EXCALIBUR 150 - febbraio 2023
in questo numero

Il ballo della memoria

Riti e cerimonie del nostro tempo immobile

di Angelo Marongiu
un idilliaco disegno di Auschwitz-Birkenau
il giorno della liberazione ad Auschwitz-Birkenau
Sopra: un idilliaco disegno di Auschwitz-Birkenau e il giorno della
liberazione ad Auschwitz-Birkenau
Sotto: Gerusalemme, Yad Vashem, "Memoriale dei bambini" - ogni
luce, un bambino
Gerusalemme, Yad Vashem, 'Memoriale dei bambini' - ogni luce, un bambino
«La memoria della maggior parte degli uomini è un cimitero abbandonato dove giacciono senza onori i morti che essi hanno cessato di amare».
Non ritrovavo più questa frase di Marguerite Yourcenar dalle sue "Memorie di Adriano" (era a pagina 198 della mia edizione dell'opera): era una frase che mi vorticava in testa nei giorni della celebrazione della Giornata della Memoria.
Anche quest'anno è stata ricordata a fine gennaio con il solito rituale di compunte dichiarazioni.
Mattarella - un discorso comunque coraggioso per lo stretto collegamento con l'attuale situazione in Europa - che parla con «l'animo colmo di angoscia e riprovazione», ricorda la «mostruosità del sistema di sterminio di massa» e sottolinea - stigmatizzando l'uso dei social - «il negazionismo, che del razzismo è la forma più subdola e insidiosa».
La Meloni afferma che «la Shoah fu l'abisso dell'umanità» e dopo l'infamia delle leggi razziali, oggi «l'Italia rende omaggio alle vittime e si stringe ai loro cari».
La Russa: «Tutti abbiamo il dovere di non dimenticare» e si augura che «una ricorrenza così importante possa entrare nella quotidianità».
Fontana: «Non dimenticare gli orrori del nazi-fascismo».
Per l'Italia mi fermo a queste dichiarazioni, perché naturalmente ogni cosiddetta personalità politica si è sentita in obbligo di fare il suo doveroso pronunciamento.
Me li immagino davanti alla tastiera, con la faccia compunta e le labbra serrate che scrivono o dettano la loro bella frase di circostanza. Tra qualche giorno ricominceranno con un'altra celebrazione.
Quest'anno Mattarella, Meloni, La Russa e Fontana: lo scorso anno Mattarella, Draghi, Alberti Casellati, Fico.
Le frasi saranno state diverse, ma non manca certo loro l'esperienza di celebrazioni con il cuore in mano.
Anche altri in Europa hanno fatto il loro bel compitino.
Il cancelliere tedesco Scholz ha ricordato la responsabilità storica dei Tedeschi: dichiarazione ormai costante negli anni da parte dei vari cancellieri che si sono succeduti. Nessun cenno al fatto che la Germania è il secondo paese in Europa per episodi di antisemitismo e insegue il triste primato della Francia.
Il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel afferma che «non c'è posto per l'antisemitismo nella nostra società».
La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen - e la sua dichiarazione mi sembra la più intelligente in mezzo a tutte queste vuote frasi di circostanza - sottolinea che «il ricordo non è un obiettivo in sé [...], combattiamo l'antisemitismo che oggi è in aumento».
Non manca naturalmente Papa Francesco che - da buon gesuita - afferma che non può essere dimenticato né negato «il ricordo dello sterminio di milioni di persone ebree e di altre fedi».
A parte la scarsa logica della frase (cosa significa che un ricordo non può essere né dimenticato né negato), ha fatto in modo che ai milioni di Ebrei si accomunassero migliaia di vittime di altre fedi, come se lasciare la ribalta (chiamiamola così) ai soli Ebrei fosse disdicevole.
Pura melassa e ripensiamo alla frase della Yourcenar sulla memoria, soprattutto quando questa viene elargita a comando.
Quella giornata è stata celebrata con le solite paginate dei giornali sull'Olocausto, il consiglio per la lettura di edificanti libri sull'argomento e la riproposizione di film che ogni anno vengono mandati in onda in queste circostanze e poi rimessi nel cassetto buoni anche per il prossimo anno.
Tutto con un tono morbido, felpato: è bene ricordare, ma insomma, senza disturbare troppo la sensibilità delle persone che hanno già i loro guai, ai quali si è aggiunto il dilaniante tormento se invitare o no Zelensky a Sanremo.
Certamente questi appelli alla memoria sono giusti, ma dopo un anno di siccità un minuto di pioggia non serve a nulla.
Nessuno ha il coraggio di ricordare che un intero popolo, dagli ufficiali alla gran parte dei cittadini tedeschi sapevano e hanno collaborato a uccidere sei milioni di Ebrei ("I volenterosi carnefici di Hitler" di Daniel Jonah Goldhagen).
Tra quei sei milioni di Ebrei c'erano unmilioneemezzo di bambini.
Ci sono dei filmati che nessuna Rai o altre emittenti ha il coraggio di mandare in onda; filmati nei quali - i Tedeschi sono veramente coscienziosi e hanno registrato e filmato tutto il possibile - si vedono bambini con la faccia consumata dalla fame, il corpo ricoperto di croste e bolle, con gli occhi enormi senza più domande, volti rugosi da vecchio, miseri, sofferenti. Bambini inseguiti dai cani lupo, braccati, infilzati con le baionette, sbattuti contro il muro per spaccare loro il cranio.
Con i baldi e biondi (stereotipo) soldati che ridono davanti all'obiettivo.
Ci sono poi episodi che per la loro semplicità rimangono impressi indelebilmente. Uno degli episodi più rappresentativi della spietatezza e dell'efficienza tedesca è quello dei bambini di Belaja Cerkov.
Nell'agosto 1941 arrivò in città un reparto al comando del Tenente delle SS August Hafner. Furono fucilati subito tutti gli Ebrei della cittadina (800-900 persone). Rimase un gruppo di bambini (circa 90) al di sotto dei cinque anni dei quali non si sapeva che fare.
Scattò la richiesta di disposizioni che salì la scala gerarchica fino ad arrivare al Generale Walther von Reichenau, comandante della 6ª armata tedesca. L'ordine fu di ucciderli.
Hafner, al suo processo, raccontò: «I soldati avevano già scavato una fossa. I bambini furono portati lì con un camion del plotone [...], i bambini furono tirati giù dal camion, piazzati sulla fossa e fucilati, in modo che cadevano a terra proprio dove venivano colpiti, ammesso che venissero colpiti davvero. Cadevano dentro la fossa. Le urla erano indescrivibili [...]. In particolare mi è rimasta impressa una bimbetta bionda che mi prese per mano. Poi hanno fucilato anche lei».
Hafner, lo ricordiamo, era il responsabile dell'eccidio.
Questo brano è riportato da "Aggressore e vittima. Per una storia integrata dell'Olocausto" di Saul Friedlander (pagg. 43-58).
Unmilioneemezzo di bambini e Sua Santità parla di martiri di altre fedi?
Cambiamo argomento, ma solo un poco.
Henryk Mikolaj Górecki è un compositore di musica classica, nato in Polonia nel 1933.
L'ho scoperto per caso, tanti anni fa, in un canale tv dedicato alla sola musica classica. La sua opera più nota - un successo inatteso e a tratti inspiegabile - è la "Sinfonia n. 3 per soprano e orchestra" (opus 36 del 1976).
È diventata famosa nel 1992 dopo una registrazione della London Sinfonietta diretta da David Zinman e con la voce solista di Dawn Upshaw (è l'edizione disponibile sul sito di Spotify).
È detta anche "Sinfonia delle lamentazioni" o, come io preferisco, "Sinfonia dei canti dolorosi", composta di tre movimenti: il canto del primo movimento (lento - sostenuto tranquillo ma cantabile) è un compianto della Vergine sul Cristo Morente, una sorta di Stabat Mater, risalente al XV secolo, conosciuto come "Il lamento della Croce Santa"; il secondo movimento (lento e largo - tranquillissimo) utilizza una iscrizione lasciata sulla parete di una cella della Gestapo da una prigioniera diciottenne, Wanda Blazusiakòwna, a Zakopane; il terzo movimento (lento - cantabile semplice) riprende un canto popolare tradizionale polacco: sono le parole di una madre per il figlio, forse disperso o forse morto in guerra.
È una sinfonia con una musica lenta e contemplativa, con il primo lunghissimo movimento (28 minuti) che prende la forma di un canone per archi.
Sono in tutto 55 minuti struggenti e quando li ho sentiti per la prima volta erano accompagnati da filmati.
Insieme a quella musica scorrevano immagini sconvolgenti: la guerra con le sue atrocità, distruzione, orrori. Poi il continuo olocausto dei paesi africani con bambini obesi dai volti minuscoli pieni solo di occhi disperati alla ricerca di cibo o di amore; e poi i bulldozer tedeschi che scavavano nelle fosse comuni piene di cadaveri per poi bruciarli e non lasciar traccia delle loro eroiche gesta e poi ancora gli uomini in divisa che gettavano i bambini ancora vivi nei roghi o li seppellivano, vivi e morti, in altre fosse insieme ai cadaveri degli adulti e li ricoprivano di calce.
Immagini sconvolgenti che nessuna televisione pubblica o privata oggi manderebbe in onda per non turbare la digestione degli spettatori. Se lo facessero, ecco questo sarebbe un istruttivo Giorno della Memoria, non la solita inutile recita di tutti gli anni.
La sinfonia di Góreki è un'opera dal carattere lento e meditativo, affidata quasi esclusivamente agli archi; una lunga trenodia resa compatta dalla musica e dal canto che collega le tre parti rendendole un unico dolore, rievocando la catena di orrori e di violenza che costellano il passato e il presente della nostra umanità.
Góreki visitò il campo di concentramento di Auschwitz quando aveva dodici anni, nel 1945: «I viottoli erano fatti di ossa umane buttate lì, come ciottoli. Noi ragazzi ci chiedevamo come fare a camminarci su. Quella non era sabbia, non era terra... camminavamo su altri esseri umani».
Le lamentazioni delle tre donne parlano del dolore di fronte alla spietata violenza esercitata dagli esseri umani su altri esseri umani.
Riflettiamoci un po' su.
Quelle che ci rifilano le nostre istituzioni e i personaggi che governano le nostre esistenze, sono versioni edulcorate di una tragedia ben più grande delle vuote frasi di circostanza. Questa non è memoria, è brodaglia riscaldata che - cambiando qualche termine - sarà utilizzata anche in altre occasioni.
Sono passati tanti anni dal quel gennaio 1945 ma la realtà attuale non è molto diversa.
«Il regime di Gerusalemme deve essere cancellato dalla faccia della terra»; «Distruggete il regime sionista»; «Mondare il mondo dalla ferita dello stato di Israele»; «Occorre un'altra soluzione finale».
Parole non della prima metà del secolo scorso, ma pronunciate in questi anni da capi e padri fondatori dell'Iran e che ancora oggi risuonano in continuazione. Il termine "soluzione finale" è stato evocato da Alì Khamenei, attuale Guida Suprema dell'Iran.
All'Iran si accodano ossequiosi Hamas, Hezbollah, Abu Mazen, ai quali Onu, Unione Europea e istituzioni varie continuano a mandare miliardi di dollari e di euro senza mai chieder conto del loro utilizzo e ignorando volutamente che chi uccide o tenta di uccidere un Ebreo riceve da loro centinaia di dollari ogni mese.
Al-Fatah, organizzazione politica e paramilitare palestinese, si è vantata di aver effettuato (nel solo 2022) 7.200 azioni contro Israele, 76 delle quali con armi da fuoco in un solo mese e circa 30 morti.
Intanto coraggiosi della nostra amata Italia (17 uomini e 3 donne di varia estrazione sociale) sono stati denunciati per aver insultato e minacciato la senatrice Liliana Segre, 93 anni, Ebrea e quindi soggetto notoriamente pericoloso per il mondo.
All'esterno dello stadio Bernabeu, dove si giocava il derby calcistico madrileno Real-Atletico è stato esposto uno striscione con la scritta "Anna Frank è dell'Atletico". Quando si vuole insultare qualcuno ancora oggi dargli dell'Ebreo è una sicurezza.
In una intervista Elie Wiesel disse: «Ci avesse detto qualcuno quando fummo liberati che saremmo di nuovo stati obbligati a combattere l'antisemitismo, non avremmo avuto la forza di alzare gli occhi dalle rovine. Pensammo che se solo avessimo raccontato, il mondo sarebbe cambiato. Bene, l'abbiamo fatto e il mondo è rimasto lo stesso».
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