Excalibur rosso
SPECIALE
Napoleone Bonaparte, un grande fin da piccolo
Allegato al
n. 130 di EXCALIBUR
luglio 2021
Sommario
Gli inizi Le prime battaglie Verso la gloria Amore e vittorie
a cura di
ERNESTO CURRELI

Biografia del "militare" per eccellenza

il giovane <b>Napoleone</b> nel cortile della Scuola Militare di Brienne
Il giovane Napoleone nel cortile della Scuola Militare di
Brienne
Che Napoleone fosse una persona non comune lo avevano capito i professori della scuola militare alla quale era stato destinato da bambino.
Nacque ad Ajaccio in Corsica il 15 agosto 1769 da Carlo Maria Buonaparte e Letizia Ramolino, entrambi di nobiltà corsa con ascendenze toscane, proprio l'anno successivo al Trattato di Versailles (1768), col quale la Repubblica di Genova cedeva l'Isola alla Francia.
La rivolta dei Corsi, guidata dall'eroe nazionale Pasquale Paoli, contro l'invasione francese non si fece attendere e tra i rivoltosi c'erano i suoi genitori. Quasi fosse un segno del suo destino, Napoleone era nel grembo materno quando Letizia, per sfuggire alle truppe francesi, partecipò col marito alla ritirata ordinata da Paoli dopo la disfatta a Ponte Novo del 9 maggio 1769, dove rischiò di annegare attraversando col cavallo imbizzarrito un fiume in piena.
La difficile realtà economica familiare spinse Carlo ad attivarsi presso le autorità francesi per trovare un sistemazione per i numerosi figli, allacciando rapporti col governatore dell'isola Marbeuf, che spesso era ospite nella sua casa. Carlo era stato accanto a Paoli ed era uno dei suoi preferiti, ma adesso Paoli era a Londra, forse pedina degli Inglesi.
Facendo affidamento sui suoi attestati di nobiltà, che si era procurato in Toscana, Carlo ottenne l'iscrizione nel Registro nazionale francese della Nobiltà, che consentiva di chiedere per i figli "aristocratici" la borsa di studio per il piccolo Napoleone, destinato alla Scuola di Guerra. Così Napoleone, che aveva appena nove anni, il 1º gennaio 1779 fu accolto nel Collegio di Autun, in Borgogna, dove dimostrò a sé stesso, per la prima volta, la sua volontà d'acciaio. Per essere accettato nella scuola e dai compagni, doveva "dimenticare" la lingua italiana materna per imparare in fretta il Francese, cosa che fece in tre mesi.
Lo scrittore francese Max Gallo, tra i suoi maggiori biografi, scrive che in quel periodo reagiva come una furia, lui così mingherlino e minuto, quando i compagni lo deridevano per la sua origine corsa e per la sconfitta dei rivoltosi.
Presto gli allievi capirono che non era il caso di stuzzicare il suo orgoglio "nazionale". Urlava loro: «se i Francesi fossero stati in quattro contro uno, non avrebbero mai avuto la Corsica. Ma erano dieci contro uno».
La sua passione infantile era la matematica, che aveva studiato in Corsica con profitto, tanto da far trasecolare il suo insegnante, l'abate Rocco, per l'abilità con la quale svolgeva compiti difficili.
Completate dal padre le pratiche per i quarti di nobiltà, Napoleone dopo i tre mesi di Autun poté finalmente accedere alla Scuola reale militare di Brienne. Si congedò il 15 maggio 1779 dal fratello Giuseppe, che si sciolse in lacrime e lamentazioni, mentre lui versò una sola lacrima, imperturbabile. Sapeva già che nella sua vita tutto sarebbe stato duro, così come fu dura la vita nella Scuola militare. Capelli rasati fino al compimento dei dodici anni, e lui non ne aveva nemmeno dieci, cambio della biancheria due volte la settimana, cella chiusa dall'esterno durante la notte e, se aveva un malore o un qualsiasi bisogno, c'era a disposizione un campanellino per chiamare la sorveglianza.
Bisognava vestirsi da soli, tenere in ordine le divise, fare pulizia nella stanza. Soprattutto, era prescritto che «bisogna piegare il carattere e soffocare l'orgoglio», due cose per lui impossibili. La notizia peggiore fu che non era concessa alcuna licenza per tutto il corso di sei anni. Inoltre, doveva dividere la piccola stanza con un allievo francese, Des Mazis, che subito se ne prese cura.
Un Francese! Nessun Corso in quella scuola. Doveva affrontare l'ostilità dei veri "aristocratici" francesi, che lo prendevano in giro persino per il suo colorito olivastro e per la sua origine. L'edificio non era austero, anzi: le stanze erano riscaldate con stufe di maiolica e nelle sale comuni si percepivano il lusso e le comodità riservate ai figli cadetti dell'alta aristocrazia francese vicina al re. A colazione acqua e frutta a volontà, carne a pranzo e cena.
Ancora dopo cinque anni di scuola militare, al prete che nel confessionale gli suggeriva di attenuare il suo orgoglio nazionale corso, rispose a muso duro: «Io non vengo qui per parlare della Corsica e un prete non ha il compito di farmi la predica su questo tema».
La confessione era d'obbligo una volta al mese per tutti i cadetti e quel prete riportò quella risposta nelle sue memorie. Ancora provocato sulla Corsica, un giorno prese un fioretto dall'armeria e si lanciò contro il gruppetto che lo derideva, tra le risate dei cadetti, che smisero di ridere quando compresero che se avessero continuato qualcuno di loro sarebbe rimasto infilzato.
Perciò Valfort, governatore della Scuola, lo convocò davanti a una commissione di ufficiali, che in fondo ammiravano il patriottismo di quel giovane, considerato una virtù guerriera. Ma gli fecero capire che lui era un allievo del re e che la Corsica apparteneva alla Francia. Capì, rimase sull'attenti, col cappello in mano, ma dentro di sé non si piegò.