EXCALIBUR 59 - aprile 2010
nello Speciale...

Un dopoguerra tormentato

Cartolina postale commemorativa del Magg. Mario Rizzati
Al suo rientro in Sardegna si presentò al Distretto militare di Sassari col risultato di essere immediatamente arrestato, anche se poi scarcerato dopo pochi giorni, con una serie di imputazioni gravissime: a) rivolta, b) diserzione previo accordo in tempo di guerra, c) insubordinazione con violenza attuata mediante omicidio (uccisione del Tenente Colonnello Alberto Bechi) aggravato verso superiore ufficiale in tempo di guerra, d) violenza contro inferiore mediante tentato omicidio.
Da tutte queste accuse, Faedda venne assolto, in via definitiva, dal tribunale militare di Napoli solo nel 1955. Come non bastasse, nel dicembre del '46, mentre si trovava a Carbonia, subì un nuovo arresto con relativa detenzione presso il carcere mandamentale di Carbonia prima, e successivamente a Sassari e Roma a Regina Coeli. Nuova accusa da parte del Pubblico Ministero della Corte d'assise di Roma: «di aver costituito e presieduto un tribunale di guerra in Palidoro (Roma) nel novembre del 1943, che cagionò la morte del partigiano Fogà» e quindi le conseguenti imputazioni di "collaborazione agli ordini del Tedesco invasore", e di omicidio.
Sulla morte di questo "partigiano", insignito nel dopo guerra della medaglia d'oro e onorato da una lapide in quel di Roma, solo per comprendere in quale situazione tragica si trovassero a vivere gli Italiani in quegli anni, riportiamo brani di una lettera indirizzata dal Maggiore Rizzati al proprio colonnello in data 19/11/1943: «Questo battaglione "Nembo" e io personalmente, nei confronti del ladro, falsario e disertore, pseudo sergente e pseudo paracadutista, Fagà Francesco, abbiamo già fatto quanto era compatibile con l'onore delle armi, perché il Fagà è morto da coraggioso. Sento dire che la madre è in continuo lavoro per ottenere il riconoscimento di presenza alle Bandiere, cioè per incassare del danaro. A parte il fatto che la morte coraggiosa del Fagà mi ha empito di soddisfazione, perché l'ufficiale tedesco di collegamento ha potuto vedere che gli Italiani - anche se marioli - sanno morire con dignità, questa insistenza della madre urta, in quanto non è l'onore, già completamente riconosciuto in gioco, ma è il gioco del denaro. Quando il figlio si è arruolato al nostro ufficio arruolamento in Roma, la madre è corsa a dire che il suo Francesco era matto. "Tutti noi siamo matti" le fu risposto sorridendo dal Sottoten. Bagnoli [...]. Nelle tre settimane che il figlio è stato nel battaglione, qui a Palidoro, la madre sapeva che egli aveva truffato il grado, e quindi la paga di sergente [...]. Il piano del pseudo sergente era poi di farsi estromettere dal battaglione, con un documento qualsiasi, ma ove fosse saputo "sergente". Con tale documento egli intendeva presentarsi a chiedere di essere accolto come Allievo Ufficiale della Milizia».
Superfluo aggiungere che Faedda fu assolto anche da questa accusa, primo perché, se era pur vero che aveva fatto parte di quel tribunale militare, aveva avuto il ruolo di difensore del Fagà, tant'è che, per salvarlo, propose che venisse sottoposto a visita psichiatrica, poi perché, in quanto malato, non era neppure presente al verdetto e alla fucilazione. Imputazioni o non imputazioni, siamo altresì in grado di affermare che, per tutto il periodo della R.S.I., Faedda, senza mai venir meno ai suoi doveri di soldato, si comportò in maniera ineccepibile nei confronti dei "nemici" italiani, ancor più se Sardi, e nei confronti della popolazione civile in genere.
Ecco alcune testimonianze portate in tribunale a difesa dell'operato di Faedda: «Il sottoscritto Angelo Tessuti (di Vincenzo e Angela Solinas) nato a Bonorva l'8/2/1914 dichiara in fede, che trovandosi alla data dell'8 settembre 1943 in Roma in qualità di carabiniere, non avendo aderito alla cosiddetta repubblica sociale fascista e correndo il pericolo di essere deportato dai Tedeschi, mi diedi alla macchia e mi aggregai alla banda del generale Caruso, gruppo Capitano dei carabinieri Blundu, squadra del maresciallo dei carabinieri Unali Giovanni. Il 15 aprile 1944 [...] fui ricoverato d'urgenza [...] all'ospedale Fate Bene Fratelli, e qui operato di ulcera duodenale. Posso pertanto attestare [...] che, dopo essere stato dimesso, vivevo nascosto. Il Tenente Faedda Leonardo, informato della mia situazione, più volte mi soccorse con sussidi finanziari che andarono non solo a vantaggio mio, ma anche di altri partigiani che si trovavano degenti al medesimo ospedale ...».
E ancora: «Il sottoscritto Morittu Paolo, Maresciallo Maggiore dei carabinieri, già comandante della stazione di Maccarese fino all'8 settembre del 1943, [...] dichiara quanto segue: in seguito alla cattura dei carabinieri della Capitale da parte dei Tedeschi avvenuta il mattino del 7 ottobre 1943, tutti i militari presenti alla stazione di Maccarese, si diedero alla macchia, portando seco l'armamento [...]. In quell'epoca, in Maccarese, prestava servizio quale Tenente dei paracadutisti Faedda Leonardo, il quale, pur avendo aderito al governo di allora, si preoccupava di farmi conoscere che ero attivamente ricercato dalla polizia e che se avessi avuto bisogno di denaro o di qualche altra cosa era disposto ad aiutarmi. Mi consta anche che il tenente Faedda, durante la sua presenza in Maccarese, si prodigò nel favorire non solo i militari sbandati di tutte le armi, ma principalmente quella popolazione; non prendendo nemmeno parte ai rastrellamenti, tanto che ancora oggi è ricordato spesso nella zona per il suo comportamento umano».
Ecco ancora la deposizione del medico condotto del comune Piemontese di Borgone di Susa del dicembre 45: «Il sottoscritto è in grado di testimoniare che il suddetto capitano Faedda si è sempre adoperato per alleviare le disagiate e tormentate condizioni della popolazione, e non è a conoscenza che abbia commesso atti di crudeltà [...]. Il sottoscritto in detto periodo era in stretta relazione coi partigiani della 42a Brigata Garibaldi, assistendo i feriti e malati [...]. Il Capitano Faedda, pure essendo a conoscenza di molti particolari, ha sempre dimostrato comprensione, mai sottoponendolo a interrogatori pericolosi, anzi giudicando la sua opera con benevolenza, spiacente solo che la sua divisa gl'imponesse di combattere gente del suo paese».
Le innumerevoli testimonianze, tuttavia, non evitarono a Faedda una ulteriore incriminazione, questa volta da parte del tribunale militare di Cagliari, di essersi indebitamente impossessato della somma di ? 4.000 in dotazione alla sua compagnia successivamente all'8 settembre 43. È inutile dire che anche quest'ultima ridicola accusa finì nel nulla. Intanto Faedda proseguì il suo lavoro transitando dall'Erlas alla Regione Autonoma della Sardegna fino al conseguimento della pensione. Si spense a Cagliari nel luglio del 1983 portando nella tomba l'amarezza, col mancato reintegro nell'esercito, di non vedere riconosciuto, per il periodo della R.S.I., il suo onore di soldato.
È per questo che qui e in altra sede, in qualità di storico della Sardegna, voglio ricordare la figura del Capitano Leonardo Faedda. Perché non sono certo i giudici di un tribunale o i burocrati dello Stato che possono sentenziare sull'onore e sul valore di un soldato in guerra. Al di sopra di essi vi è il tribunale della storia che non è fazioso né partigiano né prevenuto, che ti giudica per quello che hai fatto e non per quello che avresti o non avresti dovuto fare. Il capitano Faedda ha scritto una pagina di storia che ci onora come Italiani e soprattutto come Sardi: il suo onore è stato, è e sempre sarà il nostro onore.
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