigi i quali invitavano il governo a muoversi, poiché, a differenza di quanto si pensava a Roma, gli Alleati non avevano nessuna intenzione di trovarsi l'Italia tra i piedi e che la nostra esclusione ci avrebbe privato di due cose di cui l'Italia non poteva fare a meno:
1) la garanzia militare degli Usa a tutti gli stati aderenti al patto;
2) consistenti finanziamenti e aiuti militari agli stati stessi.
Per farla breve, la cosa si risolse con un documento col quale si chiedeva sì di partecipare alla trattativa, ma con una serie di pregiudiziali.
Il nostro ambasciatore a Washington, Ortona, presentò il documento con la sola richiesta, stralciando tutto il resto.
La cosa non mutò l'ostilità americana nei nostri confronti. In proposito il Dipartimento di Stato sottopose a Truman il seguente documento, nel quale tra l'altro si diceva: «In due guerre mondiali l'Italia si è dimostrata un alleato inefficace e infido, avendo cambiato campo in entrambe le guerre».
Ma, a sorpresa, il caso Italia si risolse grazie all'intervento della Francia che aveva l'interesse a "coprire" militarmente l'Algeria che gli Alleati non volevano garantire in quanto colonia. Il 25 febbraio del 1948, allorché la conferenza atlantica discuteva la richiesta di partecipazione della Norvegia, che si sentiva minacciata dall'Urss, la Francia dichiarò che si sarebbe opposta all'accettazione della Norvegia se non fosse stata ammessa anche l'Italia.
Controvoglia Truman dovette piegarsi all'imposizione francese. Si decise, dunque, di far partecipare l'Italia all'iniziativa, ma solo, su richiesta inglese, a trattato concluso. Il 7 marzo del '48 fu rivolto all'ambasciatore Tarchiani l'invito ad aderire: prendere o lasciare. I vantaggi dell'adesione all'Alleanza, nell'immediato, furono oltre alla garanzia militare nel caso di una aggressione e a tutta una serie di aiuti finanziari e di armamenti, la decadenza di fatto di tutte quelle clausole del trattato di pace che limitavano l'azione del governo soprattutto nel campo della difesa.
Basta dire che in base all'articolo 50 del trattato di pace, era fatto divieto al governo di installare basi militari in Sardegna (a saperlo i nostrani contestatori delle servitù militari!). Ma indubbiamente, il fatto storicamente più rilevante fu che l'Italia usciva dallo status di nazione sconfitta molto prima dei suoi ex alleati ben più potenti e cioè la Germania e il Giappone.
La nostra alleanza con gli Usa dura ormai da 67 anni. I detrattori spiegano questa lunga durata con lo strapotere americano e con lo spirito poco nazionale delle nostre classi dirigenti. In realtà le alleanza non sono matrimoni d'amore, bensì comunanza di interessi. Gli interessi americani sono focalizzati soprattutto sulle sponde degli oceani Atlantico e Pacifico, mentre i nostri vertono prevalentemente nel Mediterraneo, per cui molto raramente sono entrati in contrasto.
Questo ci ha permesso di svolgere, in questo dopoguerra, una politica relativamente autonoma sia nei confronti dell'Urss che nei confronti dei paesi arabi. Da un punto di vista strettamente militare, poi, tutto l'apparato delle nostre forze armate giocoforza si è dovuto adeguare in termini di armamenti, di addestramento e di progresso tecnologico ai parametri rigorosi ma efficienti pretesi dalla Nato; mentre i nostri stati maggiori dal confronto con i loro pari, non solo Americani, ma anche Inglesi, Francesi e Tedeschi di alte tradizioni militari hanno acquisito una mentalità più moderna e meno provinciale. Lo stesso discorso si può fare per la nostra industria bellica assurta ad altissimi livelli, tant'è che si regge prevalentemente sulle esportazioni.
Il risultato è stato che le nostre forze armate, un tempo oggetto di barzellette in mezzo mondo, hanno dimostrato, nei conflitti in cui si sono trovati a operare, un grado di efficienza pari, se non superiore a quello di eserciti ben più quotati.
Le dichiarazioni del neoeletto presidente Usa Trump in ordine alla reale utilità della Nato hanno ingenerato, soprattutto in Europa, la convinzione che l'America si avvii verso una politica isolazionista che vedrebbe il vecchio continente non più "protetto" dall'ombrello nucleare statunitense. Per inciso, qualunque tentativo di creare una forza armata europea, volontà politica a parte, sarebbe inutile e velleitario, stante la volontà francese di tenere solo per sé il proprio arsenale nucleare. In realtà Trump non tollera il fatto che gli oneri finanziari della Nato ricadano per il 75% sugli Usa e incidano pesantemente sulle loro spese militari (dieci volte tanto quelle russe).
Pertanto Trump gradirebbe che gli alleati europei aumentassero le proprie per almeno il 2% del proprio prodotto interno lordo.
Se l'Italia dovesse adeguarsi a questi parametri si troverebbe a essere, in pochi anni, una potenza militare di tutto rispetto in grado di farsi valere non solo nell'area del Mediterraneo, ma anche nei confronti di certi pseudo nostri alleati europei e degli stessi Usa.
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