EXCALIBUR 129 - giugno 2021
in questo numero

Il doppiopesismo su Beppe Alfano

Storia di un giornalista di destra: la mafia non solo l'ha ucciso ma l'ha pure condannato all'oblio

di Gianluca Cocco
<b>Beppe Alfano</b>, giornalista (1945-1993)
Beppe Alfano, giornalista (1945-1993)
Uno dei grossi limiti di questa repubblica è il doppiopesismo e, in merito a questo, gli esempi si sprecano. Tra tutti, uno di questi esempi si erge sovrano, ed è quello della lotta alle mafie.
Se ad esempio chiediamo alla gente comune «Cosa sapete di Alfano?», le persone nel bene e nel male parleranno di un illustre ex ministro non troppo rimpianto da nessuno.
Ma se si stesse parlando di qualcun altro la gente saprebbe rispondere?
Purtroppo nella maggior parte dei casi no.
Beppe Alfano è una di quelle figure scomode tanto alle mafie quanto a certa narrativa a senso unico, perché assieme alla figura di Borsellino non è classificabile tra le fila dell'antifascismo militante.
Beppe Alfano nasce in Sicilia, a Barcellona Pozzo di Gotto (ME), il 4 novembre 1945 e viene trovato morto intorno alle 22,30 dell'8 gennaio 1993, al posto di guida della sua Renault accostata nella centrale Via Marconi, a Barcellona Pozzo di Gotto, a 30 metri da casa sua. E al civico 30 di Via Trento, a 30 metri da casa Alfano, "abitava" il boss latitante Nitto Santapaola.
Beppe Alfano era un giornalista d'inchiesta, di quelli scomodi, che non aveva certo bisogno dell'albo dei giornalisti per ritenersi tale, anche perché ne rifiutava la legittimità.
Beppe Alfano aveva 48 anni, era professore di Educazione Tecnica alla scuola media della vicina Terme Vigliatore, ma, soprattutto, era un giornalista a schiena dritta, scriveva per il quotidiano "La Sicilia" di Catania e seguiva nelle sue inchieste mafiosi latitanti, notabili degli affari, politici locali, massoni.
Tra le sue inchieste più importanti nelle tv e nelle radio locali si ricorda il traffico internazionale d'armi a Messina e dintorni e le le collusioni tra mafia e politica sul piano locale.
Solo a dieci anni dal suo omicidio venne analizzato dalla consulenza tecnica il suo computer, che rivelò non pochi particolari sulla latitanza nel messinese del boss Santapaola.
Dopo la sua morte si cercò di far cadere nell'oblio lo scomodo ricordo di questo coraggioso uomo di destra tra depistaggi e fango anche sulla sua figura personale.
In un primo momento ecco il silenzio che cala intorno alla sua storia.
Ed ecco l'isolamento in cui viene abbandonata la sua famiglia con il silenzio delle istituzioni, ma tacciono anche quelli che erano stati vicini al giornalista prima della sua morte.
Probabilmente tante cose rimarranno inevitabilmente avvolte nel mistero, in tanti casi finisce così, ma il primo passo per evitare il più possibile che questo accada rimane il ricordare l'uomo, il giornalista, il camerata Beppe Alfano ucciso prima dalla mafia e poi dall'oblio.
Nuove indagini vennero aperte sul suo omicidio e la giudice per le indagini preliminari di Messina, Valeria Curatolo, ha archiviato il processo a carico di Stefano Genovese e Basilio Condipodero, accusati di essere gli esecutori materiali dell'omicidio di Beppe Alfano.
Ma contestualmente ha avviato nuove indagini, ritenendo necessario fare alcuni approfondimenti sull'arma del delitto, ritrovata.
«Una proroga delle indagini - dichiarò Sonia Alfano, figlia di Beppe - a carico di Rosario Cattafi e soprattutto la disposizione di accertamenti che mai nessun giudice fino a oggi aveva richiesto. Sono accertamenti molto precisi, nel senso che si manifesta la volontà di far luce sulla calibro 22 che ha ucciso mio padre».
A distanza di quasi trent'anni si continuerà a cercare di ricostruire la verità sull'omicidio di Beppe Alfano dopo i suoi servizi televisivi scottanti con i quali denunciava abusi, inadempienze, intrecci fra politica e massonerie deviate, faide fra la cosca barcellonese e sprechi nelle pubbliche amministrazioni. Un cronista scomodo che questo mestiere non lo faceva neanche di professione, visto che era un apprezzato insegnante di Educazione Tecnica.
Ma in realtà chi era lui che con tanta passione scavava nel malaffare e lo raccontava senza indugi e che non era neanche iscritto all'Ordine (l'iscrizione all'albo gli fu concessa alla memoria dall'Ordine regionale)?
Un padre che faceva del giornalismo di provincia, quello dove le notizie non arrivano attraverso comunicati o lanci d'agenzia ma si trovano consumando le suole delle scarpe, un vanto. Era considerato con la schiena dritta, incorruttibile.
La figlia Sonia, che spesso collaborava per le inchieste del padre, ricorda: «Ci confrontavamo spesso e qualche giorno prima del suo omicidio, una sera, tornato a casa, mi chiamò nel suo ufficio e mi raccontò che gli avevano offerto dei soldi per lasciar perdere un'inchiesta che stava seguendo e che l'avrebbero ammazzato se non avesse accettato».
Alfano poteva essere zittito solo così. Aveva una precisione minuziosa e, grazie alla rete di informatori, aveva disegnato anche l'organigramma delle cosche di Barcellona e di quell'area del Messinese.
In modo così minuzioso che i suoi reportage sono stati utilizzati come traccia anche dagli inquirenti nel contrasto alle cosche emergenti degli anni Novanta. Un giornalista che non si poteva né intimidire né comprare.
Un uomo che per tutta la vita ha cercato di scoprire verità nascoste ai più, ma paradossalmente la verità sul suo omicidio è ancora avvolta nei dubbi.
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