EXCALIBUR 127 - aprile 2021
in questo numero

Paolo Pili e il fascismo sardo

La vita del massimo esponente del sardo-fascismo, dall'accordo con Emilio Lussu alla stima del Duce

di Angelo Abis
<b>Paolo Pili</b>
Sopra: Paolo Pili
Sotto: il simbolo sardo-fascista in un'opera del
1924 del pittore Melkiorre Melis
il simbolo sardo-fascista in un'opera del 1924 del pittore <b>Melkiorre Melis</b>
Il termine "sardo-fascismo", secondo l'accezione storiografica più recente, sta a indicare la particolare connotazione che assunse il fascismo sardo allorché si verificò, nel 1923, la cosiddetta "fusione", cioè la confluenza di gran parte del Partito Sardo d'Azione nel Partito Fascista. Il termine "sardo-fascismo" rappresenta un ribaltamento pressoché totale delle interpretazioni storiche del fascismo in Sardegna, quasi costruite sul dogma del fascismo come "fenomeno d'importazione", totalmente estraneo alla mentalità e ai problemi del popolo sardo, fieramente combattuto dall'unica vera forza politica di massa regionale, quale era il movimento sardista, descritto come forza democratica, riformista e autonomista con a capo una figura quasi mitica: Emilio Lussu, vittima illustre del fascismo, fuoriuscito in Francia dopo una rocambolesca fuga dal confino di Lipari.
Dette interpretazioni furono correnti fino alla prima metà degli anni sessanta, allorché Luigi Nieddu pubblicò il volume "Origini del fascismo in Sardegna", del 1964. Nieddu fu il primo a trattare, in termini ampi e problematici, il problema dei combattenti, del sardismo, del fascismo e della fusione dei due movimenti. Nieddu prese spunto dall'unica opera di parte ex fascista, "Grande cronaca minima storia" di Paolo Pili, che il massimo esponente del sardo-fascismo pubblicò nel 1946. Opera che fu ignorata dagli storici per decenni, ritenendola non attendibile e di parte. Nello scritto "Il sardo-fascismo nelle carte di Paolo Pili - contributo per una storia della questione sarda", Leopoldo Ortu, nel 1989, ebbe a dire «Taluno potrebbe affermare, probabilmente, che quel filone (il sardo-fascismo) era stato già aperto da prima [...]; precisamente dal numero 9/10 della rivista "Il ponte", dedicato alla Sardegna nell'ormai lontano 1951, cui spesso molti si rifanno ancora. Ma, a ben vedere, quel numero monografico non può essere considerato una ricostruita storica vera e propria.
Scrissero in quel modo per confutare l'interpretazione che era stata offerta nell'immediato dopoguerra, dalla "Grande cronaca minima storia", opera di Paolo Pili, con il quale essi avevano proceduto in costante armonia - non trascurabile fatto - nella fase che potremmo definire "eroica" (o forse addirittura "mitica"?) del sardismo, quella appunto precedente al fascismo. Poi, una volta compiutasi completamente la fusione, non prima, lo rinnegarono, ribadendo e ampliando la condanna dopo la seconda guerra mondiale. In ogni caso l'opera di Pili rimane ricca di elementi e di spunti ancora validi.
Effettivamente del libro di Pili si parlò abbastanza poco nei decenni successivi, poco si volle dire sul sardo-fascismo e nulla sull'uomo sotto il profilo storico, oppure si espressero valutazioni che vanno dal vago al negativo e appartengono esclusivamente a una dimensione etico-politica molto soggettiva e di parte. Al contrario si era dinanzi a una figura eminente di protagonista [...]. Insomma anche in campo regionale non si volle parlare di sardo-fascismo [...]. Si voleva mantenere una silenziosa cortina di ostracismo, variamente costruita, attorno alla sua persona e alla sua opera, come pure attorno al suo libro, che fedelmente la raccontava, opponendogli la figura di Emilio Lussu
». Nella fusione tra sardisti e fascisti può definirsi come una mera operazione di tatticismo politico, o peggio, come ennesimo esempio di una clientela che modula il proprio atteggiamento politico in relazione ai favori e alle prebende che si possono ottenere dal nuovo governo in carica.
Secondo lo storico meridionalista Giuseppe Barone: «L'anomalia o la caratteristica del fascismo sardo è, come sappiamo, la confluenza del sardismo, o meglio di una parte di esso, nel fascismo. Due forze antisistema in opposizione al notabilato locale, con forti elementi di differenziazione [...], ma anche con molti elementi di omogeneità. A unire combattentismo e fascismo erano certamente la critica alla democrazia parlamentare, una forte vena antisocialista, antioperaia e antiproibizionista e soprattutto una fortissima polemica anticlericale contro le vecchie consorterie: vi erano tutte le condizioni perché sardismo e fascismo unissero i loro sforzi per disarticolare il vecchio blocco di potere e chiudere con l'esperienza politica del trasformismo».
Luciano Marrocu in proposito scrive: «Il fascismo mette radici in Sardegna solo all'indomani della marcia su Roma [...]. Come altrove nel mezzogiorno, il fascismo si afferma dunque per via prefettizia, utilizzando l'influenza e il prestigio del suo recente insediamento al governo. Qui tuttavia, è possibile individuare anche la sua più spiccata peculiarità. Non solo il combattentismo isolano ha i nemici e le caratteristiche di un grande movimento di massa, ma, dando vita nel 1921 al Partito Sardo D'Azione senza nulla perdere del suo radicamento popolare, ha assunto una fisionomia che ne fa l'interprete più incisivo della politica. Sardismo e fascismo, d'altra parte, muovendosi su un terreno per alcuni aspetti comune (il virulento antigiolittismo, il richiamo all'esperienza di guerra) si contendono il favore delle stesse aree sociali e d'opinione.
La "fusione" non si compie certo su basi partitarie, ma non è neppure la resa senza condizioni di cui ha parlato una gran parte della storiografia antifascista. Gli anni immediatamente successivi vedranno molti ex sardisti occupare posizioni di primo piano negli assetti politici che il nuovo regime va creando (sino a costituirne una componente dotata di una precisa fisionomia), e ancora negli ultimi anni trenta saranno numerosi i gerarchi isolani che hanno alle spalle un passato sardista
».
Marrocu fa coincidere la fine dell'esperienza sardo-fascista con la caduta di Pili avvenuta alla fine del 1927. Caduta determinata dalla dura ostilità manifestata nei suoi confronti da alcuni gruppi politici locali, segnatamente sassaresi, in combutta con gli industriali caseari, il cui potere e i cui interessi Pili aveva pesantemente intaccato guidando il movimento cooperativo dei pastori e la federazione delle latterie locali per un intervento nella formazione del prezzo del latte.
C'è da aggiungere che l'insanabile contrasto fra Pili e il Partito Fascista non impedì a Mussolini di fare di tutto affinché Pili si occupasse della creazione del porto franco di Cagliari, e addirittura di officiarlo nel 1943 per l'incarico di alto commissario per la Sardegna.
A noi appare tuttavia riduttivo chiudere l'esperienza sardo-fascista negli anni venti. Se è vero che l'originario progetto di sviluppo sardista - incentrato sul potenziamento e l'ammodernamento delle attività economiche specificatamente isolane quali l'agricoltura, la pastorizia e l'artigianato - entrò in crisi non tanto e non solo perché sabotato o quanto meno sostenuto dal governo fascista, quanto per le conseguenze, estremamente negative per la Sardegna, della grande crisi che investì l'economia mondiale nel 1929, è altrettanto vero che altre coordinate del bagaglio ideologico sardo-fascista rimasero in piedi per tutta la durata del fascismo: sviluppo economico e sfruttamento delle risorse locali, rivendicazione di una propria storia nazionale, di una specifica identità culturale e artistica da salvaguardare e da far valere anche nei confronti della cultura nazionale, una proiezione politica dei propri interessi verso il sud dell'Europa, cioè nel Mediterraneo, piuttosto che verso l'Europa continentale.
Una breve biografia di Paolo Pili...
Paolo Pili nacque a Seneghe il 20 ottobre 1891. Figlio di medi proprietari terrieri, si diplomò nel 1909 come perito agrario nell'allora "Scuola di viticultura ed enologia" di Cagliari (l'attuale Istituto Agrario), avendo come maestro Sante Cettolini, personaggio oggi completamente dimenticato, ma che agli inizi del Novecento fu, come dice Pili, «il combattente più valoroso nella lotta dei Sardi, contro l'abbandono, lo sfruttamento e la miseria».
Richiamato per la Prima Guerra Mondiale, fu inviato nell'isola di La Maddalena. Nel primo dopoguerra emerse subito come uno dei capi del movimento dei combattenti, e nel 1922 diventò direttore regionale del P.S.d'AZ.. Inizialmente contrario alla fusione col partito fascista, fusione iniziata e voluta da Emilio Lussu, proprio su richiesta di questi la portò a termine dopo lunghe trattative con il prefetto, generale Gandolfo, delegato ad hoc dallo stesso Mussolini.
Nel 1923 divenne segretario del P.N.F. per la provincia di Cagliari e nel 1924 fu eletto deputato. In tale veste presentò un piano per richiedere al governo lo stanziamento di un miliardo da utilizzare in opere pubbliche da realizzare in Sardegna in dieci anni. Riuscì a convincere Mussolini e il finanziamento fu approvato il 3 novembre del 1924. Le opere ebbero inizio e continuarono per tutto un decennio: così si ampliò per tutta l'isola la rete stradale, fu potenziato il porto di Cagliari, quello di Carloforte e altri minori, vi fu per moltissimi comuni l'approvvigionamento dell'acqua potabile. Si costruirono scuole, asili, cimiteri e fu istituito, prima vera struttura amministrativa autonomistica, il provveditorato alle opere pubbliche per la Sardegna. Contemporaneamente Paolo Pili andava organizzando i pastori nelle praterie sociali, cercando di liberarli dal monopolio del commercio degli industriali caseari.
Con lo stesso principio organizzò un movimento cooperativo dei produttori di grano, fu anche solerte animatore di cantine e oleifici sociali e a lui pure si deve la creazione delle casse comunali di credito agrario. Per incrementare l'esportazione del formaggio pecorino, Pili nel 1926 si recò negli U.S.A., dove concluse contratti vantaggiosissimi per i produttori sardi. Tutto ciò gli attirò l'ostilità di consistenti gruppi industriali in combutta con ambienti fascisti, segnatamente sassaresi, che, con l'aiuto del segretario nazionale del P.N.F., Augusto Turati, riuscirono a esautorarlo. Prima si dovette dimettere da direttore de "L'Unione Sarda" e, nel novembre del 1927, da segretario della federazione fascista di Cagliari.
Infine, avendo sfidato a duello il deputato Putzolu, suo ex amico e compaesano, fu espulso dal partito nel 1929. Ancora nel 1933 chiese invano di esservi riammesso. Non per questo cessò la stima che Mussolini aveva di lui, tanto da officiarlo per occuparsi della creazione del porto franco di Cagliari e, addirittura alla fine del 1942, per affidargli l'incarico di alto commissario per la Sardegna.
Nel 1944 fu arrestato, imprigionato e condannato a scontare un anno di confino. Nel 1946 pubblicò l'unica opera memorialistica di un certo respiro di parte ex fascista, "Grande cronaca piccola storia". Mori a Oristano nel 1985.

... e la bibliografia sul sardo-fascismo.
- Atti del convegno "Il sardo-fascismo fra politica, cultura, economia" (Cagliari, 26/27 novembre 1993) - Edizioni Fondazioni Sardinia;
- Francesco Atzeni e Lorenzo Del Piano: "Intellettuali e politici tra sardismo e fascismo" (Cagliari, 1993) - Quec editrice;
- Leopoldo Ortu, "Il sardo-fascismo nelle carte di Paolo Pili" (Cagliari, 1989) - estratto dall'Archivio Storico Sardo;
- Luigi Nieddu, "Dal combattentismo al fascismo in Sardegna" (1979) - Edizione Vangelista.
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