EXCALIBUR 136 - gennaio 2022
in questo numero

Ottone Bacaredda, il sindaco

Ricordo di una grande uomo nel centenario della morte

di Antonello Angioni
<b>Ottone Bacaredda</b> (Cagliari 1849 - 1921)
Sopra: Ottone Bacaredda
(Cagliari 1849 - 1921)
Sotto: alcune sue opere
alcune sue opere
alcune sue opere
Il 26 dicembre del 1921 moriva a Cagliari Ottone Bacaredda. Nella carica di sindaco aveva rappresentato la città quasi ininterrottamente per circa 32 anni, diventando il simbolo dell'amministrazione civica. Fu lui a porre fine alla storia di una Cagliari ancora rinchiusa nelle mura e ad aprire la fase dell'espansione demografica, urbanistica ed economica della città. Bacaredda simboleggiò un'età, perché il suo nome resta indissolubilmente legato all'epoca d'oro di una città borghese che si apre all'industria, al commercio e alla modernità in genere.
La storia gli fu alleata, perché prima di lui ricoprirono la carica gli esponenti dell'ancien régime e dopo di lui arrivarono le gestioni commissariali. Di fatto rappresentò il "progresso" rispetto a ciò che c'era stato prima e la "tradizione" rispetto ai commissari e ai podestà che sarebbero arrivati in Comune. Fu anche un uomo fortunato perché, durante il suo mandato e precisamente nel 1896, il Comune ottenne, contro l'Amministrazione Finanziaria dello Stato, la sentenza definitiva che comportò un introito di oltre tre milioni di lire: una cifra davvero straordinaria per quei tempi. Pensate che si costruirono il Palazzo Civico, il cosiddetto bastione di Saint Remy e quattro caseggiati scolastici (a Sant'Avendrace, il Satta, il Santa Caterina e infine la Scuola Riva di Piazza Garibaldi).
Il trasferimento della sede del Palazzo di Città, dal Castello all'attuale Via Roma, in prossimità del porto e della stazione ferroviaria, costituì non solo una risposta all'esigenza di avere un edificio più ampio e funzionale ma, anche e soprattutto, rappresentò una precisa scelta ideologica. Era il passaggio di testimone dalla Cagliari d'ancien régime, arroccata nel Castello, sede della nobiltà e dell'aristocrazia feudale, alla Cagliari borghese, ben interpretata dal dinamismo dei quartieri della Marina e di Stampace basso, dove avevano sede le imprese e si svolgevano i traffici commerciali. Tale processo venne guidato da Bacaredda.
Ispiratore di una politica popolare allorché, nei primi anni del mandato, dovette affrontare le criticità economiche dell'ultimo decennio dell'Ottocento, subì l'amarezza della ribellione popolare del 1906, divenendo il capro espiatorio di un malumore alimentato soprattutto dagli avversari politici. Perché allora, come oggi, la politica comunale era condizionata dalla demagogia, dal particolarismo, dalle non sempre univoche interpretazioni delle norme, dalla scarsezza dei mezzi finanziari e dall'eccessiva gamma di attese popolari.
Fu una figura complessa: avvocato, docente, politico, giornalista, uomo. Era nato a Cagliari il 20 dicembre 1849. Suo padre Efisio, con lo pseudonimo di Emilio Bonfis, nel 1884 aveva firmato il libro "Cagliari ai miei tempi", che costituisce uno spaccato della città prima della modernizzazione. Nel 1871 Bacaredda consegue la laurea in giurisprudenza presso l'Università di Cagliari. Per qualche anno si dedica all'attività giornalistica per poi iniziare, come libero docente, l'insegnamento universitario del diritto penale, cui fa seguito la nomina a professore straordinario di diritto commerciale.
Nel 1884 si cimenta nella politica e, due anni dopo, viene eletto consigliere comunale. Nel 1887 è nominato assessore nella giunta di Emanuele Ravot Ortu. Il 16 novembre 1889 viene eletto Sindaco, dopo essere entrato in Consiglio comunale come terzo degli eletti, con 839 preferenze, nella lista "Casa nuova" che, già nel nome, esprimeva l'idea del cambiamento. Va detto che il raggruppamento, pur facendo parte dell'area liberale, nasceva in contrapposizione a Cocco Ortu (anche se poi il vero oppositore di Bacaredda sarà, per lungo tempo, Umberto Cao).
Il 21 novembre 1889 tiene la prima seduta di Giunta. La sua Cagliari era una città dove la vita scorreva tranquilla, illuminata dai fanali a gas e rallegrata dalle turbe di "piccioccus de crobi", le cui attività tentò di disciplinare con un apposito regolamento.
Rappresentante delle idee della borghesia emergente, Bacaredda, col suo governo, segnò la rottura definitiva col passato. Mantenne l'incarico di sindaco quasi ininterrottamente fino al 1922, capeggiando sei giunte e dominando la vita politica della città, di cui guidò la trasformazione urbanistica e sociale. Al culmine del prestigio di amministratore, nel 1900, era stato eletto deputato, ma, non soddisfatto dell'esperienza, nel 1903 si dimise per tornare a occuparsi dei problemi della città. Nel 1905 è nuovamente sindaco.
Nel maggio 1906 - in un contesto critico per la città - alcuni tribuni, decisi a dare la scalata al potere civico, con molta facilità arringavano e riscaldavano gli animi: erano scintille capaci di far scoppiare un incendio. E difatti l'incendio scoppiò, diventò tumulto, sommossa e poi rivolta, arrestandosi miracolosamente alla soglia della guerra civile.
In tale contesto, le tabacchine furono sapientemente indottrinate sulle conseguenze provocate dall'esportazione dei prodotti agricoli sardi sul Continente e divennero facile massa di manovra. E così fu semplice indirizzarne il malcontento contro il Comune responsabile dell'esazione daziaria e titolare di competenze, ovviamente sopravalutate, in materia di calmiere e di mercato. Una delegazione femminile di dipendenti della Manifattura, in tono eccitato, chiese di essere ricevuta dal sindaco l'11 maggio 1906. Su tale incontro molto si è scritto e non mi soffermo.
Ora, a distanza di tanti anni, un giudizio su quelle vicende non può che confermare, con l'obiettiva prospettiva della valutazione storica, la diagnosi che dei fatti e dei motivi ispiratori diede lo stesso Bacaredda (anche tramite i suoi avvocati Giuseppe Sanna Randaccio e Francesco Ballero). Del resto, già nel proclama affisso il 15 maggio 1906, Bacaredda evidenziava che il moto aveva avuto inizio «all'indomani di uno sciopero legittimamente iniziato e felicemente composto con pieno e meritato successo dei lavoratori». Lo sciopero, innestatosi su rivendicazioni di categoria, assunse presto il valore di una protesta contro il carovita.
Fu un frangente assai difficile per Bacaredda ma nel 1911 ancora una volta fu eletto sindaco. Tenne l'incarico fino al 1917 quando, a causa della grande guerra, la città venne amministrata da un Commissario prefettizio. Rieletto sindaco nel 1920, morì ancora in carica l'anno successivo.
Bacaredda è stato anche autore di una vasta produzione letteraria e di numerosi saggi di carattere politico, alcuni dei quali, oltre a testimoniare la sua forte passione civile, costituiscono utili documenti per una ricostruzione della storia cagliaritana della seconda metà dell'Ottocento e degli inizi del Novecento.
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