EXCALIBUR 149 - gennaio 2023
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La trattativa che permise ai fascisti di far politica legalmente

anni '50, al centro <b>Augusto De Marsanich</b>, sulla destra <b>Arturo Michelini</b> e <b>Giorgio Almirante</b>, sulla sinistra <b>Gianni Roberti</b> e <b>Roberto Mieville</b>, primo segretario giovanile del Msi
Anni '50, al centro Augusto De Marsanich, sulla destra
Arturo Michelini e Giorgio Almirante, sulla sinistra
Gianni Roberti e Roberto Mieville, primo segretario
giovanile del Msi
Dette trattative avvennero in tutta segretezza e coinvolsero esponenti politici di assoluta fiducia dei rispettivi leaders, dal momento che era tale l'odio, il rancore, il desiderio di vendetta di buona parte del mondo resistenziale, che la conoscenza di tali incontri avrebbe scatenato una reazione difficilmente controllabile anche da parte dello stesso partito comunista. D'altro canto, il pur malridotto fascismo clandestino, soprattutto i reduci della Rsi, avrebbero considerato ogni contatto con i cosiddetti "traditori della patria" come una abiura ai propri ideali.
Romualdi tace, invece, come del resto hanno taciuto tutti, sia di destra, di sinistra e di centro, su un fatto essenziale: il nocciolo della trattativa riguardava non solo e non tanto l'amnistia, ma la possibilità dei fascisti non più clandestini di poter far politica alla luce del sole; ammettere cioè nella repubblica "antifascista e nata dalla resistenza" la presenza di un partito filo-fascista.
Ne parla in questo senso lo storico monarchico Giovanni Artieri(6) nel volume "Umberto II e la crisi della monarchia". Scrive infatti Artieri: «La monarchia avrebbe legalizzato il movimento neofascista in una fisionomia democratica, permettendone la partecipazione alla vita politica del Regno secondo la regola parlamentare e costituzionale, ma mantenendo intatto il programma di politica interna ed estera di Mussolini».
Lo storico Pietro Neglie(7) in un saggio del 1991, "Il movimento sindacalista (Mo.Si.) tra neofascismo e scissione sindacale", d'altro canto afferma, sempre in riferimento alle trattative per l'amnistia: «I fascisti [...] in questo modo sapevano di accrescere il proprio potere contrattuale con le forze antifasciste, primo passo per un reingresso nella vita politica del paese che, per loro stessa ammissione, pretendevano fosse del tutto legittimo e riconosciuto. Il punto era proprio questo: i fascisti chiedevano di non essere puniti per la propria fedeltà e la propria coerenza e di poter riprendere parte attiva nella vita politica, pure in presenza delle mutate condizioni».
L'unico di sinistra che tratti il problema è Giuseppe Murgia(8) che, nel volume "Il vento del Nord" del 1975, così scrive: «Il Msi nasce con la benedizione del Vaticano e il nulla osta del ministro degli interni, ambedue intenti a creare un deterrente anticomunista e a impedire che molta della base fascista che ha creduto nella socializzazione vada a ingrossare le fila comuniste [...]. Le trattative dei capi fascisti con il ministro degli interni passano attraverso l'ufficio speciale del "Centro antiincendi Ps" e l'ex Generale dei Carabinieri Piéche [...]. Romualdi e Michelini stipulano un patto direttamente con le gerarchie del Vaticano. Sfacciatamente le trattative che porteranno alla costituzione del nuovo movimento vengono iniziate prima della scadenza elettorale di primavera e del referendum».
Diversa è l'opinione dello storico Salvatore Sechi(9) che, in un saggio su "Truman, la politica dei sacrifici e l'apporto militare del Pci" del dicembre 1999, afferma: «Msi... ricostituito col consenso delle sinistre, è un partito con una caratterizzazione inequivocabile. Si tratta del collettore di quanto (idee, rivalse e rancori, dirigenti e seguaci) è sopravvissuto alla Repubblica Sociale».
Romualdi e gli altri ebbero certamente partita vinta quasi subito: il governo infatti, nell'aprile del '46, mentre riemanò il decreto n. 149 sui "comportamenti fascisti", lasciò decadere il decreto 195, che aveva validità per un anno e che proibiva la costituzione di movimenti fascisti. Nello stesso periodo, alla Costituente, Togliatti stranamente si opponeva alla richiesta di La Pira che venissero proibiti i partiti che si rifacessero a programmi "antidemocratici".
A tutt'oggi non sappiamo quale cambiale i fascisti abbiano pagato per potersi costituire in partito, ma possiamo immaginarlo: il riconoscimento dello stato repubblicano, ovviamente il rispetto delle "regole" democratiche e, non ultimo, il divieto di porre in prima linea personaggi di spicco compromessi con il fascismo.
Va anche precisato che la costituzione del Msi fu una operazione assai complessa che non solo vide in campo la quasi totalità delle forze politiche, ma ebbe come protagoniste forze non istituzionali, più o meno occulte, nonché apparati e organizzazioni facenti capo a entità straniere.
E, cosa ancora più eclatante, le basi del futuro Msi furono poste, a partire dalla fine del 1944, a seguito di trattative e contatti tra esponenti della Rsi e del fascismo clandestino con apparati delle forze armate americane, le quali pensavano di poter utilizzare, a guerra finita, i residui del fascismo in funzione anticomunista e antisovietica.
Di tutto questo ci dà un quadro esatto lo storico Giuseppe Parlato(10) nel suo volume "Fascisti senza Mussolini": «Alcuni personaggi del neofascismo riuscirono a costituire il partito a soli venti mesi dalla conclusione della guerra civile: costoro - i Romualdi, i Buttazzoni, i Puccioni [...] - avevano vissuto la fine della tragedia bellica e della sconfitta con una sorta di "carta di riserva" che era costituita dall'anticomunismo. I contatti dei neofascisti con ambienti più o meno rappresentativi dei servizi segreti americani, con ambienti ecclesiastici, con settori massonici, con gruppi monarchici, con i rappresentanti dei servizi israeliani non portarono a una divisione interna del mondo neofascista solo perché su tali contatti calò una spessa coltre di silenzio; se la base avesse saputo con quali ambienti i capi del neofascismo avevano trattato, probabilmente non ci sarebbe stato il Msi [...].
È ovvio che i capi neofascisti che trattarono con gli Americani o con gli Ebrei, o coi massoni o con la Chiesa non lo fecero per interesse personale o, peggio, per tradire la "causa fascista". Il problema del comunismo, in piena guerra fredda, poteva servire - come servì - per spostare il dilemma tra fascismo e antifascismo su quello, meno pericoloso per loro, tra comunismo e anticomunismo. In questo modo, e solo in questo modo, a distanza di venti mesi dalla fine della guerra, si poté costituire un partito che, secondo Alberto Giovannini, non sarebbe mai dovuto nascere
».
La fondazione del Msi ebbe come premessa il coordinamento dei gruppi clandestini che operavano un po' in tutta Italia, molti dei quali anche prima del crollo della Rsi. Detti gruppi, in gran parte, prima della proclamazione della repubblica e della concessione dell'amnistia, oltre a essere clandestini, erano organizzati come formazioni militari o paramilitari, dotate di armi e di esplosivi, anche se le loro attività "terroristiche" erano tanto eclatanti sul piano propagandistico, quanto poco efficaci nel creare serie preoccupazioni all'apparato della sicurezza dello Stato o danno alle organizzazioni antifasciste.
E, pur tuttavia, la loro forza, più apparente che reale, fu decisiva nel far sì che nel mondo antifascista prevalesse la linea dei favorevoli a una sanatoria delle "colpe" dei fascisti e a una "legalizzazione", ovviamente entro certi limiti, della loro attività politica. Ci fu una prima fase organizzativa che ebbe inizio subito dopo l'amnistia, che ovviamente portò allo smantellamento di fatto delle strutture di tipo "militare". Dopo una serie di trattative e di incontri fra i principali gruppi, segnatamente quelli romani, milanesi e campani, si arrivò a una riunione generale che si tenne a Roma ai primi dell'autunno del 1946. Fu una riunione nella quale si appalesarono tutte le perplessità in ordine alla reale portata dell'amnistia e all'opportunità di poter fare politica seguendo una via "legalitaria", stante anche la persistente volontà dell'antifascismo di continuare a perseguitare i "vinti".
(6) Cfr. Giovanni Artieri, "Umberto II e la crisi della monarchia", pag. 522 e segg., ed. Mondadori, Milano 1989.
(7) Cfr. Pietro Neglie, "Il movimento sindacalista (Mo.Si) tra neofascismo e scissione sindacale", pag. 68 e segg. in "Storia Contemporanea", n. 1 del febbraio 1991, ed. Il Mulino, Bologna.
(8) Cfr. Pier Giuseppe Murgia, "Vento del Nord - Storia e cronaca del fascismo dopo la resistenza (1945-1950)", Sugarco Edizioni, Milano 1975.
(9) Cfr. Salvatore Sechi, "Truman, la politica dei sacrifici e l'apparato militare del Pci", pag. 55 in "Nuova Storia Contemporanea", n. 6 di novembre-dicembre 1999, Luni Editrice, Milano.
(10) Cfr. Giuseppe Parlato, "Fascisti senza Mussolini - Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948", pag. 252, ed. Il Mulino, Bologna 2006.
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