EXCALIBUR 110 - novembre 2019
in questo numero

Politicamente e istituzionalmente (2)

Timori per la propria sovranità

di Gianluca Cocco
In politica estera sembra che il governo faccia tutto fuorché perseguire l'interesse nazionale
Le notizie sulla carta stampata, sui telegiornali e sulla rete riguardanti la nostra politica estera ci consegnano un quadro ben delineato; sembra infatti che il governo tutto faccia fuorché perseguire l'interesse nazionale in politica estera.
Al di là di un mediocre giudizio sul ministro degli esteri, cosa si potrebbe e cosa si dovrebbe fare oltre che sostituirlo?
Risulterebbe infatti troppo poco un avvicendamento al ministero degli esteri. In primis è indispensabile si torni alle urne. Inoltre serve un taglio netto col recente passato, una inversione di tendenza.
La grande sfida dell'Italia del futuro, infatti, è proprio quella di riuscire a farsi valere davanti alle altre nazioni che contano. La favola che tutte le nazioni del mondo siano uguali è l'utopia di una certa parte politica, i soliti noti che osteggiano coloro che non credono che questa repubblica sia lo stato ideale in cui vivere.
Indubbiamente i rapporti di "buon vicinato" sono alla base di una eccellente convivenza. Questo è un ottimo presupposto; ben venga avere relazioni amichevoli con gli stati confinanti e con quelli che si affacciano sul Mar Mediterraneo; ma è sufficiente questo patto, oltre che non dispiacere il gigante americano?
La nostra nazione, sia da un punto di vista commerciale che geopolitico, vanta una posizione centrale. In virtù di queste caratteristiche perché deve essere subordinata all'Europa per intraprendere manovre economiche o per il pattugliamento dei propri confini? Ma questa situazione è una volontà condivisa oppure è imposta? Questa è la domanda di fondo. Ma per coloro che ci credono, la costituzione di cui tanto si parla, viene rispettata dall'attuale politica estera?
Purtroppo non credo ci sia niente di costituzionale nell'avere paura dello stato sovrano.
Ritornano in mente le dichiarazioni rilasciate l'anno scorso durante la conferenza stampa alla Casa Bianca sia dal presidente Usa Trump che dal nostro primo ministro Conte, in visita negli Usa, riguardo la situazione libica: si affermava il ruolo dell'Italia come nazione guida nella triste crisi che la Libia attraversava e che purtroppo attraversa ancora. Sostanzialmente si riceveva una sorta di "mandato morale" per normalizzare la situazione in quel territorio. Addirittura l'incarico doveva andare ben oltre i confini libici, che tutt'ora esistono solamente grazie al Mar Mediterraneo e alle nazioni confinanti che di fatto ancora sono tali.
Non è dato sapere il perché l'attuale governo abbia abbandonato l'importante incarico, che ci veniva assegnato anche col dichiarato consenso da parte della Russia di Putin.
Rimango fermamente convinto che in quell'occasione il presidente americano avesse davvero visto giusto. Rispetto a tutte le altre nazioni europee, infatti, siamo i più titolati a stabilizzare la situazione libica, e non solo per il nostro passato coloniale o pre-coloniale in nord Africa o perché la Libia si affaccia sul mare di casa nostra, ma soprattutto perché è risaputo che i nostri servizi segreti da quelle parti facciano la differenza. Si rammenti inoltre che a Misurata già dal tempo del governo Renzi è stato inviato un nostro contingente militare, con il compito principale di monitorare la zona, ufficialmente per allestire e pattugliare un ospedale da campo per i feriti civili della guerra.
Credo che gli sforzi della Farnesina dovrebbero orientarsi a costruire, o meglio ricostruire, dei rapporti diplomatici che vadano oltre la solita visita di stato nella ex colonia di turno, anche perché il presunto astio per il passato coloniale esiste paradossalmente solamente a casa nostra, "grazie" a una visione distorta di cosa sia davvero stato il colonialismo italiano in Africa.
Le occasioni non mancherebbero: ci sarebbe da ricostruire da zero lo stato somalo (il cui presidente già dal 2013, con dichiarazioni ufficiali, chiede l'intervento italiano con una sorta di nuovo mandato fiduciario), ci sarebbe da reinserire l'Eritrea e la sua dittatura (?) in un contesto internazionale. Per non parlare dell'Etiopia col suo nuovo presidente neo premio Nobel per la pace... Ma in tutto questo ancora la nostra politica estera latita.
Ripartire quindi dalle nazioni che ebbero con noi un percorso storico-politico-culturale è quantomeno doveroso, Francia e Germania non possono interferire nel naturale riavvicinamento tra noi e quel mondo che contribuimmo a creare.
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