EXCALIBUR 114 - maggio 2020
in questo numero

La vita di prima

Da un presente cupo a un futuro incerto

di Emilio Belli
frontespizio della guida 'Sardegna d'oggi'
Sopra: frontespizio della guida "Sardegna d'oggi"
Sotto: pubblicità nella guida "Sardegna d'oggi"
pubblicità nella guida 'Sardegna d'oggi'
Il titolo di questo articolo è scaturito spontaneo, poiché quanto avviene attualmente è del tutto irreale.
L'epidemia ci ha costretto a stare rintanati in casa per alcuni mesi, e ora che fra mille timori sembra dischiudersi uno spiraglio di luce nella tetra coltre che avviluppa la nostra esistenza ho l'impressione che tutto sia mutato e che la vita non potrà riprendere più come una volta.
Tanti pensieri mi si affastellano in capo, ma da alcuni giorni il percorso della mente è sempre lo stesso, e quasi senza rendermene conto mi trovo a scrivere una seconda modestissima puntata di questa mia sonnacchiosa vita turbata all'improvviso dal coronavirus.
La vita... ma com'era prima?
Alla soglia dell'ottantesimo anno ha poco senso fare riferimento ai mesi passati e la inevitabile risposta sarebbe poca cosa!
Allora bisogna andare ancora più indietro, ma di anni per afferrare qualche sprazzo, non dico di felicità, ma almeno piacevole.
E così mi ritrovo a sfogliare la patinata terza edizione di "Sardegna d'oggi", guida turistica pubblicata nel lontano 1958 che per me rappresenta la linea di demarcazione temporale per fare i raffronti con l'oggi, e sono portato a identificare l'ultimo fatto di una normalità perduta col 1º dicembre 2019, giorno in cui ebbi modo di partecipare nella Biblioteca di Sinnai a un incontro di studio sull'antico borgo di San Gregorio promosso dall'associazione Kessart.
Da quel piacevole pomeriggio scandito dalle immagini delle ville più significative, tante cose sono mutate, ed è soprattutto scorrendo i dati forniti da "Sardegna d'oggi" che riesco a cogliere la natura dei cambiamenti avvenuti e mi domando se mai saremo in grado di trovare una dimensione rispondente alle attuali necessità.
Pensate, nel 1956 erano attivi in Sardegna soltanto due aeroporti di modesta capacità: sullo scalo di Elmas, fra gennaio e settembre, erano transitati 16.011 passeggeri, soltanto 5.542 su Alghero-Fertilia. Quanto al movimento alberghiero, nel corso del 1957 i clienti di nazionalità italiana erano stati 105.507 e 53.754 quelli stranieri.
La situazione era ritenuta in costante incremento ma risultava difficile stimare le presenze presso le abitazioni private e il numero effettivo dei campeggiatori si aggirava intorno a 57.578 presenze costituite in prevalenza da stranieri, in gran parte affluiti al "Club Mediterranée di Caprera.
Si stimava tuttavia, grazie all'apertura di nuovi esercizi alberghieri e all'incremento dei campeggi, di raggiungere entro il 1960 il milione di unità. Ma la Costa Smeralda, che per la Sardegna costituì il vero motore del turismo, era ancora da inventare per cui si faceva molto affidamento sui tradizionali canali di accoglienza, compresi gli Ostelli della Gioventù.
Quella del 1958 era la preistoria del turismo, della quale ho avuto l'opportunità di conoscere lo sviluppo raggiunto negli anni Sessanta, quando per esigenze di lavoro percorrevo l'Isola con la mia 1100 bicolore.
Per capire la situazione è il caso di precisare che la popolosa Villasimius dei nostri giorni contava allora 2.101 abitanti e disponeva di un solo albergo di quarto livello, la "Stella d'oro", di 12 camere, mentre Pula, che grosso modo aveva la stessa dimensione abitativa poteva vantare il mitico "Is Morus", di seconda categoria, che primeggiava nell'ambito alberghiero per qualità di gestione e potendo schierare ben 31 camere con 50 letti.
Nella nota località di "Campu Omu" sorgeva una graziosa Tavernetta Esit attrezzata di luogo di ristoro, con possibilità di alloggio, che veniva frequentata dalla gioventù cagliaritana più abbiente munita di auto.
Nei centri di Nuoro, Macomer e Olbia mi appoggiavo ai motel dell'Agip, mentre a Sassari e Olbia ero abituale cliente dei Jolly Hotels. Il solo albergo dell'Esit da me frequentato si trovava nell'isola di La Maddalena, in località Punta Nera, che in una piovosa notte di settembre mi ispirò una poesiola in versi liberi: «Più non s'empie del fragor di risacca la volta ampia del cielo e lieve cade la pioggia che colma di miriadi di gocce il grembo sonoro dell'onda».
L'arco temporale considerato va dal periodo che precede la frequentazione del "Capo Boi" e del "Flamingo" di Pula fino alla fase attuale testimoniata dalle interviste ai sindaci di La Maddalena e di Palau trasmesse da "Gallura Channel", le quali si rivelano quanto mai illuminanti per valutare la situazione odierna.
Definirla drammatica è dire poco e pensare di recuperare almeno il 50% del livello turistico dell'anno passato è solo follia, avendo l'epidemia stravolto la struttura economica e sociale preesistente in tutto il suo insieme, compresi i servizi che quell'incantevole mondo è in grado di offrire e senza trascurare il gran numero di famiglie che da esso traggono sostentamento.
A gran voce si invoca la ripresa delle attività ora congelate, ma in quale modo si potrebbe ricominciare a lavorare?
È impensabile riaprire le attività e nel contempo convivere con la pandemia rispettando scrupolosamente le distanze sociali e adeguandosi alle regole sanitarie. Facendo uso di mascherine e guanti si potrà fare la spesa, ma per le altre attività legate al benessere della persona, alla moda e alle esigenze indotte dal turismo, le precauzioni imposte non serviranno a restituirci il piacere delle abitudini legate alla socialità.
Quale prospettiva abbiamo? Attendere che il virus si indebolisca potrebbe andar bene per un altro mese, ma poi? Come superare l'incubo devastante di una ripresa dei contagi oggi prospettata dalle autorità in modo decisamente terroristico?
A mio avviso non abbiamo che due alternative: vivere male in sicurezza oppure ammalarsi e morire.
Vivere male in sicurezza creerà sicuramente nevrosi e violenza, per cui alla fine dovremo rassegnarci a cambiare vita, a tentare di condurre una esistenza più semplice.
Vivere in una società consumistica ha prodotto indubitabili vantaggi, ma dovremo chiederci se ripartendo da un livello più basso di benessere si riuscirà a raggiungere una ripresa accettabile.
Di certo dovremo ricostruire il sistema sanitario per poter affrontare l'eventuale riacutizzarsi del male, ma per quel che riguarda la riapertura di attività di ristorazione e commerciali bisognerà adottare scelte appropriate, attivando in via preliminare delle "soluzioni campione" differenziate e verificandone l'applicabilità dopo un ragionevole periodo di sperimentazione.
L'amico Angelo sostiene che potremmo non avere il tempo necessario per seguire questo genere di percorso, ma esistono soluzioni migliori?
Non so dirlo. Comunque vada non è consigliabile per il governo ripristinare la militarizzazione sociale attuata nella fase iniziale della pandemia e coloro che avranno l'onore e l'onere di porsi a capo degli Italiani dovranno per prima cosa mettere in campo i provvedimenti necessari per dar loro, quanto meno, la possibilità di sopravvivere.
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