EXCALIBUR 125 - febbraio 2021
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Le origini dei Giudicati e le loro suddivisioni

raffigurazione di Liutprando (690-744), giovane re dei Longobardi, che ordina ai suoi guerrieri di prendere il mare verso la Sardegna per riscattare dai Saraceni le spoglie di Sant'Agostino
Sopra: raffigurazione di Liutprando
(690-744), giovane re dei Longobardi, che
ordina ai suoi guerrieri di prendere il mare
verso la Sardegna per riscattare dai Saraceni
le spoglie di Sant'Agostino
Sotto: altra lapide che ricorda l'evento del
riscatto in Sardegna del 717. Entrambe le
lapidi si trovano nella Basilica minore di
San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia, antica
capitale longobarda
altra lapide che ricorda l'evento del riscatto in Sardegna del 717. Entrambe le lapidi si trovano nella Basilica minore di San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia, antica capitale longobarda
Come e quando si formassero i Giudicati rimane questione ancora dibattuta, perché le fonti storiche sono tarde e riportano eventi di Giudicati già costituiti e organizzati nelle loro forme di sovranità. Alcuni ritengono che fossero di origine bizantina, perché forme simili si rinvengono in altre aree dell'impero d'Oriente.
Con la riconquista delle regioni del vecchio impero, Giustiniano aveva creato subito la Terza prefettura pretoria nel Nord Africa, che controllava tutti i territori africani strappati ai Vandali, legando alla prefettura Sardegna, Corsica e Baleari. Alla prefettura seguì l'Esarcato d'Africa, che controllava le stesse regioni.
Lo stesso accadde anche nel Nord Italia, con la creazione dell'Esarcato di Ravenna, dove nell'VIII secolo a Venezia la magistratura bizantina si incarnava in un "dux", il futuro Doge, che sommava in sé le funzioni di comandante della milizia e di giudice supremo (Dux Venetiarum Provinciale) sotto l'autorità dell'Esarca.
Anche qui il dux era eletto da un'assemblea popolare (Curia ducis). Sembra probabile quindi che anche la Sardegna seguisse lo stesso percorso, inizialmente con un unico dux militare che riservava a sé anche la giurisdizione di ultima istanza.
Successivamente, forse per ragioni di miglior difesa militare, il Preside, che risiedeva a Cagliari, fu costretto a frazionare il territorio in entità militari, a capo delle quali era posto un alto ufficiale. Il tempo, la lontananza territoriale e le difficoltà di collegamento obbligarono a una suddivisione anche giuridica portando alla nascita dei quattro Giudicati, tutti retti per diversi secoli da un'unica famiglia, quella dei Lacon-Gunale.
La perdita di ogni contatto con Bisanzio vide il sistema sardo modificarsi lentamente fino al formarsi di singoli stati sovrani. Questo avvenne dopo la conquista araba della Sicilia, che tagliò il legame con l'impero d'Oriente. Oltre ai membri della Corona, composta dal vescovo della capitale e dai suoi suffraganei, dai donnicelli (in genere i figli del sovrano) e dai liberi possidenti, esistevano i mayori addetti alle diverse funzioni civili, quali il "maggiore" del porto, il maiore delle milizie, i maiori de villa, dei salti (su sartu in sardo), dell'armentario (bestiame) e delle campagne, tutti con le loro "corone", cioè con il loro consiglio.
Questo sistema di governo collegiale era diffuso in tutta l'Isola e rimarrà intatto fino alla scomparsa dei Giudicati. Avevano un sistema militare abbastanza originale, in quanto i liberi erano chiamati a prestare servizio con adeguati contingenti settimanali, denominati kita o scida, un termine che in Sardegna è rimasto a indicare il nome della settimana, mentre i nomi dei giorni sono rimasti quelli di origine romana, escluso il sabato di origine ebraica.
È Paolo Diacono (720-799) il monaco che scrisse la "Historia Langobardoum" a tramandarci l'episodio, che provocò forti impressioni in tutto il mondo cristiano, descritto per primo da Beda il Venerabile (Wearmouth, nel Sunderland, 673-735), monaco inglese che nello stesso VIII secolo ne accennò nella sua "Historia ecclesiastica gentis Anglorum".
I testi di Beda il Venerabile e di Paolo Diacono dicono chiaramente che la Sardegna non fu "conquistata" dai Saraceni, ma solo che fu "devastata" anche in quei luoghi (la cripta di Sant'Agostino a Caralis, oggi nel Largo Carlo Felice) dove si erano impadroniti delle spoglie del santo di Ippona, traslate a Cagliari da San Fulgenzio da Ruspe, esiliato dai Vandali con altri ecclesiasti nell'isola per evitare nel loro regno gli attriti con il clero ariano.
Gli Arabi, conoscendo la fama del grande Dottore della Chiesa, pensarono di venderle al miglior offerente e fu così che Liutprando le ottenne pagando un "magno pretio", cioè una forte quantità d'oro, probabilmente con monete bizantine. Non sembra probabile che i Saraceni si fossero impadroniti della città di Caralis. Gli abitanti, per sottrarsi alle frequenti incursioni dei Goti e temendo quelle dei Saraceni, avevano lasciato l'antica città sul mare, che aveva il suo foro nell'attuale Piazza del Carmine, per trasferirsi nella laguna di Santa Igia (Santa Gilla), meglio protetta dal mare e dalle mura.
È certo che la Sardegna, sia post bizantina sia giudicale, possedesse un esercito. Dalle cronache genovesi e pisane si apprende che nel 687 un exercitus de Sardinia partecipò con le sue flotte alla battaglia di Ceuta, invasa dagli Arabi e oggi città spagnola sulla costa del Marocco. Ed è intuibile che anche all'epoca del regno di Benedetta di Massa questo fosse ancora presente.
Tutti i Giudicati avevano uno stemma statale che rimandava alla storia del territorio o alle loro vicende. In quello del Giudicato di Cagliari il campo dello scudo era occupato dal busto di un cavallo con la testa orientata a destra, non si sa bene se per un richiamo alle vecchie immagini delle monete puniche o perché era il simbolo della Caralis romana, nel cui foro era stata eretta una grande statua col busto di un cavallo.
Anche nel Giudicato cagliaritano di Benedetta era attiva la "Kita dei Bujakesos", la guardia del Giudice comandata dal mayore de Janna.
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