Sopra: proposte per il Quirinale
Sotto: forme di governo semplici e ibride
Il 12 agosto scorso Silvio Berlusconi ha rilasciato un'intervista a Radio Capital e ha precisato - a specifica domanda - che nel caso in cui si arrivasse all'approvazione di una riforma costituzionale per l'elezione diretta del presidente della Repubblica, così come proposto dal centrodestra nel suo programma elettorale, sarebbero necessarie le dimissioni del presidente Mattarella.
È scoppiato il finimondo e ne sono nate polemiche infinite. C'è chi ha dichiarato che il centrodestra intende portare l'Italia fuori dal mondo (infatti negli atlanti geografici nazioni come gli Stati Uniti e la Francia non esistono più) e c'è chi ha dichiarato che la manovra nasconde subdolamente l'intenzione di Berlusconi di diventare presidente della Repubblica.
Penso che sarebbe scoppiato un putiferio anche se Berlusconi avesse dichiarato «
oggi, 12 agosto 2022, è venerdì».
Il giorno precedente Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia e Noi Moderati avevano reso pubblico il loro "accordo quadro di programma per un governo di centrodestra": al punto 3, "Riforme istituzionali, della giustizia e della Pubblica Amministrazione secondo Costituzione", la prima frase recita "Elezione diretta del Presidente della Repubblica".
Non viene specificato altro.
Come è scritto nella Costituzione, la proposta di modifica dovrà essere approvata due volte da entrambe le Camere, a distanza di almeno tre mesi, dopo l'esame delle commissioni.
Non è specificato con quali modalità dovrebbe avvenire questa elezione, ma in ogni caso sarebbe una modifica fondamentale della Costituzione e dell'ordinamento repubblicano, che passerebbe dall'attuale parlamentarismo al presidenzialismo o semipresidenzialismo. I punti da toccare negli articoli costituzionali sarebbero numerosi e particolarmente delicati.
Nel caso di una simile modifica - per la quale sarebbe necessaria tutta la legislatura - non si sa neppure se Mattarella sarà ancora presidente, ma supponendo lo fosse ancora mi pare implicita la presentazione di sue dimissioni, salvo norme transitorie da definire.
Personalmente nella frase di Berlusconi non vedo alcun motivo di scandalo, ma la nostra classe politica è quella che è.
Forza Italia aveva presentato questa modifica già dal 1995: lo fece Berlusconi con un discorso in Parlamento e con due diverse proposte di riforma costituzionale che puntavano a modificare l'articolo 83 della Costituzione, che stabilisce al primo comma che "il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta dei suoi membri".
Nel 1997 la Commissione Bicamerale "D'Alema" approvò un progetto di revisione della forma di governo in forma semipresidenziale, poi naufragata in Parlamento anche per la crisi della legislatura.
Anche Fratelli d'Italia ha presentato una proposta di legge - prima firmataria Giorgia Meloni - per introdurre tale modifica. Presentata nel giugno 2018, suddivisa in 13 articoli, è stata respinta il 10 maggio 2022. Contrari ovviamente il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle, per i quali ogni proposta di modifica della Costituzione che non parta da loro equivale a uno stupro.
Non è chiaro che tipo di modifica potrebbe essere proposta nella prossima legislatura, né se lo sarà: questo è importante, poiché le due forme - presidenzialismo e semipresidenzialismo - sono decisamente diverse.
L'organizzazione del governo e la sua legittimazione democratico-rappresentativa producono, seguendo strade diverse, una varietà di forme di governo, le più classiche delle quali rimangono la forma "parlamentare" e quella "presidenziale".
Senza appesantire il discorso, in Scienza Politica, il "parlamentarismo" ha una struttura collegiale a legittimazione parlamentare indiretta, mentre il "presidenzialismo" ha una struttura monocratica a legittimazione parlamentare diretta.
Nel continente americano, Stati Uniti in testa, si è scelta l'opzione della legittimazione diretta e separata del Capo dell'Esecutivo, mentre in Europa è prevalsa la forma di governo a legittimazione parlamentare, anche se in alcuni contesti sono state scelte forme ibride dei due tipi di legittimazione (Francia, Germania).
In sintesi, la forma di governo presidenziale è quella in cui il Capo dello Stato è eletto dall'intero corpo elettorale nazionale, durante il suo mandato non può essere sfiduciato da un voto parlamentare, il suo mandato ha una durata prestabilita (la proposta della Meloni prevede un mandato di cinque anni e solo una seconda rielezione), presiede e dirige i governi da lui nominati.
È questa una scelta che pone al centro del sistema costituzionale l'organo presidenziale: la somma di poteri che si concentra su tale organo è bilanciata da una parte dall'elezione diretta del presidente da parte del popolo e dall'altra dall'introduzione di una serie di poteri di controllo e di freno, affidati ad altri organi costituzionali, in particolare al Parlamento, in funzione di limite all'esercizio del potere del presidente e del suo governo.
La forma di governo semipresidenziale ha invece caratteristiche diverse: il Capo dello Stato è eletto direttamente dal corpo elettorale dell'intera nazione e resta in carica per un tempo stabilito. Il presidente è indipendente dal Parlamento e non ha bisogno della sua fiducia; non può però governare da solo e deve servirsi di un governo che deve avere la fiducia del Parlamento.
È una struttura bicefala del potere, che infatti ha nel Presidente della Repubblica e nel Primo Ministro i due maggiori rappresentanti. Il Primo Ministro trae la sua legittimazione dalla fiducia del Parlamento, il Presidente della Repubblica la trae direttamente dalla elezione popolare.
Questa forma di governo sembrerebbe presupporre, per un buon funzionamento, una perfetta corrispondenza tra la maggioranza politica che ha espresso il presidente e quella parlamentare: nel caso non avvenisse potrebbero sorgere dei conflitti, anche se l'esperienza francese di questo tipo di "coabitazione" ha mostrato forti segni di adattabilità di tale struttura. Sono strutture forti, che spingono a privilegiare la governabilità di un paese e in genere si accompagnano con una marcata polarizzazione del voto. Non si presta quindi a facili compromessi tra le forze parlamentari, motivo per il quale quando una certa parte politica sente parlare di elezione diretta del Capo dello Stato urla e strepita.
C'è da osservare che in genere le riforme delle forme di governo sono dettate sempre più da problemi specifici di funzionalità del sistema e dalle sue tensioni interne. Il problema della stabilità del governo ha assunto sempre più un peso predominante nel tentativo di dare stabilità al sistema, che in Italia si è cercato di ovviare con continue riforme del sistema elettorale, troppo spesso ispirate a puro tornaconto dei proponenti.
Ho qualche dubbio che in Italia una simile riforma possa mai andare in porto: le forze che si oppongono sono troppo forti e soprattutto hanno in mano tutti gli strumenti di condizionamento dell'opinione pubblica.