EXCALIBUR 146 - novembre 2022
in questo numero

Holodomor: l'olocausto dimenticato

Cagliari ricorda lo sterminio degli Ucraini da parte di Stalin

di Antonello Angioni
la stele di <b>Armando Lecca</b> (Armandì) a Monte Claro
Sopra: la stele di Armando Lecca (Armandì) a Monte Claro
Sotto: il pannello informativo posto dal Comune di Cagliari
il pannello informativo posto dal Comune di Cagliari
Qualche anno fa a Cagliari, nella splendida cornice del parco di Monte Claro, è stata collocata una stele: si tratta di un "corale" realizzato con pietra di Nureci dallo scultore Armando Lecca (in arte Armandì), nato a Decimomannu nel 1954. L'opera pare ispirata all'arte del realismo russo. E, in effetti, richiama una vicenda - ai più ignota - che si ricollega all'ex Unione Sovietica. La stele passa quasi inosservata alla vista di quanti frequentano il parco e pochissimi ne conoscono il significato, anche perché sino a qualche giorno fa mancava qualsiasi pannello informativo.
È il monumento dell'"Holodomor", la grande carestia artificiale provocata nel 1932/1933 dal regime comunista di Stalin: uno dei crimini a più vasta scala commessi in Europa, un genocidio contro il popolo ucraino e contro l'umanità intera. Per inquadrare la vicenda occorre fare un passo indietro nel tempo.
Nel dicembre del 1927, il XV Congresso del partito bolscevico si chiuse con la vittoria di Joseph Stalin nella grande lotta che si era aperta per la successione dopo la morte di Lenin avvenuta nel 1924. Una delle prime misure, nel gennaio 1928, fu la direttiva sugli ammassi: l'obiettivo era quello di requisire, anche con l'uso della forza, il grano ai contadini, che reagirono diminuendo i seminativi e compiendo atti di resistenza. In primavera, quando nelle campagne la battaglia per il grano si faceva più convulsa, in molte città scoppiarono rivolte che furono sedate nel sangue.
In tale contesto, Stalin individuò nei "kulaki" (gli agricoltori indipendenti ucraini), negli uomini della Nep (la "Nuova Politica Economica", introdotta nel 1921 da Lenin, che prevedeva il ripristino della proprietà e dell'impresa privata) e nei capitalisti i "nemici di classe" che sabotavano lo Stato e le sue politiche. Gli stessi dunque dovevano essere eliminati.
Quindi, nel 1929 varò un piano quinquennale destinato a creare una potente industria di Stato e istituire aziende collettive nelle campagne: i "kolchoz". L'ambizioso obiettivo aveva anche lo scopo di indebolire la classe contadina, vista come un ostacolo alla sovietizzazione della società. Inoltre, il dittatore voleva mettere un freno allo sviluppo della comunità ucraina, portatrice di proprie tradizioni linguistiche e culturali.
I kulaki non volevano unirsi nei kolchoz, le cooperative agricole, e si rifiutavano di consegnare il raccolto ai bolscevichi. Il grano destinato agli ammassi (per le città e per l'esportazione) aveva la priorità assoluta e non poteva essere ridotto per alcun motivo: le quote imposte a carico dell'Ucraina erano davvero insostenibili (nel luglio del 1932 si pretese il 45% del raccolto).
Gli Ucraini, avendo contestato il sistema della proprietà collettiva, subirono una terribile punizione: il genocidio per fame. Circa un quarto della popolazione rurale venne eliminata. I cadaveri giacevano nelle strade senza che i parenti, anch'essi in fin di vita, avessero la forza per seppellirli. La carestia provocò, insieme all'annientamento dei contadini, lo sterminio delle élites culturali, religiose e intellettuali ucraine, considerate "nemiche del socialismo".
I confini dell'Ucraina vennero "sigillati" e sorvegliati attraverso lo spiegamento delle truppe per impedire agli affamati di spostarsi in altre regioni dell'Urss in cerca di cibo; i carburanti, gli attrezzi agricoli e gli animali da lavoro furono sequestrati. A causa dell'attuazione di queste e altre misure repressive, la popolazione ucraina si ritrovò prigioniera in un enorme ghetto, nel quale era impossibile sopravvivere. Per bloccare le disperate fughe dalle zone colpite dalla carestia, una circolare del 27 dicembre 1932 impose l'obbligo del passaporto per gli spostamenti interni.
Il 22 gennaio 1933 Stalin e Molotov firmarono un'altra circolare che impedì con ogni mezzo ai contadini ucraini e del Caucaso settentrionale di uscire dai distretti in cui non c'era più nulla da mangiare. Ricordiamo che Molotov è il ministro che, il 23 agosto 1939, sottoscriverà il patto con Ribbentrop, ministro di Hitler, che sta all'origine dell'invasione della Polonia e dell'inizio della seconda guerra mondiale.
Stalin, tuttavia, non aveva fatto i conti con la popolazione ucraina che non volle cedere le proprie terre. Per piegarla, ordinò quindi di ridurla alla fame. In pochi mesi l'Ucraina, il granaio dell'Unione Sovietica, venne spogliata del suo raccolto, che fu trasportato a Mosca. Per battere la resistenza, Stalin utilizzò anche l'esercito che non consentì ai contadini di utilizzare la terra (la loro terra), unica risorsa di sussistenza. Gli Ucraini vennero lasciati morire di fame e si verificarono persino numerosi casi di cannibalismo: si è in presenza di una delle pagine più nere - purtroppo non unica - del comunismo sovietico.
Nell'arco di pochi anni la politica agraria di Stalin si risolse in una catastrofe economica e sociale a danno soprattutto degli Ucraini, che conobbero una involuzione in ambito agricolo solo in parte compensata dall'assistenzialismo di Stato.
Tutto ciò peraltro non riuscì a cancellare la memoria e la cultura del popolo ucraino, molto forte e radicata. Quella dell'Holodomor è una tragedia meno nota rispetto ad altre grandi catastrofi della storia del Novecento, ma non per questo meno cruenta e terribile. Gli storici ritengono che l'Holodomor sia stato un atto di genocidio, frutto delle decisioni politiche del regime totalitario di Stalin per schiacciare il popolo ucraino.
Il primo a parlare pubblicamente dell'Holodomor fu, nel 1986, l'inglese Robert Conquest col libro "Harvest of sorrow" (racconto di dolore), che riuscì a portare alla luce - a "riesumare" potremmo dire (e il termine non sarebbe improprio) - il dramma della carestia e della morte di milioni di contadini ucraini: i kulaki. Qualche decennio dopo, in Italia tra i primi ne parlerà lo storico Ettore Cinnella che spiegherà come Stalin non si limitò a sterminare fisicamente il popolo ucraino ma, non riuscendovi del tutto, cercò anche di cancellarne l'identità e la memoria, attraverso un attacco pianificato alla loro Chiesa e alla loro religione, per imporre l'unificazione religiosa e culturale con la Russia.
Come detto, questa tragedia - volutamente dimenticata e occultata - si colloca agli inizi degli anni Trenta quando il dittatore Stalin cercò di imporre l'agricoltura collettivizzata a dieci milioni di kulaki che lavoravano quelle terre da generazioni, per assegnarle ai Russi che dovevano essere integrati in Ucraina: una terra aspra che la popolazione locale aveva reso rigogliosa anche grazie a imponenti infrastrutture idrauliche (dighe, canali artificiali, ecc.). Attraverso tali sistemi, l'acqua dolce veniva raccolta e quella salmastra, proveniente dalle falde, respinta.
La stele realizzata da Armandì è stata la prima opera che, in Italia e nell'Europa occidentale, ha ricordato questo olocausto: un evento tragico volutamente occultato per molti decenni non solo dai Sovietici - il che è comprensibile - ma anche dai governi dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti.
Uno sterminio di un popolo, quello ucraino, programmato scientificamente e realizzato attraverso una carestia artificiale. In Ucraina la gente morì proprio per fame. Di questa immane tragedia il mondo venne a conoscenza solo dopo il crollo dell'Urss, ma non si è ancora riusciti a stabilire l'esatta dimensione dell'ecatombe perché i Sovietici, prima, e i Russi, dopo, hanno sempre messo un veto alla consultazione degli archivi: top secret. Si parla di un numero di morti compreso tra 5 e 8-10 milioni.
In questo contesto, non vi è dubbio che l'arte possa dare voce e memoria a un popolo che, nonostante l'immane tragedia, non si è mai piegato alla tirannide. A distanza di novant'anni, possiamo dire che il sacrificio di tante vite non è stato vano, perché il tempo passa, le generazioni si alternano e tutto cambia. Ma resta, forte e alta, la lezione che proviene da questi tristi eventi. E allora il ricordo è importante perché serve, come per la "Shoah", a evitare che certe tragedie si ripetano.
Per questa ragione, il quarto sabato di novembre la comunità ucraina commemora il genocidio dell'Holodomor: una ricorrenza che quest'anno l'Associazione Ucraina in Sardegna, col patrocinio del locale consolato onorario, ha voluto ricordare installando un pannello informativo proprio vicino alla stele del parco di Monte Claro a Cagliari.
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