EXCALIBUR 39 - novembre/dicembre 2002
nello Speciale...

Quel 18 gennaio 1945...

Titolo tendenzioso de "L'Unione Sarda" sugli incidenti del 19 gennaio 1945. Il giornale era allora gestito dal C.L.N., a maggioranza comunista
Autunno 1944. Cagliari, ancora sconvolta dai micidiali bombardamenti americani del febbraio e del maggio 1943, si ripopolava lentamente; soprattutto di giovani studenti che, nella necessità di riprendere gli studi, erano rientrati, spesso senza le loro famiglie ancora protagoniste della tragica diaspora che aveva disperso per tutta la Sardegna i Cagliaritani.
La città era ancora un cimitero di macerie pericolanti, bivacco di truppe di colore, mentre gli edifici integri erano in gran parte utilizzati come sedi di comando e di alloggi di ufficiali americani. Cagliari era "città chiusa". Per soggiornarvi era necessario il permesso della Questura, che veniva sempre concesso agli studenti.
Io ero rientrato, da solo, all'inizio del 1944, perché la mia scuola, il Martini, che era stata gravemente danneggiata dalle bombe, era stata trasferita a Quartu e la mia casa era solo parzialmente danneggiata. Almeno essa, poiché i bombardamenti avevano distrutto lo studio fotografico di mio padre, spezzando la sua giovane vita, quella di sua sorella e quella di molte persone presenti nello studio. Avevo sedici anni ed ero diventato capofamiglia, poiché mio fratello, diciottenne, combatteva nel Nord, bersagliere della R.S.I..
In Italia, oltre la linea gotica, centinaia di Sardi combattevano una guerra ormai persa, fedeli agli ideali di lealtà, onore e Patria. Fu in questo clima, nel gennaio del 1945, quando il governo Badoglio dispose la chiamata alle armi dei giovani «perché l'Italia dia il suo contributo alle forze alleate per la liberazione della Patria», che l'Alto Commissariato per la Sardegna dispose la revoca di tutti gli esoneri dal servizio militare previsti per motivi di studio, di famiglia o perché figli o fratelli di militari alle armi.
Io non ricordo come avesse funzionato il tam tam che riuscì ad aggregare centinaia di giovani in una città dove non esistevano più telefoni né servizi di comunicazione se non, per i pochi che possedevano una radio, le trasmissioni di "Radio Sardegna", la cui emittente era sistemata in una grotta di Is Mirrionis, e "L'Unione Sarda", che usciva in edizione "monofoglio", assolutamente asservita ai vincitori, ma ricordo che ci trovammo tutti pigiati fino all'inverosimile nell'aula magna del liceo Dettori, in Via Collegio, per esprimere il rifiuto dei giovani cagliaritani a impugnare le armi contro i fratelli. Dall'assemblea scaturì la necessità di comunicare ai Sardi questa decisione, attraverso la stampa e la radio.
Così, tutti in corteo, ci avviammo lungo il Viale Regina Elena col proposito di consegnare a "L'Unione Sarda", per la pubblicazione, il documento scaturito dall'assemblea, e successivamente alla redazione di "Radio Sardegna" perché ne desse notizia agli ascoltatori. Giunti nei pressi della sede del giornale, trovammo un plotone di militari schierati in armi che impedirono l'accesso alla redazione della rappresentanza incaricata della consegna del comunicato e impedirono altresì il prosieguo del corteo nel Terrapieno per raggiungere Is Mirrionis. Assolutamente determinati a evitare qualunque forma di conflitto con i militari, decidemmo di raggiungere Is Mirrionis passando da Via Ospedale. Pertanto il corteo percorse la Via Manno fino all'imbocco di Piazza Yenne. Qui erano schierati militari dell'esercito e carabinieri, oltre a diversi questurini in borghese. Questa volta, motivato a passare comunque, il corteo si mosse con l'intento di forzare il blocco. A questo punto uno degli agenti in borghese ordinò ai militari di aprire il fuoco; i soldati guardarono sbigottiti il questurino, che, infuriato, continuava a gridare: «Fuoco! Fuoco!». I militari, con molto buon senso, rifiutarono, e parecchi di loro buttarono l'arma per terra.
Mentre gli agenti andavano in escandescenze, dal corteo un giovane lanciò una bomba a mano, una Srcm, che cadde tra i piedi dell'agente. La Srcm era un ordigno in dotazione al nostro esercito, dotato di potente deflagrazione ma di scarsa efficacia in guerra. Ma al questurino era piovuta fra le gambe e l'effetto fu devastante. Dopo un breve tafferuglio l'assemblea si sciolse e, salvo sporadici gruppi di irriducibili, la manifestazione si esaurì in quel contesto, ma raggiunse lo scopo per cui era nata: i Sardi furono arruolati nelle truppe badogliane ma non combatterono mai contro i loro fratelli. L'agente morì in ospedale, la città fu piantonata militarmente per diverso tempo e fu proibito l'"assembramento sedizioso" che si configurava nella sosta di persone (particolarmente studenti) in numero superiore a due.
Piazza Yenne per molti giorni fu affollata di studenti in gruppi di due. Il foglio locale, diretto da socialisti e comunisti, scrisse di guerriglia, di numerose bombe, di vari feriti, di elementi provocatori e residui fascisti. La bomba fu una, una sola, come una sola fu la volontà dei giovani cagliaritani di rifiutare una guerra civile, voluta solo per piaggeria e servilismo nei confronti dei vincitori.
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