EXCALIBUR 150 - febbraio 2023
in questo numero

Gli studi sul fascismo di ieri sono utili anche per l'oggi?

Una serie di interessanti saggi sul fascismo pubblicata nel n. 69 della rivista quadrimestrale di cultura politica di Marco Tarchi

di Angelo Abis
Sommario della rivista 'Trasgressioni'
Sommario della rivista "Trasgressioni"
La rivista di cultura politica diretta da oltre 35 anni dal noto politologo Marco Tarchi, "Trasgressioni", si distingue nel panorama culturale nazionale non solo perché, come del resto indica il titolo stesso, è al di fuori di ogni allineamento ai canoni del culturalmente e politicamente corretto oggi in vigore, non solo in Italia ma anche in gran parte dell'Europa occidentale, ma anche perché, oltre ad avere un taglio accademico e di assoluto rigore scientifico, si avvale di un gran numero di collaboratori di altissimo livello dislocati un po' in tutta Europa e non solo.
Il sommario del n. 69 della rivista ha come titolo "Fascismo internazionale" e raccoglie i saggi di un gruppo di studiosi che tra gli anni '70 e '80 del secolo scorso affrontarono il tema del fascismo non solo in Italia e in Germania, ma anche in tanti altri paesi europei, con metodologie nuove e più penetranti.
Il perché Tarchi dedichi un intero numero della rivista a questo argomento lo dice lui stesso quando, nell'introduzione dal titolo "Gli studi sul fascismo, ieri e oggi" afferma: «Il centesimo anniversario della marcia su Roma ha suscitato un'ondata di attenzione verso il tema del fascismo che non si faceva registrare da decenni [...]. Sulla qualità di frutti di tanto clamore, un giudizio particolareggiato è prematuro.
Nell'insieme, però, non sembra che all'esuberante quantità della produzione culturale abbia corrisposto una qualità equivalente [...], invece di cogliere l'occasione per progredire sul piano della ricerca empirica e della riflessione teorica [...] si è fatto insomma un passo indietro.
Della misura di questo arretramento ci si può rendere conto guardando alle promesse e ai risultati di altre stagioni della discussione storiografica e politologica sul fascismo, in particolare a quei "nuovi pensieri e nuovi approcci" che un nutrito gruppo di studiosi di vari paesi propose tra la fine degli anni sessanta e la metà degli anni ottanta del secolo scorso [...]. Ritornare a quelle fonti e riscoprirne è un compito a cui una rivista come Trasgressioni, fedele al suo titolo, non poteva sottrarsi
».
Non c'è dubbio, quindi, che gli autori riportati alla ribalta da Tarchi siano di grande aiuto per una retta comprensione del fascismo e per mandare al macero buona parte di quella produzione pseudostorica che ci ha sommersi in occasione del centenario della marcia su Roma. Ma c'è qualcosa di più.
A leggere con attenzione i testi si scopre anche che criteri di valutazione, riferimenti culturali, analisi di tipo sociologico, ci permettono anche di comprendere meglio il perché del sorgere e dell'affermarsi in particolare in America prima, e in Europa poi, dei cosiddetti partiti sovranisti-conservatori, a partire dall'elezione di Trump negli Usa e per finire alla Meloni in Italia. Affermazioni non avvenute a caso, ma che poggiano su una valutazione completamente diversa dei popoli di riferimento.
Da parte liberale il popolo non è altro che la sommatoria degli interessi e delle aspirazioni dei singoli individui, che agiscono razionalmente, di cui democraticamente si deve tener conto, salvo poi parlare di populismo, ovviamente antidemocratico, quando dette aspirazioni vanno a cozzare contro gli interessi politici ed economici dei gruppi dirigenti liberal-democratici. Da parte della sinistra post crollo dell'Unione Sovietica, sono popolo le minoranze "sfruttate" o emarginate: i poveri, i precari, gli immigrati, i negri, gli omosessuali, ecc., a prescindere dagli interessi della totalità della popolazione.
Per comprendere perché, invece, spesso e volentieri, il popolo si rivolga a leader conservatori, tradendo le aspettative dei liberali e delle sinistre, basta leggere il saggio dell'Ebreo-Tedesco George Mosse, "La genesi del fascismo". Scrive infatti Mosse: «Un movimento politico deve essere basato sugli istinti degli uomini e questi istinti vanno imbrigliati per servire al capo. Il mito di Sorel era l'evidente razionalizzazione dei più oscuri istinti del gruppo. Secondo Le Bon (l'autore della "Psicologia della folla") la politica si doveva basare sull'uomo-massa e il suo fondo irrazionale [...]. Il fascismo si impadronì della piattaforma che Sorel e Le Bon avevano preparato [...]. Gustave Le Bon credeva che il conservatorismo delle masse fosse tenacemente radicato nelle opinioni tradizionali. Perciò si doveva fare appello a questo irrazionale conservatorismo e combinarlo con l'influenza "magica" della suggestione di massa esercitata da un capo [...]. Il conservatorismo delle masse rinacque nel fascismo stesso sotto forma di attaccamento istintivo alle tradizioni nazionali e alla restaurazione dei legami personali, come la famiglia, che nella società moderna sembravano distrutti».
Se andiamo poi a studiare le figure dei leader sovranisti-conservatori vediamo che essi puntano tutto sulle virtù e sulle capacità palingenetiche del proprio popolo, contrapponendolo spesso ad altre popolazioni, puntando a suscitare un orgoglio sopito e a far riemergere tutte quelle doti e quelle capacità che, secondo loro, le élites di sinistra, ma anche della destra classica, tendono invece a smorzare e a imbrigliare.
Se andiamo a fare dei paragoni con i capi del fascismo, vi sono alcune somiglianze. In proposito Mosse scrive: «Hitler, per esempio, credeva che i movimenti di massa fossero necessari perché rendevano l'uomo capace di uscire fuori dal suo posto di lavoro, dove si sentiva una piccola unità, per immergersi in una folla di "migliaia e migliaia di persone che avevano le sue stesse idee". Allo stesso modo in Italia un nazionalismo fondato su basi storiche doveva portare come risultato il "consenso nazionale"».
Ma, come per i leader dei conservatori è necessario riuscire in qualche modo a risvegliare le masse, sì da suscitare in esse entusiasmo e passione per le nuove idee, alla stessa stregua per i capi fascisti la mobilitazione delle masse fu la conditio sine qua non per la conquista del potere.
Ancora Mosse afferma: «Le varie forme di fascismo europeo diedero l'impressione che il movimento fosse dinamico, una continua estasi nietzschiana. Ma in realtà limiti ben determinati erano fissati all'attivismo dalla retorica, nazionalista, e dal desiderio di ristabilire la morale tradizionale».
Tutto questo i partiti fascisti l'ottennero, dopo aver conquistato il potere, "militarizzando" le masse e inserendole in strutture di tipo autoritario. Lusso che gli attuali leader o aspiranti tali, conservatori o sovranisti, non possono permettersi. La loro ascesa può avvenire solo su un consenso sancito dalle regole della democrazia, deve essere del tutto pacifico, non può mettere in crisi la forma politica dello stato anzi deve in qualche modo rafforzarla.
E la loro ascesa deve mettere in conto anche la sconfitta e l'alternanza con altre forze politiche, cosa inimmaginabile per i partiti fascisti del secolo scorso.
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