EXCALIBUR 97 - aprile 2017
in questo numero

Europa: quanta inutile retorica

Ma cosa stiamo festeggiando, sessant'anni dopo?

di Angelo Marongiu
Sopra: un momento della firma dello storico Trattato
Sotto: Europa sempre più lacera e dilaniata dalle ondate di scettiscismo
A Roma, il 25 marzo 1957, furono firmati due trattati: il primo istituiva la Cee - Comunità Economica Europea, il secondo l'Euratom - la Comunità Europea dell'energia atomica. Gli stati firmatari erano sei: Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Firmarono per l'Italia il Presidente del Consiglio Antonio Segni e il Ministro degli Affari Esteri Gaetano Martino.
Sessant'anni dopo, a Roma, il 25 marzo 2017, si è celebrato l'anniversario di quella cerimonia, presenti i leader dei 27 stati membri del Consiglio europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea.
In forma solenne hanno firmato una nuova Dichiarazione nella quale si affermano le solite cose che ormai sentiamo tutti i giorni: l'orgoglio dei risultati raggiunti, la creazione di una comunità di pace, libertà, democrazia, fondata sui diritti umani, ecc.. E poi una serie di impegni:
- rendere l'Unione Europea più forte e resistente attraverso una unità e solidarietà ancora maggiori;
- creare un'Europa sicura prospera e sostenibile (aggettivo che, come il prezzemolo, non manca mai) che generi crescita e occupazione;
- sviluppare un'Europa sociale che, sulla base di una crescita sostenibile (ancora!) favorisca il progresso economico, la coesione, la convergenza...
- rendere l'Europa più forte sulla scena mondiale, che promuova la stabilità e la prosperità, nel suo immediati vicinato a est e a sud, ma anche in Medio Oriente e in tutta l'Africa e nel mondo.
E nel pistolotto finale c'è l'impegno a dare ascolto e risposte alle preoccupazioni dei cittadini e dialogo con i Parlamenti nazionali, in uno spirito di fiducia e di leale collaborazione tra gli stati membri... nel rispetto dei principi di sussidiarietà.
Questa dichiarazione - scritta in non so quante lingue - è stata solennemente firmata da tutti i leader.
Nel leggere queste trionfali dichiarazioni sui successi raggiunti e su quelli ancora più mirabolanti da perseguire, ci si immagina che alla fine i 27 leader siano sfilati per le strade di Roma circondati da una strabocchevole folla plaudente e festante.
Niente di tutto ciò: Roma era blindata, 5 mila agenti in tenuta antisommossa, droni che controllavano dall'alto le zone più pericolose, lo spazio aereo interdetto, la città divisa in zone rosse e verdi con varchi rigorosi e stringenti, espulsioni preventive di persone sospette, cortei di protesta confinati in aree chiuse e controllate da polizia e mezzi blindati. Un vero successo.
Questo scenario ha reso ancora più evidente la distanza ormai abissale che intercorre tra le affermazioni dei 27 leader e la realtà dei fatti. Dopo sessant'anni dal Trattato di Roma le crepe del sogno europeo sono sempre più evidenti.
Pochi giorni dopo queste celebrazioni la Gran Bretagna ha formalizzato l'avvio delle procedure di uscita da questa Comunità.
Si sono sentite grida e lamentele per questa decisione (per altro già manifestate dopo il referendum britannico e accolta anche allora con alti lai), ma nessun esame di coscienza.
Le parole più ricorrenti nei confronti dei Britannici sono state nazionalismo e populismo, naturalmente con una valenza negativa, e con questi termini si è scatenata la demonizzazione della Gran Bretagna: da «ve ne pentirete» a «vi costerà caro» e via dicendo. Nessuno che si sia chiesto perché. Si assiste solo a una deleteria banalizzazione di una decisione tanto importante. E a nulla vale la semplice osservazione che la Gran Bretagna ha preso questa decisione per tornare a essere uno stato sovrano.
Non serve a nulla la retorica del richiamo ai valori comuni, perché quali sono i valori comuni? L'unica cosa in comune che unisce i 27 paesi (e non tutti!) è la moneta, che non è certo la realizzazione dei sogni e delle speranze del marzo 1957.
L'Europa è nelle mani dei tecno-burocrati, schiava di spread e banche, imprigionata da migliaia di pagine di regolamenti, norme, codicilli, che hanno invaso la vita dei suoi cittadini e la rendono schiava dei signori non eletti che nei palazzi di vetro di Bruxelles o di Strasburgo o di Francoforte, non si rendono conto che un regolamento in più è una fetta di libertà che viene cancellata.
Mai un tentativo di indagare sulle cause del malessere e perché mezza Europa mostra ormai una palese insofferenza per queste regole comuni che inchiodano qualunque stato a rispettare parametri e vincoli, costretti a ragionare su zero virgola.
Dove sono gli ideali dell'Europa?
Nessuno vuol vedere il fallimento delle democrazie ormai private del potere decisionale da parte delle oligarchie che decidono per nostro conto. Nasce da qui il disprezzo per la politica e il deserto delle urne. Così come il disagio sociale e civile per l'assenza di politiche comuni e decise contro l'immigrazione massiccia e incontrollata, per un capitalismo europeo in continua decrescita (non felice). Un'Europa ormai senza consapevolezza della propria storia e delle proprie radici.
Rileggendo le dichiarazioni dei protagonisti del 25 marzo 1957 in Campidoglio si scopre che essi vedevano nel comune patrimonio cristiano un elemento fondamentale sul quale erigere la nascente Comunità Europea.
Patrimonio cristiano che - in nome di un vuoto laicismo - prima è stato relegato sempre più in disparte e poi fatto scomparire del tutto. Nasce da qui il vuoto di valori che ormai permea la nostra comunità e gli esiti li abbiamo davanti ai nostri occhi, con una società sempre più timorosa e frammentata, invasa e succube di popolazioni che hanno messo invece la religione al centro della loro vita e del loro agire. Occorrerebbe rivisitare la storia dell'Europa e rendersi nuovamente conto che essa ha la sue radici più profonde nel Cristianesimo inteso non come religione, ma come ispiratore dell'inviolabilità delle coscienze, dell'autonomia morale e civile del singolo uomo, della dignità di ogni pensiero.
Valori che dovrebbero essere riconosciuti da tutti gli Europei, anche se appartenenti a etnie, confessioni religiose e tradizioni diverse. Perché questo dovrebbe essere il comune patrimonio culturale ed etico dal quale partire.
Quest'anno cominciato da poco ha messo in luce che il re è nudo, che l'Europa non è più un ideale trascinante. Dopo l'uscita della Gran Bretagna e il pericolo dell'uscita dalla Comunità anche della Grecia (per miserabili motivi economici). Ci si rende conto della fuga dagli ideali europei, soppiantati da quelli sempre più nazionalistici e protezionisti.
Servono più ideali e meno finanza. Più collaborazione e meno egoismi. Meno cifre e più parole.
Paradossalmente l'Europa appare divisa in tre blocchi: quello del nord, con la Germania e i paesi settentrionali, che esige una politica comunitaria basta soprattutto sulla stabilità economica e sulle riforme strutturali; il blocco dell'est, con la Polonia in testa, preoccupata più della politica russa che delle regole comuni, che mira più a uno stretto legame con gli Stati Uniti e con la Nato e che vive solo delle tensioni con l'orso siberiano; infine il blocco del sud, con Francia, Spagna, Portogallo, Italia e Grecia, confuso e incapace di proporre una visione alternativa dell'Unione.
Dopo sessant'anni l'Europa risulta ancora una volta incapace di trovare interessi comuni che non siano solo monetari ed economici e di condividere invece scelte politiche di ampio respiro ideale.
Essa è ormai fossilizzata su un mondo che non esiste più.
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