EXCALIBUR 121 - novembre 2020
in questo numero

"Una breve eternità" di Pascal Bruckner

Riflessioni su come affrontare gli anni in più della nostra vita

di Lancillotto
<b>Pascal Bruckner</b>, 'Una breve eternità - Filosofia della longevità', edizioni Guanda, 225 pagine
Pascal Bruckner, "Una breve eternità -
Filosofia della longevità", edizioni
Guanda, 225 pagine
Se avete meno di cinquant'anni potete tranquillamente saltare quest'articolo e chiudere il giornale. Se invece ne avete di più la scelta è solo vostra.
L'acquisto di libri è per me spesso guidato dal nome dell'autore, altre volte dall'argomento trattato, poche volte dal titolo del libro. Questa è una di quelle rare volte: "Una breve eternità".
In una lunga intervista l'autore, filosofo e polemista francese, dice che la breve eternità è la vita. Se si crede in Dio si può sperare che oltre la vita ci sia un nuovo inizio, la lunga eternità del Paradiso. Ma se si è agnostici allora tutto, inferno, purgatorio e paradiso, è racchiuso qui, in questa vita, e allora è breve l'eternità, è quella dei pochi anni della nostra esistenza e dobbiamo apprezzarla il più possibile.
Da questa premessa, che è anche la conclusione del suo saggio, lo scrittore parigino stende una specie di breviario sui problemi (non sulle problematiche, per carita!) che in qualche modo riguardano i nuovi cinquantenni. Essi hanno, grazie ai progressi della medicina e al migliorato tenore di vita, circa trent'anni di speranza di vita in più. Ma che tipo di vita?
Quando nel 1922 Marcel Proust ricevette il Premio Goncourt, il giornale "L'Humanité" titolò «Largo ai vecchi!»: Proust aveva quarant'otto anni.
Ora questo autunno si è spostato in là.
Abbiamo guadagnato trent'anni di speranza di vita in più: meraviglia e angoscia si dividono le nuove sensazioni, ma tutto nella nostra vita è rimesso in discussione.
Bruckner dice che nei nostri cinquant'anni siamo come sospesi: non siamo più giovani ma non siamo ancora vecchi. Siamo sulle soglie dell'inverno o ancora in un lunghissimo autunno?
Ma il dono degli anni di speranza di vita non è rivolto a un trentenne nel pieno delle sue forze, ma a chi ha già compiuto cinquant'anni, quindi in una fase discendente dal punto di vista fisico e a volte anche mentale. E allora come riempire questi giorni supplementari? Vivere più a lungo o più intensamente? Continuare la vita di prima o reinventarne una nuova?
Ci sono situazioni impietose: in Germania e in Giappone (ma penso anche in altre nazioni) si vendono più pannoloni per anziani che pannolini per bambini. Sono cresciute a dismisura dimore dai nomi floreali i cui ospiti sono i nuovi "vecchi" parcheggiati in anticamere della morte.
A un'età in cui i nostri nonni calavano nelle tombe noi proviamo gioia per essere arrivati alla loro età ma preoccupati per un futuro che può avere contorni incerti.
Se da giovani si insegue la bellezza, il dinamismo, la curiosità e si prova, si cade e si ricomincia, da adulti abbiamo l'esperienza ma abbiamo perso ardore e brio. E la curiosità.
Non ci sono ricette per vivere una buona vecchiaia. Ma le ragioni per vivere a cinquanta o sessanta o settanta anni devono essere le stesse che avevamo a venti o quaranta.
Norberto Bobbio: «corro incontro alla mia rovina quando smetterò di correre, quella sarà la mia rovina».
Diogene: «solo il presente racchiude la nostra felicità».
Invecchiare significa spesso rendersi conto che quel che siamo diventati non ci piace, quasi un malinconico inventario dei sogni che non abbiamo realizzato. Forse la sola strategia possibile è quella di «coltivare sino alla fine le nostre passioni, le nostre capacità, non trascurare alcun desiderio, alcuna curiosità... aprirsi al mondo e agli altri».
Conservare intatto il desiderio di realizzare i nostri sogni.

Ma non affrettare il viaggio.
Meglio che duri molti anni
e che tu arrivi all'isola ormai vecchio,
ricco di tutto quello che hai guadagnato in viaggio.


(Costantino Kavafis, per Ulisse)
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