EXCALIBUR 60 - giugno 2010
nello Speciale...

L'8 settembre di Fenu

Sopra: il C.V. Enzo Grossi dirama un ordine del giorno per l'annullo filatelico della corrispondenza da Bourdeaux verso l'Italia in conseguenza della proclamazione della Repubblica Sociale Italiana (cliccare sull'immagine per ingrandire)
Sotto: Cape Ferret (Arcachon, Golfo di Guascogna), 03.07.1941, ufficiali italiani in compagnia di ausiliarie tedesche, (a) il Direttore di Macchina C.G.N. Renato Filippini (nato a Trieste nel 1906), morto a bordo del R.Smg. "Dagabur" il 12.08.1942), (b) il C.C. Franco Tosoni Pittoni, che affondò l'incrociatore britannico H.M.S. Calipso, morto a bordo del R.Smg. "Bianchi" il 05.07.1941 (due giorni dopo lo scatto di questa foto), (c) il T.V. Mario Patanè, comandante del R.Smg. "Velella", morto il 07.09.1943 (foto kindly offered by Mr. Paolo Hoffmann)
L'instancabile Fenu fece anche parte del gruppo di ufficiali di marina che organizzò strutture e uomini per colpire gli Inglesi a Gibilterra.
Al largo di Algesiras, il mercantile italiano "Otella" era incagliato e guardato a vista dai "carabineros" della neutrale Spagna. Gli Italiani, in gran segreto, ricavarono sotto la linea di galleggiamento un nido per siluri a lenta corsa (Slc) e per mignatte, che gli incursori della X Mas riuscirono a portare dentro il porto di Gibilterra per ben otto volte, facendo saltare in aria sessantaquattro mila tonnellate di naviglio nemico.
Gli incursori della Decima giungevano sulla costa andalusa dopo diverse peripezie. In genere agivano in due gruppi, uno passava lungo la Provenza, occupata dalla Quarta armata italiana, per dirigersi verso l'Aquitania fino a Bordeaux, dove prendeva contatto con Fenu, il quale per supporto tecnico più volte attraversò il territorio spagnolo fino a Gibilterra, nascosto sotto il cassone di un camion. L'altro gruppo arrivava per mare a Barcellona, dove i "marinai" sbarcavano dai mercantili e si fingevano disertori.
Da Betasom, invece, con l'aiuto dei servizi segreti della Regia Marina attraversavano i Pirenei puntando ad Algesiras.
Quella era una guerra combattuta anche dai servizi segreti, e quel poco che sappiamo lo dobbiamo all'apertura degli archivi britannici, che ci hanno restituito la figura e le imprese di alcuni dei protagonisti italiani, tra i quali Giulio Pistono, un ufficiale del Genio navale che li beffò per anni a due chilometri dalla Rocca. Gli Inglesi non riuscirono a sapere mai nulla dai pochi incursori che riuscivano a catturare.
Più avanti capiremo perché i servizi militari americani, dopo la guerra, presero contatto con Fenu e altri della Decima, ma della vicenda possiamo soltanto intuire.
Di certo a Giulio Fenu giunsero diverse onorificenze: nel maggio '42 divenne "Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia", con motu proprio del re; il 12 novembre 1942 il governo germanico gli conferì la Croce dell'Ordine dell'Aquila Germanica di II classe.
Pochi mesi dopo (14 aprile 1943) i Tedeschi gli conferirono la Croce di Ferro di II classe «in riconoscimento - dice il foglio matricola - di (incomprensibile, n.d.a.) meriti nell'organizzazione della Base Forze navali italiane in Atlantico». All'8 settembre 1943, il foglio matricolare riporta la solita frase riservata ai militari che avevano combattuto, fuori dai confini nazionali, per la Repubblica Sociale Italiana: «In territorio estero occupato dal nemico dal 9.9.1943 all'agosto 1944. A Maricentro Roma in attesa di determinazioni stando nella posizione di (incomprensibile, n.d.a.) reimpiegabile. A Maridipart La Spezia per congedo il 30.12.1948».
Torniamo a Bordeaux e ai giorni dell'armistizio, dove erano in rada soltanto il "Bagnolini" e il "Finzi".
Nella tarda serata del 9 giunsero notizie terribili: la flotta italiana era stata attaccata da aerei germanici e la corazzata Roma era affondata con quasi tutto l'equipaggio. C'era il caos più completo, reparti interi non cedevano le armi e si schieravano coi Tedeschi, altri obbedivano al re e gli sparavano addosso.
Sembra che proprio quella sera arrivasse in Atlantico un nuovo radio: «girate i cannoncini di bordo verso i sommergibili tedeschi, aprite il fuoco e quindi affondate i sommergibili».
Lo disse Enzo Grossi ai suoi ufficiali, e ne parlarono, dopo la guerra, gli ufficiali presenti. Lo stesso Fenu in seguito ne fece cenno, ricordando l'episodio con disgusto. Il comandante ordinò che si procedesse all'alzabandiera e all'ammaina bandiera tutti i giorni, come se nulla fosse cambiato. Anche Junio Valerio Borghese in quel momento faceva lo stesso, ma ordinando di ritagliare il centro della bandiera, per eliminare lo stemma dei Savoia.
Il 10 settembre, il comandante ordinò la riunione in un capannone. Grossi fece chiudere il portone perché nessun estraneo potesse ascoltare. Parlò da un'improvvisata pedana: «Mi sono giunti da Roma ordini che il mio onore di marinaio rifiuta di eseguire. Non intendo arrendermi e, anzi, voglio proseguire la guerra a fianco dei Tedeschi, coi quali abbiamo condotto una guerra durissima per tre anni: non voglio finire la guerra in questo modo. Ognuno di voi decida cosa fare, siete liberi e la vostra scelta sarà rispettata anche dai Tedeschi. Chi vuole uscirà da qui e sarà preso in consegna dalle truppe germaniche per essere avviato ai campi per prigionieri italiani».
Col cronometro in mano diede dieci minuti per compiere una scelta difficile. Si comportò insomma allo stesso modo di altri comandanti delle Forze Armate italiane, evitando un inutile spargimento di sangue.
Meno della metà dei presenti uscì dal capannone. La maggioranza rimase con lui, gli altri furono trasferiti in treno a Colonia, dove vennero impiegati nella manutenzione dei binari della stazione.
Giulio Fenu voleva proseguire la preparazione dei nuovi mezzi insidiosi, in collegamento con altri ufficiali del genio navale, che a Venezia provavano i minisommergibili.
Dall'Italia, Borghese, già nell'estate precedente, aveva insistito con lui per poter disporre di un sommergibile oceanico capace di trasportare il mezzo fin dentro la baia di New York. Ora, armistizio o meno, si poteva ancora colpire la metropoli.
A Bordeaux, frattanto, avevano deciso una rapida riorganizzazione delle forze rimaste. Alcune compagnie del San Marco e uomini di marina andarono a formare un nuovo battaglione di fanteria di marina, che denominarono "Longobardo", in onore di Primo Longobardo.
Raccolsero poi gli sbandati e crearono una robusta unità, la "Divisione Atlantica".
Sembrerà strano, ma molti di loro - alcune stime parlano di 20 mila uomini, altre di circa 40 mila Italiani - parteciparono alla Battaglia di Normandia inquadrati nei reggimenti granatieri germanici. Sulla storia della Rsi sembra ci sia ancora molto da scrivere.
Fenu prima dell'8 settembre aveva trasformato diversi "oceanici" e molti comandanti ne ricordavano la competenza. Su Internet, se cercate il suo nome, troverete le testimonianze dei superstiti. Rimase al suo posto fino a quando Betasom fu sgomberata per l'avanzata angloamericana. Tuttavia tentò fino alla fine di salvare un minisommergibile trasferendolo in Italia, che gli Americani trovarono alla periferia di Bordeaux su un vagone merci, imballato e perfettamente efficiente. Inutile aggiungere che se ne interessarono moltissimo.
A Roma, guidati dai loro servizi, trovarono Giulio Fenu e altri ufficiali della Marina Repubblicana, trattandoli con molto rispetto, come avevano fatto il 2 settembre 1944, quando concessero l'onore delle armi alla guarnigione italo-tedesca di Cézembre, un'isoletta di fronte a Saint-Malo, per la cui resa erano dovuti ricorrere, per la prima volta nella storia, a un bombardamento aereo con il napalm.
Di Fenu sappiamo solo che fu congedato nel dicembre 1948 dopo la sua rinuncia all'avanzamento. Non avevano osato radiarlo dalla M.M. per la sua appartenenza alla Rsi, o, forse, qualcuno lo aveva sconsigliato. Sappiamo invece che dopo qualche tempo era negli Usa e in giro per il mondo, soprattutto in Sudamerica. In missione?
Nel 1971, con la riforma dei gradi del Genio Navale, fu promosso capitano di vascello e infine collocato in congedo assoluto nel 1976 per raggiunti limiti di età.
Si spense in Francia, a Mentone, alla fine degli Anni Ottanta.
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