EXCALIBUR 133 - ottobre 2021
in questo numero

Grazia Deledda fu fascista?

Ma c'è sempre bisogno di etichettare le persone?

di Claudio Usai
<b>Grazia Deledda</b> (Nuoro 1871-Roma 1936)
Sopra: Grazia Deledda (Nuoro 1871-Roma 1936)
Sotto: cerimonia di conferimento del Premio Nobel nel dicembre
1926
cerimonia di conferimento del Premio Nobel nel dicembre 1926
La domanda del titolo mi spinge a porre un'altra domanda: "a chi serve l'etichetta di fascista, afascista o antifascista a Grazia Deledda?". Se dimostrassi che il Premio Nobel per la letteratura del '26 fosse stato "fascista" o "antifascista", gioverebbe a qualcuno?
Probabilmente sì e non è questo l'intento dell'articolo. Facendo un rapido esempio: essendo la destra odierna contraria all'obbligo vaccinale e la sinistra favorevole, dovremmo pensare che la seconda sia più "fascista" della destra, perché Benito Mussolini istituì tale obbligo per la vaccinazione antidifterica del 1939.
Essendone io favorevole, sarei "più fascista" della destra contraria, essendo più comprensiva nei riguardi del regime fascista. Questo paradosso mette a nudo la verità sulla speculazione politica della storia; nessuno può quindi dare delle etichette a una famosa scrittrice italiana del '900 vissuta durante e soprattutto prima del "Ventennio".
Dopo questa parentesi di cronaca, leggiamo le fonti per fare un discorso più serio. All'indomani della vittoria del Nobel del 1926, su "Il Popolo d'Italia", la coltissima, bellissima e di origini ebraiche amante del Duce, Margherita Sarfatti, autrice della biografia Dux, elogiò in un articolo la vittoria del Nobel.
Dalla Sarfatti non traspare però a mio giudizio una reale ammirazione per la Deledda: «Grazia Deledda è tipicamente una donna italiana. Per questo, ha capito ed espresso così bene anche in Annalena Bilsini, l'operosa figura della donna italiana di cui nessuno mostra di accorgersi ma che è - veramente - il perno e il nucleo della nostra civiltà italiana».
Che la Deledda fosse una "donna tipicamente italiana" sembra più un'ovvia tipizzazione di propaganda. Appunto Annalena Bilsini, ultimo lavoro della Deledda, non è ambientato in Sardegna e la chiave "italiana" data dalla Sarfatti appare "forzata".
Lo stesso vale per il comunicato ufficiale del capo del governo, apparso su "Il Corriere della sera", "La Stampa" e "Il Resto del Carlino", attraverso una nota dell'Agenzia Stefani: «Vogliate, Vi prego, gradire le mie congratulazioni, in quest'ora in cui il mondo consacra la vostra gloria di scrittrice italiana6#187;; risposta di circostanza della Deledda: «Gloria ambita sopra ogni gloria è in quest'ora per me la parola di V.E., che solleva la mia volontà di onorare l'Italia e il suo Duce».
Il Capo del Governo le fece anche pervenire un fascio di fiori. Al sobrio scambio di telegrammi, la "Gazzetta del Popolo" e "Il Popolo d'Italia" aggiunsero una nota di Bruno Carocci che citava la visita della Deledda a Mussolini.
Nel salone della Vittoria di Palazzo Chigi avvenne il baciamano fra Mussolini e la scrittrice, con "turbamento" di quest'ultima: «Sente il cuore darle un balzo. Vorrebbe dir qualche cosa. Vorrebbe trovare una parola sola, grande, comprensiva, ma non trova che un gesto. Trattiene la sottile e diafana mano del duce e [...] vi stampa sopra un bel bacione, di quelli che solo le mamme sanno dare e che non si dimenticano mai». Mussolini parla "con ardore e foga", la Deledda commossa dice di essere "mezzo romagnola", trascorrendo "sei mesi all'anno a Cervia", con grande sorpresa del Duce che le invierà una sua foto. Nonostante il tono, il comunicato appare freddo e "prestampato".
La Deledda interrogata da un giornalista svedese "su Mussolini", risponde che "è una questione a parte". Con imbarazzo e con l'incertezza con la quale il regime festeggia il premio, non c'è alcuna ragione per dire che la Deledda fosse in dissenso con il regime, o addirittura è fuorviante l'etichetta di "antifascismo deleddiano", ma emerge invece una diffidenza marcata del regime nei suoi confronti. Il fascismo e la scrittrice nuorese sembrarono studiarsi, non sapendo ancora come agire, in ogni caso, per avere un rapporto reciproco.
Grazia Deledda viveva lontana dai salotti letterari italiani prima e durante l'avvento del fascismo, ma possiamo affermare che le sue opere non corrispondessero al modello di "donna italiana" proposto dal fascismo, la "donna del casolare", essendo anche certamente lontana dal classico stereotipo della scrittrice impegnata dell'epoca, ma ciò non basta a definirla "contraria" al fascismo.
Risulta difficile però che una Deledda così celebre non fosse partecipe delle vicende politiche del suo tempo. Nel 1925 si era infatti dimessa da collaboratrice de "Il Corriere della Sera" dopo la rimozione di Luigi Albertini; questo non fece piacere allo scrittore Ugo Ojetti, chiamato da Mussolini per "riallineare" il giornale al regime.
Lo stesso Ojetti rifiuterà quindi alla Deledda una nuova collaborazione: «Caro Bottazzi, non posso accettare la proposta di Grazia Deledda e devo francamente dirti che il modo con cui ha voluto abbandonare il Corriere e poi quasi accusarci di averla noi condotta ad abbandonarci, mi fa dolore, anzi, ira. Io ho per la scrittrice, una altissima stima: questa stima non muterà. Ma l'offesa che deliberatamente ella vuol fare al giornale da me diretto, né la tollero, né la dimentico. Il danno maggiore non sarà per il Corriere».
Però la scrittrice nel '27 ha ricevuto il Nobel ed è diventata "una gloria d'Italia", a quel punto Ojetti cambia idea e la Deledda esulta per l'"assoluzione", tornando sui suoi passi. «La sua lettera, giunta contemporaneamente a un telegramma del Comm. Tumminelli che mi annunzia il perdono del Corriere della Sera, mi riempie di gioia. È il più bel fiore della mia festa '27». Avvertita che con il regime si "deve" collaborare, accettò nel 1930 la stesura delle "Letture del Libro della terza classe elementare": la cosa non è di poco conto, l'introduzione del testo unico per la scuola elementare fu lo strumento cardine del fascismo e per la prima volta dell'Italia Unità per modernizzare l'educazione e nazionalizzare le masse. E Grazia Deledda, per bisogno o no, per convinzione o no, per opportunismo o no, collaborò. A tal proposito scrisse un racconto stile libro Cuore che raccontava la storia di due scolari, Sergio, ragazzo studioso, e Cherubino, "somaro e presuntuoso", che culminavano con la visita di Natale del Duce; inoltre nel racconto c'era la rievocazione dell'eroico gesto del giovane Guccio, che nell'ottobre del '22, alla Marcia su Roma, aveva rubato della legna ai contadini comunisti per riscaldare una camicia nera ferita, riuscendo così a convertire "i rossi" che si unirono alle camicie nere nell'impresa; descrisse la festosa visita della buona Regina Elena al paese; la storia di Giovanni Battista Perasso, "Balilla" che a Genova nel 1746 incitò i Genovesi a ribellarsi ai soprusi degli Austriaci; e altri.
Possiamo affermare che se nel 1927 il regime è ancora incerto nell'accogliere la scrittrice sarda nella cultura nazionale, nel 1930 ha deciso invece di fidarsi. Bisogna capire una cosa: la titubanza del regime era dovuta al fatto che la Deledda era una scrittrice celebre in Italia e all'estero da decenni, dall'epoca umbertina fino a quella giolittiana.
La Deledda aveva narrato della società che esisteva prima dell'avvento del fascismo e la prima proposta per il Nobel del 1913 era stata avanzata dalla classe dirigente liberale e il mondo culturale borghese, nazionalista e socialista, rispose freddamente al suo successo di pubblico.
Saranno gli Svedesi a riproporre la candidatura per il Nobel alla scrittrice nel 1926, non gli Italiani, e già nel primo decennio del secolo la Deledda era stata letta e tradotta in Francia, Germania, in Russia, nei paesi Scandinavi, in Sudamerica, in Spagna, in Polonia, in Olanda e nelle Fiandre: il successo avvenne prima all'estero e solo dopo in Italia, dove venne resa famosa dall'editore Treves. Né è una prova l'opera di Luigi Pirandello "Suo Marito" (1909-1911), con protagonista Silvia Roncella, una giovane scrittrice tarantina che diventa famosa all'improvviso: Silvia Roncella non è altro che la trasposizione satirica di Grazia Deledda. Il maschilismo di Pirandello non celava il fatto che la maggior parte dei suoi colleghi scrittori competevano con lei per questioni commerciali editoriali.
Possiamo affermare quindi che, come tanti scrittori dell'epoca:
1. anche la Deledda non fosse culturalmente vicina al fascismo, non tanto per una mancata adesione al regime, quanto perché fu una scrittrice di un'epoca precedente, politicamente finita;
2. "stilisticamente" nelle sue opere era stata lontana dal regime perché troppo diversa dai modelli di donna proposti più o meno convintamente dal fascismo;
3. in quel periodo però (1927-1934) il regime fascista cercava di rappresentare tutte le idee e le persone, anche diverse da lui, ma disposte a collaborare in un'ottica nazionale, non così "totalitaria"; e quello fu certamente il momento più fortunato per Mussolini;
4. la Deledda non fu neanche "antifascista", perché lontana culturalmente sia dal primo antifascismo aventiniano, sia dall'antifascismo esule e, per ragioni "naturali", morirà nel 1936;
5. la Deledda non fu nemmeno "afascista", perché collaborò con il regime che in quel momento rappresentava l'Italia, ma era distante dal mondo e dai circoli intellettuali italiani che, più o meno convintamente anche loro, si adeguarono alle esigenze del regime. Per questo motivo imporre un'etichetta alla più grande scrittrice sarda e italiana credo sia sbagliato da parte di ogni parte politica che cerca di appropriarsi del suo ricordo.
Concludo però dicendo che, come ha affermato Angelo Abis, bisogna certificare che la considerazione di Benito Mussolini, non tanto del regime, per Grazia Deledda fu molto alta, né è prova l'episodio citato: «Mussolini chiude con la scrittrice, si fa per dire, il 14 marzo 1945 in quel di Salò, quando inviò a Claretta Petacci una lettera nella quale tra l'altro diceva "ti mando un bellissimo romanzo della Deledda"».
Chiudendo con una battuta: si potrebbe dire che non abbiamo la certezza che la Deledda fosse fascista, afascista o antifascista, ma possiamo pensare che Mussolini fosse quantomeno deleddiano.
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