EXCALIBUR 128 - maggio 2021
in questo numero

La Brigata Sassari e il combattentismo sardo

Storia di una gloriosa formazione del nostro esercito

di Claudio Usai
i leggendari dalle mostrine bianco-rosse
Sopra: i leggendari dalle mostrine bianco-rosse
Sotto: lo stemma della Brigata Sassari
lo stemma della Brigata Sassari
Se un cagliaritano di nascita è "costretto" a emozionarsi sentendo le parole in logudorese: «China su fronte / si ses sezzidu pesa / ch'es passende sa Brigata tattaresa» (in italiano "Abbassa la fronte / se sei seduto alzati! / ché sta passando la Brigata "Sassari"), significa che stiamo parlando della Brigata Sassari e delle sue gesta eroiche.
La "Sassari" non fu solo l'unica formazione "regionale" dell'Esercito Italiano, ma fu uno dei reparti di nuova concezione della guerra di movimento inventata dai Tedeschi durante la Grande Guerra, come lo furono gli Arditi, le truppe d'élite impiegate nelle "tecniche d'infiltrazione", vale a dire i battaglioni d'assalto che, in piccole unità ben armate e addestrate, attaccavano i punti deboli delle linee nemiche.
Questi attacchi erano preceduti da un bombardamento di artiglieria intenso ma di breve durata, allo scopo di non dare al nemico la possibilità di riorganizzarsi; inoltre la nuova tecnica della "contropreparazione", l'operazione di artiglieria diretta a ostacolare i preparativi di un'offensiva nemica ci permise di resistere sul Piave nella Battaglia del Solstizio, la vera grande vittoria italiana della 1ª Guerra Mondiale.
Il Comando Supremo decise sin dal 1916 di agevolare al massimo l'adesione dei combattenti sardi alla Brigata Sassari; ma il fenomeno del volontarismo sardo colpì molto prima la comunità nazionale e lo stesso Gabriele D'Annunzio:
«Guarda / Tra sacco e sacco. / Pelle non scarseggia / Sceglie, tira, non falla. È testa sarda», sin dalla guerra di Libia del 1911. È mia opinione che l'intervento dell'Italia fosse in qualche maniera "giusto", dovevamo liberare Trento e Trieste e i nostri fratelli irredenti; non eravamo però pronti ed eravamo una Grande Potenza solo perché (noi) ci tenevamo moltissimo: infatti per ogni tonnellata di acciaio che noi producevamo, la Germania ne produceva 9 e l'Impero asburgico il triplo.
Inoltre, come spesso accadde in Italia fino al 1917, gli ufficiali più alti in grado comandavano tramite circolari (sul taglio dei capelli dei soldati, ecc.) e non lasciavano autonomia ai sottoufficiali che appartenevano alla nobiltà, all'alta borghesia, ed erano o laureati o diplomati; in Italia non sarebbe mai potuto nascere un genio militare come Erwin Rommel, uno dei protagonisti del disastro di Caporetto, quando fummo ributtati indietro di 150 km fino al Piave; un buon soldato non poteva diventare ufficiale.
Dopo esser stata inviata in Trentino per porre freno alla Strafexpedition, la "Spedizione Punitiva" austriaca, nel 1917 la Brigata Sassari non fu travolta da Caporetto, ma si ritirò ordinatamente fino al Piave.
Nei primi mesi del 1918 lo Stato Maggiore proseguì il miglioramento della riorganizzazione dell'esercito. Sul piano strettamente militare la Brigata Sassari operò in primavera nel settore Tonale-Adamello, sul basso Piave e sull'altopiano di Asiago, dove ottenne la prima vittoria italiana dopo Caporetto, quella dei Tre monti. Facendo un passo indietro, nel 1914 la Sardegna contava circa 800 mila abitanti, i mobilitati furono quasi 100 mila, l'11%; i morti e i dispersi furono più di 17 mila (13 mila della sola Brigata Sassari).
Con una densità di 35,5 abitanti per kmq la Sardegna pagò il più alto prezzo e i Sardi furono coinvolti totalmente nelle vicende nazionali, tutti i Sardi vi parteciparono, nessun paese escluso.
Scrisse Emilio Lussu: «Per la prima volta la gioventù sarda si trovava insieme in una formazione sarda». La Brigata era divisa in compagnie di provenienza composte da uomini dello stesso paese o addirittura imparentate e desiderose di mostrare la loro "balentìa" (tradotto male, "coraggio dei Sardi"). Si può certamente definire il carattere volontario di quelle azioni ardite gloriose della Brigata nella necessità dell'Italia di dotarsi di una forza d'urto, culturalmente omogenea e non disgregante.
Solo successivamente il modello indusse il Comando a pensare alla regionalizzazione dei reparti come strategia di vittoria. In ogni caso la Brigata fu la rappresentanza armata della Sardegna in quel patriottismo regionale che avrebbe legato i soldati in trincea all'amata terra lontana. Sarebbe avvenuto inoltre ciò che non era mai avvenuto: la Sardegna partecipò a tutta la commozione e all'orgoglio nazionale che suscitò la "Sassari".
Al centro però del mio discorso vi è la connessione fra le gesta della Brigata Sassari, il sacrificio dei Sardi nella Grande Guerra e il desiderio di cambiamento radicale della politica isolana e nazionale. La politica era stata del tutto assente alla risoluzione dei problemi relativi alla disoccupazione, all'analfabetismo, all'istruzione e al lavoro dipendente, ed effettivamente la guerra rivoluzionerà la politica isolana prospettando l'ipotesi dell'autonomia.
Alla fine della guerra, la richiesta di maggiori attenzioni riguardanti le istanze sociali sarde porteranno prima alla nascita della Sezione Sarda dell'Associazione Nazionale Combattenti e poi al Psdaz nel dopoguerra. La classe dirigente liberale sarda guidata da Francesco Cocco Ortu non si era prodigata in vent'anni a migliorare le condizioni di vita dell'isola: non c'era una sistemazione idraulica e delle bonifiche, degli impianti elettrici e delle comunicazioni marittime.
Quindi le imprese della Brigata nella loro rievocazione costituirono un momento di fondamentale importanza nella storia dell'autonomismo sardo. Si può dunque dire che in Sardegna la storia della Grande Guerra sia la storia della Brigata Sassari, per l'eroismo dei soldati, per i sanguinosi combattimenti in cui fu impegnata, ma soprattutto per il mito. Il primo è costituito dalle lettere che i soldati sardi scrissero dal fronte; il secondo dalla fioritura di poesie popolari che in Sardegna celebrarono la Brigata; e il terzo la retorica dei principali giornali nazionali.
La guerra unificò i Sardi: va infatti ricordato che il combattentismo sardo del dopoguerra sorse dal fango e dal sangue delle trincee, ispirato da un senso nuovo di italianità e in un sentimento di una nuova identità nazionale, vissuta (però) regionalmente.
L'Associazione dei Combattenti e Reduci fu fondata nel 1919 dai reduci, ma l'idea nasceva a Milano, il 17 aprile del 1917. Anche in Sardegna gli ex combattenti si riunirono a Sassari nel novembre 1918. Nel marzo 1919 Camillo Bellieni fondò la "Voce dei Combattenti" e scrisse il "Manifesto al Paese" e al Primo Convegno di Macomer di febbraio lanciò l'appello a tutti i mutilati, gli invalidi, i combattenti per il rinnovamento dell'Isola. Fu la nascita della Federazione Sarda dei Combattenti.
A giugno venne nominato presidente della sezione di Cagliari Emilio Lussu. Nel 1919 il movimento partecipò alle elezioni dopo l'apertura ad altri movimenti, i Fasci di Combattimento di Benito Mussolini. La Lista Elmetto trionfò a Cagliari e a Sassari ed elesse tre deputati: Pietro Mastino, Mauro Angioni e Paolo Orano.
Proprio Orano prese il posto di Mussolini, al quale era stato offerto un collegio in Sardegna. I limiti politici degli ex combattenti porteranno alla fondazione del partito autonomista del Partito Sardo d'Azione nel 1921, il primo partito della nazione sarda.
È mia opinione che i Sardi siano sempre strettamente legati alla nazionalità italiana pur formando una propria nazionalità sarda: in fondo la Rivoluzione Sarda del 1793, guidata dal nostro eroe nazionale Giovanni Maria Anjoy (un po' troppo giacobino e filo-francese per i miei gusti), non fu a mio parere dovuta alla volontà di indipendenza dei Sardi, per la solita questione sociale, ma soprattutto perché qualche anno prima i Savoia ci lasciarono soli a combattere e respingere con i nostri Miliziani un tentativo d'invasione francese sulle spiagge di Quartu Sant'Elena; avevamo buone ragioni per essere arrabbiati e fare una Rivoluzione. In fondo la verità è che l'Italia non è solo una Nazione, ma un'unione di Nazioni!
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