EXCALIBUR 64 - marzo 2011
nello Speciale...

L'unità d'Italia? In frantumi

L'"umanesimo dell'ambiente": la bellezza e la salvaguardia dell'ambiente visti come una grande infrastruttura da recuperare e da difendere

di Beppe Caredda
L'Italia continua a spaccarsi in due
Fateci caso, il pericolo è reale: più si enfatizza l'Unità d'Italia e più si corre il rischio di svelarne la "disunità". Un po' come quando si discetta sull'Europa Unita.
Ma tant'è, siamo abituati a tutto e al contrario di tutto. Però è certo che in tanti non siamo disposti a smembrare e cancellare questa nostra Italia; o meglio, magari vorremmo e ci impegnamo anche, solo che però non sappiamo con che cosa sostituirla.
Allora teniamocela, una e indivisibile, pur con le sue irrisolte "pendenze storiche". Teniamocela, ma non così com'è. Intendo dire non nel modo in cui versa il suo territorio, che è spazio fisico su cui è incisa la storia degli uomini che ci vivono. E la storia che si legge nel nostro territorio non è una gran bella storia. Il Bel Paese va in rovina, è sfasciato, deturpato. Viverci è diventato difficile.
In 55 anni, dal 1950 al 2005, si sono persi oltre 12 milioni di ettari di suolo; una superficie enorme, impressionante! Il 68,9% dei Comuni ricadono in aree a rischio idrogeologico alto, l'11% in Sardegna. Nel solo 2010, per alluvioni, frane e altro, si stimano danni al territorio per oltre 3 miliardi di euro, senza tener conto delle gravi conseguenze sull'economia e sull'occupazione. Tre Italiani su quattro sostengono che il Paese si trova a dover fronteggiare una crescente emergenza ambientale. Circa 6 Italiani su 10 hanno dovuto affrontare qualche disastro naturale e il 43% della popolazione ha dovuto subire alluvioni e frane, i cui danni, se non evitati, potevano essere senz'altro limitati.
Non c'è sufficiente prevenzione. Non c'è attenzione, cura, amore per il territorio. Il rischio di disastri idrogeologici preoccupa quasi la metà della popolazione, e il fabbisogno necessario per la messa in sicurezza ammonta ad almeno 44 miliardi di euro, di cui 27 per il centro-nord, 13 per il sud e 4 per il settore del patrimonio costiero. E i morti, i feriti, i dispersi (10 mila dal 1900), gli sfollati, i senza tetto, gli accampati (350 mila dal 1900)?
E i beni storici, archeologici, monumentali, culturali? A ciò si aggiunga tutto il brutto (tanto) che siamo stati capaci di edificare in questi ultimi settanta anni e la fotografia del Paese è chiara, anzi opaca.
Il Paese, anche sotto questo aspetto, non offre una bella scenografia per le celebrazioni del 150º dell'Unità d'Italia. E allora: può essere l'ambiente, il paesaggio, la sicurezza idrogeologica, il bel costruire, un buon motivo, una idea forte in cui credere, uniti per il Paese? Non ci si potrebbe impegnare per l'affermazione di un "umanesimo dell'ambiente" che rispetti la storia e quindi il territorio e tutto quell'ecosistema culturale che fa dell'Italia un Paese unico al mondo? Si può credere e battersi perché la "bellezza" sia riconosciuta come vera, grande infrastruttura da recuperare, difendere e valorizzare?
«In tempo di pace, sia guerra alla stupidità e alla mediocrità», tuonava Vittorio Sgarbi nella sua crociata contro «le forze armate all'assalto della bellezza e i cospiratori alla conquista di un patrimonio ineguagliabile, non per possederlo, ma per distruggerlo».
Allora, quale migliore occasione della ricorrenza del 150º per impegnare l'Italia Unita in un grande progetto nazionale di ripristino e recupero dell'ambiente, del paesaggio, della città.
Un progetto che preveda, per cominciare e pur con le dovute cautele e priorità, la demolizione degli ecomostri, la rottamazione edilizia, la bonifica e il recupero delle grandi aree industriali, la riqualificazione delle città deturpate da una edilizia invadente e infestante. Proponendo a tal fine l'istituzione, ad esempio, di un Fondo Unico da finanziare con tasse di scopo, otto per mille, lotterie, coinvolgimento di capitali privati etc., difenderemo l'Identità Nazionale molto più e meglio che le solite roboanti, inutili declamazioni retoriche.
E resta comunque il fatto che così come il degrado chiama il degrado, favorire la bellezza e la qualità produce l'effetto anche pedagogico di desiderarle e pretenderle sempre più.
Sostiene Marcello Veneziani: «La bellezza abita nei luoghi della vita; l'utopia immagina un altrove fuori dai luoghi della realtà, della vita, della storia. Il bello è un'apertura al mondo, un linguaggio simbolico per comunicare e per riconoscersi in una patria comune. La bellezza è simbolica, la separazione è diabolica».
Chissà se nel Piano Strategico per la Città di Cagliari, di cui si è parlato questi giorni scorsi, o se nell'aggiornamento in corso del Piano Paesaggistico Regionale, oltre che nei Puc, da qualche parte si parla di "Bellezza".
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