EXCALIBUR 150 - febbraio 2023
in questo numero

I cattivi maestri

Crescita, decrescita e libertà di uno strumento troppo sottovalutato

di Lancillotto
<b>Karl Raimund Popper</b> (Vienna 1902 - Kenley, Londra 1994)
cervelli come spugne
Sopra: Karl Raimund Popper (Vienna 1902 - Kenley, Londra
1994) e cervelli come spugne
Sotto: l'invito di un anonimo seguace di Popper
l'invito di un anonimo seguace di Popper
Anche quest'altro rito della nostra amata Italia è stato celebrato e ora attendiamo la sua resurrezione il prossimo anno.
Il Festival di Sanremo - così come tutti gli anni - non sarà certo ricordato per le sue canzoni, anche se questa dovrebbe essere la sua "missione": non c'è niente di nuovo rispetto alle precedenti edizioni, se non la constatazione che l'asticella del becerume e del pessimo gusto si è sollevata ancora di più.
Basta chiedere a chi lo ha guardato o scorrere quel che hanno scritto i giornali e tutto ciò che si ricordano sono il solito turpiloquio, i baci omosex o lesbian o simili, l'esibizione di qualcuno che, emulando Jimi Hendrix che sfasciava la sua chitarra, si è ridotto a sfasciare composizioni floreali.
Il tutto precedentemente programmato fin nei minimi particolari alla faccia della presunta spontaneità.
Sul palco il solito comico che ha trovato il suo filone d'oro inneggiando alla nostra Costituzione (stavolta l'articolo 21) e in platea il sorriso del nostro Presidente della Repubblica. Sorprendentemente.
Quando al governo c'era la sinistra il bersaglio satirico (chiamiamolo pure così) era la destra e ora che al governo c'è la destra il bersaglio è rimasto con totale monotonia lo stesso. La fantasia difetta in una certa stirpe di personaggi.
Nell'occhio del ciclone è finito Carlo Fuortes, l'amministratore delegato della Rai, comunque in scadenza di mandato, mentre il "direttore artistico" del Festival, nonché conduttore dello spettacolo, assicura di dormire sonni tranquilli perché il suo obiettivo è stato raggiunto.
Quale? La valenza culturale del prodotto o la qualità delle canzoni e dei testi o la presentabilità dei personaggi avvicendati sul palco? No, il suo obiettivo era l'aumento dell'audience.
"Audience": parola magica.
Sono andato a ripescare un esile libro di diversi anni fa nel quale era riportata la seguente riflessione: «Dobbiamo fermare questo meccanismo prima che sia troppo tardi.
Parlate come se fosse la televisione della vostra infanzia e gioventù. Invece è tutt'altra cosa. Se non si agisce, infatti, essa tende inesorabilmente a peggiorare per una legge interna, quella dell'audience
».
Chi scriveva queste cose - e sono trascorsi più di 25 anni - era Karl Popper nel brevissimo saggio "Cattiva maestra televisione", che raccoglieva anche testi di altri autori sull'argomento (Giancarlo Bosetti, John Condry, Karol Wojtila, Raimondo Cubeddu e Jean Baudouin).
Il pezzo di Popper aveva come titolo "Una patente per fare tv", provocatorio oltre ogni dire ma originato dalla sua convinzione che preparare programmi televisivi o studiare i palinsesti era una enorme responsabilità da non lasciare sulle spalle di personaggi ignoranti, che non si rendevano conto di quale potente arma avessero tra le mani.
Occorreva una "patente" e un albo degli operatori televisivi, alla stregua dei medici.
La sua preoccupazione era soprattutto indirizzata a proteggere i bambini dall'ondata di violenza che il mezzo televisivo sforna ogni giorno.
Ci torneremo più avanti.
Giovanni Sartori, politologo e sociologo morto nel 2017, uno dei massimi esperti in scienza politica, pubblicò nel 1999 un libro dal titolo "Homo videns", un saggio polemico che rivendicava la complessità della parola a fronte della banalità dell'immagine, della conoscenza a fronte della mera informazione.
Egli sosteneva che la televisione modifica radicalmente l'apparato cognitivo dell'homo sapiens. Le immagini trasmesse dalla televisione - gli smartphone non esistevano ancora - trasformano un essere prodotto dalla cultura scritta in un essere nel quale la parola viene estromessa dalle immagini: da "homo sapiens" a "homo videns".
Tutto diventa visualizzato.
Se pensiamo alla comunicazione intesa come «insieme di informazioni tra due o più persone attraverso il linguaggio parlato e attraverso i segnali non verbali che vengono ricevuti mediante il canale visivo», ci rendiamo conto che - nel contesto delineato da Sartori e come lui da tanti altri sociologi - manca l'elemento principale: lo scambio.
La comunicazione intesa come reciproco arricchimento viene meno in mancanza di uno "scambio": è monodirezionale e questo fatto esemplifica l'estrema delicatezza necessaria all'uso di tali strumenti.
Analizzando l'evoluzione storica della comunicazione osserviamo che dal primo uso della parola (circa 35-40 mila anni fa) il passare del tempo porta a una diversificazione che contribuisce al progresso umano.
La comparsa della scrittura (dalle pitture rupestri, immagini pittoriche, iscrizioni, geroglifici, caratteri cuneiformi fino alla scrittura alfabetica) apporta ulteriori grandi cambiamenti nel mondo.
La trasmissione orale - limitata nello spazio e nel numero di soggetti - viene sostituita e diventa potenzialmente illimitata.
La stampa di un libro con caratteri mobili in luogo di manoscritti apre un'altra fase storica della comunicazione e la conoscenza non resta più patrimonio di una ristretta élite culturale.
Si arriva al primo giornale a diffusione popolare ("New York Sun", 1833), che può essere considerato il primo media di massa. Da notare, curiosamente, che gli inserzionisti pubblicitari diventano i maggiori finanziatori di questo tipo di giornale.
Poi arrivano i grandi media di massa: il cinema, la radio, la televisione.
Se analizziamo un attimo questa "scaletta": libri, giornali, cinema, radio, televisione, osserviamo due fenomeni importanti.
I libri e i giornali, cioè la forma di comunicazione scritta, hanno allargato la platea dei destinatari abbattendo notevoli barriere culturali, ma l'avvento della radio e della televisione ha scardinato prepotentemente tutti i limiti geografici e ha contribuito ulteriormente a superare le barriere di istruzione, cultura, classe e alfabetizzazione.
Non esistono più distanze e frontiere nazionali. Siamo in presenza di un «nuovo ordine di instabilità» nella produzione della soggettività moderna (Arjun Appadurai, antropologo statunitense nato a Bombay, in "Modernità in polvere").
Ma - il secondo punto - questa evoluzione dal libro alla televisione ha portato con sé un altro cambiamento, esiziale secondo Sartori: siamo tornati alle immagini, relegando la parola in sottofondo.
Linneo, il naturalista svedese fondatore della moderna sistematica, classificava nel suo "Sistema della Natura" del 1798, l'homo sapiens come soggetto unico per la sua capacità simbolica (lingua, arte, mito, religione). Insieme al linguaggio concettuale c'è il sentimento, il linguaggio logico e scientifico, il linguaggio dell'immaginazione.
Esso non è solo uno strumento di comunicazione, ma soprattutto è uno strumento del pensiero.
E per pensare non è necessario vedere.
Lo sviluppo della civiltà è stato reso possibile dalla parola e dalla scrittura, fondamentale veicolo per lo scambio della conoscenza.
Ecco perché la trasmutazione concettuale da homo sapiens a homo videns ha spaventato Sartori: la capacità simbolica insita nella parola distanzia l'homo sapiens dall'animale; il vedere - il solo vedere - lo riporta alle sue capacità ancestrali.
Se l'uomo ha avuto la capacità di ingrandire le cose infinitamente piccole o vedere le cose infinitamente lontane, la televisione ci consente di vedere tutto senza alcuno sforzo, senza il motore dell'immaginazione e l'anelito della ricerca.
E il passaggio successivo, computer o smartphone o apparati simili, ha creato un nuovo mondo interiore, il mondo virtuale, una irrealtà creata sul video e che è reale solo all'interno di esso.
Si sta creando una nuova specie di essere umano. E torniamo a Popper.
Bambini che guardano per ore uno schermo o un video prima ancora di saper leggere e scrivere; bambini-spugna che assorbono senza filtro tutto ciò che vedono, che crescono con stimoli esclusivamente audiovisivi e che maturano con una precostituita atrofia e povertà culturale.
«I bambini vanno in giro per il mondo già prima che abbiano il permesso di attraversare la strada» (Roger Silverstone, "Televisione e vita quotidiana"). Quella dei bambini era l'ossessione degli ultimi anni di vita di Popper.
Nella sua Vienna, in collaborazione con Alfred Adler e la sua "Società di Psicologia Individuale", si occupò di bambini difficili, vittime spesso di violenza nell'ambito familiare: conosceva quindi benissimo la fragilità di quella particolare fase della vita.
I bambini, nella loro evoluzione mentale, sono in misura considerevole dipendenti dal loro ambiente e l'educazione ha lo scopo di indirizzare la loro percezione della realtà nel modo giudicato migliore per il bambino. È questo il compito, insostituibile, dell'educatore.
La tv e gli altri oggetti tecnologici messi a disposizione del bambino sono ormai parte preponderante del loro ambiente di crescita e contribuiscono a dismisura alla determinazione dei loro atteggiamenti, comportamenti, credenze, valori.
La tv esercita un grande potere e sottrae loro tempo, socialità, capacità e gusto per la lettura e li immerge in un mondo dove tutto - relazioni, oggetti, sesso, violenza - è pura finzione.
La tesi centrale del ragionamento di Popper recita infatti: «I bambini passano una parte considerevole del loro tempo davanti al video. Per loro è una parte importante della realtà. La televisione permette oggi di diffondere la violenza e di fare della violenza una componente essenziale dei bambini. Essa li educa e quindi li precipita nella violenza».
Popper, insieme a Berlin, Aron, Hayeck, è uno dei pochi liberali del secolo scorso; eppure afferma che «una democrazia non può esistere se non mette sotto controllo la televisione o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà pienamente scoperto».
Sembra paradossale detto da un liberale, ma Popper vedeva nella televisione un enorme potere che, nell'ottica liberale, deve essere controllato e limitato al solo fine di difendere la massima libertà possibile di tutti i cittadini.
Del resto, alla domanda «cos'è la civiltà?» Popper rispondeva «è la lotta contro la violenza».
Ma ormai le nuove tecnologie hanno divelto qualunque possibile argine e nessuna difesa è diventata ormai possibile. L'etere e i suoi segnali non hanno più alcuna barriera possibile.
E noi adulti?
Il Festival di Sanremo - nelle sue voci attive - ha oltre 50 milioni di euro incassati per la pubblicità. Ecco il grimaldello che scardina ogni limite.
Nel film "L'esercito delle 12 scimmie" di Terry Gillian (uno dei Monty Python), il protagonista afferma: «Cosa ci stiamo a fare? Viviamo solo per consumare: se non compriamo un frullatore o una macchina nuova o un biscottino, noi non siamo niente».
Da notare che nel film si cerca di inviare un uomo nel passato al fine di modificare alcune scelte tecnologiche che porteranno il mondo alla quasi completa estinzione.
Ma... il consumo innanzi a tutto.
I professionisti della tv si pongono come scopo quello di "essere realisti", "essere avvincenti", "interessare", "eccitare", perché inchiodare lo spettatore davanti allo schermo consente di "vendere di più".
Il modello proposto da Sanremo va purtroppo in questa direzione.
La spalla del conduttore è stata una ben nota influencer, che, credo, sia una persona che influenza altre persone a fare qualcosa.
Nel dubbio sulla corretta definizione, mi approprio di quella di Vittorio Sgarbi: «L'influencer è un pirla sfaticato che lucra su dei pirla danarosi incapaci di scegliersi da soli un paio di scarpe da pirla».
Poiché ormai viviamo in un mondo nel quale è l'offerta a creare la domanda, balza evidente il ruolo fondamentale che assumono tutti quei mezzi in grado di creare, artificialmente o meno, bisogni da soddisfare. Le pecore sono in numero infinito.
Sempre il citato Appadurai parla di "feticismo del consumatore", trasformato da apparente autore delle sue scelte a selezionatore di prodotti, vittima di una nuova relazione: desiderare, ricordare, comprare ed essere.
Diventa normale che allora si scateni questa frenetica rincorsa all'audience, a basso costo se possibile: competizione intrinsecamente e fatalmente destinata a peggiorare la qualità dei programmi nel tempo, sempre più incline alla violenza, al sessuale e al sensazionale e, come a Sanremo, con le sue finte trasgressioni.
La perdita da parte di chi guarda passivamente la tv di ogni attitudine critica razionale ha creato i cultori dello zapping come forma più alta della cultura o come nuova dimensione antropologica.
Forse l'unico modo di difendersi è quello di accogliere l'invito che un anonimo seguace di Popper si è divertito a scrivere a caratteri cubitali - anni fa - nella parete posteriore dell'ex Mercato comunale di Via Pola.
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