EXCALIBUR 126 - marzo 2021
in questo numero

L'uso politico della storia

L'uso politico della storia impedisce il sorgere di una storiografia nazionale, alla quale, invece, tutti noi dobbiamo tendere

di Claudio Usai
la storia, perenenemente strumentalizzata, non è mai in equilibrio
Sopra: la storia, perenenemente
strumentalizzata, non è mai in equilibrio
Sotto: per una destra che torni a essere nazionale
per una destra che torni a essere nazionale
Ancora oggi si dibatte in ambito storiografico sull'uso politico della storia, in particolare dal solo punto di vista della sinistra politica. Penso che anche la destra, sebbene in generale e non organicamente, debba iniziare o riprendere, forse è più esatto, a farlo, o almeno rincominciare a pensarci.
Nella nostra piccola comunità locale cagliaritana questo argomento credo debba essere finalmente affrontato di nuovo in modo serio, chiamando a raccolta tutti coloro che volessero esprimersi su questo tema fondamentale. Delle conseguenze sociali, politiche e comunitarie che di questo uso prettamente "propagandistico" si fa, esistono svariati esempi che è inutile sviscerare in un articolo così breve.
Ma è importante chiarire che la storia, purtroppo, da tempo immemore, viene perennemente strumentalizzata, e nessuno ci può fare nulla a livello intellettuale; nemmeno gli studiosi di storia obbiettivi e persino neanche gli specialisti onesti propriamente detti potrebbero; ma certamente la nostra parte può prendere delle contromisure efficaci.
Siccome però lo studio della storia è fatto dalla continua ricerca della verità, dal continuo studio scientifico delle fonti, si può da un nuovo punto di vista, non nuovo ma "nostro", ormai affermare che, mentre nella parte politica a noi avversa lo studio della scienza storica è sempre più legato a dogmi, "atti di fede", ortodossie politiche legate alla tradizione che rasenta il limite del fanatismo religioso della dottrina marxista-leninista, nel nostro più piccolo mondo, fatto di pochi intellettuali e pochissimi specialisti (quale non sono), ma al tempo stesso di tanti professionisti e persone interessate (a prescindere dagli studi specifici che non reputo importanti) con un medio-alto livello culturale, si dovrebbe riscontrare una sempre maggiore consapevolezza nei riguardi dei problemi storiografici per noi più importanti, legati evidentemente soprattutto al fascismo, al postfascismo, alla Seconda Guerra Mondiale e al Dopoguerra, al patriottismo in generale.
Se la descrizione analitica degli avvenimenti storici da parte di una certa e preponderante storiografia di parte cerca sempre di giustificare certi traumatici eventi storici a noi molto cari e ai quali siamo fortemente ed emotivamente legati, come è il caso della tragedia delle foibe o della persecuzione politica, dovremmo per questa ragione agire e reagire di più, con le stesse armi storiografiche e pubblicistiche e, nonostante i poveri mezzi, fare il possibile in ogni momento e in ogni occasione per combattere ancora una volta, come eravate stati abituati a fare "voi" in passato: a "voi" che avete lottato duramente infatti mi rivolgo.
La criminalizzazione insensata del regime fascista senza alcuna ragionevole oggettività storica, enfatizzata in modo a tratti "bestiale", si inserisce in un vasto progetto di propaganda che si è sviluppato precocemente già con la caduta effettiva del fascismo, avvenuta nel luglio del 1943, considerando l'esperienza della Repubblica di Salò un momento sì eroico e da un punto di vista emotivo comprensibile, ma per certi versi limitato nel tempo e nello spazio, giudicando naturalmente il tutto a posteriori. Il racconto non oggettivo di una vasta fase storica dell'Italia, quella della nascita, dell'affermazione e del consenso, del declino e della sua fine, denominata volgarmente "il Ventennio", ha avuto e sempre avrà come obiettivo politico quello di trasmettere il senso rivoluzionario più distruttivo che mi troverà sempre contrario, in un verso o nell'altro, ma che non ha mai abbandonato l'estrema sinistra e a tratti anche e purtroppo frange della nostra stessa parte, che definirei "ribelliste", giudicandole non così negativamente, anzi che fanno parte della tradizione politica e storica italiana, sempre scontenta e sempre in fermento.
Con le nostre opere storiografiche e pubblicazioni, che mi auguro siano sempre più frequenti, dovremmo aumentare la nostra capacità di espressione, dimostrando a una certa opinione pubblicale locale, alla quale noi dobbiamo fare riferimento, che la sinistra ortodossa può essere combattuta anche sul piano culturale, non solo politico. Magari, se non eliminando l'enorme gap culturale che da decenni divide "noi" e "loro", quantomeno si può cercare di ridurlo; recuperare il distacco che abbiamo da quella "loro" "egemonia" di gramsciana memoria.
Servirebbe però un serio e aperto confronto culturale, prima ancora che politico, fra chi ha interesse a parlare di questi temi, fra chi ha ancora a cuore le nostre e soprattutto "vostre" idee e battaglie; servirebbe finalmente una chiara definizione di una vasta area culturale che, nel rispetto delle idee di tutti, elabori però una "sintesi" se non conclusiva, almeno temporaneamente finale, contrapposta a un'"antisintesi", attraverso però una serie di "tesi" da elaborare, pensare, discutere, dibattere, riconducibili hegelianamente a un unico filone politico e ideale, il nostro, che nonostante tutto reputo ancora unitario.
Servirebbe una formazione giovanile più dinamica, più agevole e più aperta alle nuove istanze giovanili, come un tempo lo furono i movimenti giovanili di cui molti di "voi" sicuramente fecero parte in passato; ciò permetterebbe, entro certi limiti, l'imprimersi nelle nuove generazioni delle tradizioni a noi care, ma al tempo stesso di stare al passo coi tempi; generazioni che tanto hanno da raccontarci e che tanta voglia hanno di poter finalmente tornare a discutere "con voi" e "con noi", anche animatamente, come è da "vostra" tradizione, ma sempre rispettose del passato che fu.
Bisognerebbe però, entro i nostri canoni e limiti locali, elaborare una strategia di propaganda culturale, sviluppando tutti quei nuovi canali e mezzi disponibili alla collettività (in particolare i social media e i nuovi social media), senza dimenticare però la pubblicazione e la divulgazione di saggi e articoli, che dovrebbe essere sistemica e che racconti non la storia di una parte sola, ma la pura e semplice verità. Perché se la destra volesse davvero tornare a essere veramente "Nazionale", dovrebbe poter tornare a discutere, tenendo conto di tutte le riflessioni che non possono più provenire solo dalla nostra limitata in termini numerici, seppur fondamentale, "nicchia" politica, ma anche da memorie che furono anche contrapposte al fascismo, dal quale noi proveniamo idealmente (seppur io non mi consideri personalmente né fascista né antifascista, ma "non fascista", come definiva un'antica formula a me cara); ciò presume il rispetto per quella fase complessa della storia. Ma, ripeto, ci vuole, come affermava Almirante, una destra che sia aperta a idee di memorie anche contrarie, anche di tradizione antifascista nei limiti del possibile (socialista, cattolica, liberale, conservatrice, ecc.), non solo quindi di destra in senso stretto, come possiamo intenderla noi, ma in un'antica e giusta formula di apertura che sarebbe diretta ancora una volta verso una "Destra Culturale Nazionale".
Io ne avverto il bisogno, spero anche voi: l'esaltazione eroica e morale del nostro passato dall'Impero Romano a oggi certo non dovrebbe per nessuna ragione mancare, perché non è il frutto di un'invenzione favolistica e di mera esaltazione mistica di propaganda politica della storia, ma si fonda sulla consapevolezza di unità e orgoglio nazionale che ci deve sempre contraddistinguere. Due sono gli elementi fondamentali di questo unico progetto di battaglia e di lotta culturale, inteso a convincere e coinvolgere di nuovo le masse locali, le nostre di masse, per combattere sì una guerra culturale totale, ma anche pacifica, contro un sistema valoriale che tende e sempre tenderà a distruggere ancora una volta l'identità culturale italiana. Anche da un punto di vista culturale non dobbiamo fare un passo indietro se pensiamo di essere nel giusto, e sono sicuro che lo siamo.
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