EXCALIBUR 112 - marzo 2020
in questo numero

Il campanilismo dei morti

La "livella" di Totò non funziona sempre correttamente

di Alessio Dettori
buchi neri della storia e della memoria
Buchi neri della storia e della memoria
27 Gennaio - 10 febbraio. Sono due settimane esatte quelle che trascorrono tra le due ricorrenze, ovvero la Giornata della Memoria e la Giornata del Ricordo.
La prima commemora gli Ebrei morti nei campi di concentramento tedeschi.
La seconda commemora gli Italiani massacrati nelle foibe dai partigiani titini.
Se per la prima c'è un rispetto per i morti unanime tra la popolazione, per la seconda, ogni anno, si avverte un clima di ostilità ancora oggi, nel 2020, assurdo da parte di un'orda di negazionisti e giustificazionisti schiumanti di rabbia che, non potendo più vietare con la forza o con le minacce di parlare delle migliaia di Italiani uccisi dai comunisti jugoslavi, cerca ancora di negare o addirittura di giustificare quanto accadde in Istria, Fiume e Dalmazia per mano dei comunisti.
Questi tristi personaggi cercano ancora oggi di fare propria la ricorrenza del 27 gennaio (per poi, già dal 28, tornare a esaltare la Palestina nella sua lotta contro Israele) e, non potendo più negare la seconda, cercano assurdamente di creare dei loro eventi per ridimensionare l'accaduto, raccontando una loro versione della storia altamente distorta e mistificata, anche se non ci si dovrebbe stupire, visto che questi personaggi fanno parte di sigle, partiti e associazioni affini ideologicamente a quel criminale che fu il maresciallo Tito, ovvero il mandante della pulizia etnica a danno della popolazione italiana presente in quei territori non da generazioni, ma da millenni, perché in quelle terre anche le pietre parlano di un passato tutto italiano.
Le parole che il Presidente della Repubblica ha pronunciato in occasione della giornata del ricordo di quest'anno, sul fatto che fu una vera pulizia etnica e che si dovrebbe smettere con i negazionismi, dovrebbero mettere d'accordo chiunque abbia un briciolo di buon senso.
L'unico punto debole del discorso è stato il non aver speso mezza parola sulle onorificenze al maresciallo Tito e su un eventuale impegno a revocarle.
Sì, ho scritto "onorificenze", perché in molti non sono a conoscenza di un "piccolo" particolare; a Josip Broz Tito venne conferita il 2 ottobre del 1969, dall'allora Presidente della Repubblica italiana Saragat, l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana, decorato di Gran Cordone, ovvero la più alta onorificenza della Repubblica italiana; si può verificare di persona se ci si reca nel sito internet del Quirinale.
Attualmente per revocare questa onorificenza, il conferito deve necessariamente essere ancora in vita, ma come ben sappiamo, le leggi si possono cambiare con il giusto percorso.
Allora perché le istituzioni non danno una dimostrazione di forza e coerenza e non si mettono al lavoro per revocare le indegne onorificenze? L'emozione generale mostrata da vari politici e il fatto che alcuni di essi abbiano speso qualche parola sulle onorificenze fa piacere, ma spendere belle parole il 10 febbraio è facile per chiunque, alla fine è con i fatti che si misura il valore di quelle parole. Visto che dopo 75 anni il fatto che ci sia ancora qualcuno disposto a difendere o minimizzare pubblicamente l'operato del criminale Tito dimostra che il processo di pacificazione tra gli Italiani non si è ancora concluso.
Per quanto ancora gli esuli istriani, fiumani e dalmati dovranno vedere l'artefice dei loro lutti, delle loro sofferenze e della perdita della propria terra premiato dalla Repubblica Italiana?
Perché alla fine è vero che i morti sono tutti uguali, ma sembra che per qualcuno ce ne siano, ancora oggi, alcuni più uguali degli altri.
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