Sopra: "La zattera della Medusa" di Théodore Gericault (Parigi,
Museo del Louvre)
Sotto: Théodore Gericault (Reims 1791, Parigi 1824) e la struttura
dell'opera con le forme geometriche piramidali
Aveva solo 27 anni Théodore Géricault quando nel 1818 cominciò a lavorare alla tela che resta la più famosa delle sue opere.
Nato in una famiglia borghese nel settembre 1791 a Rouen e formatosi artisticamente in un contesto accademico classico, abbandonò ben presto questa tendenza artistica.
Era l'epoca nella quale in Inghilterra gli artisti si dedicavano prevalentemente al paesaggio, in Germania si privilegiava l'esplorazione della natura, in Francia gli artisti ricercavano nelle loro opere il rapporto con la storia.
Géricault ruppe con tutto questo, abbandonando dunque la ricerca di soggetti classici e si ispirò a un puro fatto di cronaca, ricercando - come in questo caso - una forte risposta emotiva.
La "Meduse" era una fregata francese a vela varata nel 1810: il 2 luglio 1816 si incagliò sulle secche del Banc d'Arguin, vicino a Nouadhibou in Mauritania. L'incidente fu causato dall'inesperienza del comandante della fregata Hugues Duroy de Chaumareys: dopo inutili tentativi di disincagliare la nave, l'equipaggio la abbandonò e salì sulle sei imbarcazioni di salvataggio e i passeggeri eccedenti furono posti su una zattera che veniva trainata dalle altre barche.
La cima che teneva la zattera legata al gruppo si ruppe (o fu spezzata) e l'imbarcazione andò alla deriva.
A bordo pare ci fossero circa 150 persone e dopo svariati giorni la zattera fu avvistata dalla nave Argo: le fonti riportano la presenza di soli 15 superstiti.
Disperazione, pazzia, suicidi, annegamenti e cannibalismo si abbatterono su quella zattera alla deriva nell'oceano, acuiti negli ultimi giorni dal mancato avvistamento da parte della nave Argo - l'11 luglio - che solo dopo altri cinque giorni riuscì a scorgere l'imbarcazione e trarre in salvo i pochi rimasti.
Géricault fu colpito dall'episodio e ne trasse ispirazione, mettendosi all'opera solo dopo essersi documentato scrupolosamente, intervistando anche alcuni sopravvissuti.
È un'opera gigantesca, insolita per quell'epoca - misura 491 x 716 cm - e Géricault volle rappresentare un momento topico, l'avvistamento della nave Argo (che però non si avvide della zattera né dei suoi segnali disperati) in un momento quindi di profonda desolazione dei naufraghi.
I colori sono cupi, disperati, con poche macchie di colore, in contrasto con il bianco lattiginoso dei corpi simili a cadaveri: spicca il rosso-arancio della camicia agitata da un marinaio di colore e il rosso del mantello che copre l'uomo in basso a sinistra.
La scena è offuscata da una nube nera che incombe sulla zattera, accrescendo l'atmosfera di desolazione e incertezza sul destino degli uomini.
Il vento soffia verso sinistra, gonfiando la vela; la nave è un puntino lontano sull'orizzonte, a destra: i naufraghi sanno che non possono essere scorti e che nessuno li potrà salvare.
La composizione, alla quale Géricault lavorò per circa due anni, vuole sviluppare un moto emotivo che va dalla speranza allo sconforto, con un'orda umana di naufraghi che si erge verso destra in direzione della nave lontana.
Un uomo anziano, sulla sinistra in basso, con il mantello rosso sulle spalle, regge sulle ginocchia le spoglie nude di un ragazzo, quasi a evitare che sia trascinato via dalla corrente.
Il torso di un cadavere, anch'esso a sinistra sul bordo estremo della zattera, testimonia del banchetto di sopravvivenza di quei disperati.
Sono stati d'animo enfatizzati da una composizione complessa, studiata meticolosamente, con piani triangolari accostati (l'uomo che agita la camicia verso la nave a destra e il pennone e la vela al centro, sono i vertici ideali dello schema) e intendono trasmettere un senso di precarietà e di instabilità. Tonalità tetre (il mare è verde cupo), colori fangosi e scuri che vogliono suscitare angoscia e sofferenza da condividere con i protagonisti.
Solo la nave Argo, in lontananza, è illuminata da una luce più chiara, simbolo di speranza.
Il dipinto fu esposto al Salon di Parigi del 1819 e il Museo del Louvre acquistò l'opera dopo la morte di Théodore Géricault nel 1824, all'età di 33 anni.
L'opera, considerata il punto di rottura con la pittura neoclassica che era fatta di composizioni equilibrate, di atmosfere serene, di soggetti elevati, con tenui colori, non fu bene accolta dalla critica del tempo.
Fu giudicata troppo "disordinata", i toni cromatici erano troppo scuri e cupi, i soggetti raffigurati non erano eroi, ma persone qualunque che per caso erano assurte alla cronaca; anche la scelta di un marinaio di colore che sventolava un drappo di speranza era giudicata troppo azzardata e fuori luogo.
Un semplice anche se drammatico episodio non meritava certo 35 metri quadrati di dipinto.
E poi... era forse un'allegoria della sventura della Francia?
Il pubblico, di contro, rimase a bocca aperta ammirando la potenza emotiva della rappresentazione pittorica.
È, comunque la si guardi, un'opera impressionante.
Naufraghi, sopravvissuti, disperati, cannibali: tutti in attesa di un'improbabile salvezza che forse arriverà o forse non arriverà.
Bonelli, Bonino, Di Maio, Fratoianni, Letta (in ordine alfabetico) mi sembrano i personaggi che si agitano a bordo di quella zattera di disperati. Sventolando un drappo rosso (e che colore se non rosso?) sotto un cielo sempre più nero (e che colore se non nero?), sperando che una nave qualunque li possa trarre in salvo.